Pascoli sovversivo
La breve stagione di passione politica di Pascoli terminata con un processo
per oltraggio e attività sediziose
Il 17 novembre 1878 la famiglia reale è in visita a Napoli e la città è addobbata a festa per l’evento. Qualche politico, di fede repubblicana, ha contestato in consiglio comunale le spese sostenute per accogliere trionfalmente i Savoia e non mancano le polemiche degli agitatori internazionalisti (anarchici e socialisti), che nei giorni precedenti hanno organizzato manifestazioni, subito represse dalle autorità. Ma quando Umberto I, la moglie Margherita e il figlio – il futuro Vittorio Emanuele III – sfilano per le strade della città, nessuno ci pensa più: una calca di uomini e donne fa ressa presso la carrozza reale, molti per chiedere favori e porgere suppliche. Tra i presenti c’è anche un giovane lucano, di professione cuoco. Il suo nome è Giovanni Passannante e ha già alle spalle mesi di carcere per la sua attività di sovversivo, prima come repubblicano poi come anarchico. Passannante attende che la carrozza lentamente gli sfili davanti, quindi sale sul predellino, tira fuori un coltello avvolto in un fazzoletto rosso e colpisce il re gridando: «Viva la Repubblica Universale!».
L’attentato fallisce: il re, protetto dal primo ministro Benedetto Cairoli, viene solo ferito a un braccio. Passannante viene subito arrestato e morirà nel 1910 nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dopo una detenzione di inaudite sofferenze.
Una poesia perduta
Pascoli, che l’amicizia con Andrea Costa ha portato sulla strada della militanza politica, è coinvolto nelle manifestazioni che repubblicani e anarchici organizzano a Bologna. Tiene lui stesso qualche comizio: in uno, dal palco, recita un’ode a Passannante, che ha composto in onore dell’attentatore del re. Fa in tempo a declamare «Colla berretta d’un cuoco, faremo una bandiera»: poi, prima che arrivi la forza pubblica a disperdere la folla, strappa il foglio su cui ha scritto i versi. Di questo testo non rimane dunque traccia, ma solo l’intrigante mistero del suo contenuto.
Il poeta in carcere
L’autore non rinuncia però alla militanza: tra l’agosto e il settembre del 1879 si tiene un processo contro alcuni rivoluzionari di Imola. Pascoli è tra i più assidui a partecipare alle udienze. Il 7 settembre, davanti al carcere in San Giovanni in Monte, dove sono stati portati gli imputati, urla insieme ai compagni: «Viva la Comune, viva l’Internazionale, viva i malfattori, avanti vigliacchi sgherri», e viene arrestato per grida sediziose e oltraggio. Tre mesi dopo, al processo è assolto, ma l’esperienza si rivela dolorosa e lo porta ad abbandonare la partecipazione alla politica attiva.