Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Verga

la sintesi

LA VITA E LE OPERE

Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840. Inzia la carriera letteraria con romanzi di ispirazione risorgimentale. Dal 1869 risiede a Firenze dove frequenta gli ambienti artistici e letterari. Nel 1871 pubblica il romanzo Storia di una capinera. Nel 1872 si trasferisce a Milano ed entra in contatto con la Scapigliatura e il Naturalismo francese. Ottiene notorietà con i romanzi Eva (1873), Eros e Tigre reale (1875), che seguendo la moda dell’epoca trattano di amori impossibili, adulteri e relazioni scabrose. Un percorso di riflessione e sperimentazione, la conoscenza dei romanzi di Zola e l’interesse per le condizioni socioeconomiche del Sud Italia, la cosiddetta “questione meridionale”, portano Verga ad aderire al Verismo. La svolta avviene nel 1878, con la novella Rosso Malpelo, in seguito compresa in Vita dei campi (1880), raccolta di novelle ambientate in Sicilia, i cui protagonisti sono esclusi, condannati alla solitudine sullo sfondo di un mondo immobile e arcaico. I temi sono l’amore come sentimento lacerante e trasgressivo e l’interesse economico come molla delle azioni umane. Nel 1881 esce I Malavoglia, primo romanzo di un Ciclo dei Vinti progettato in 5 volumi, ma rimasto incompleto. Nonostante l’insuccesso iniziale della sue opere, Verga non abbandona la poetica verista, e pubblica nel 1883 la raccolta delle Novelle rusticane. Nel 1889 esce il romanzo Mastro-don Gesualdo (parte del Ciclo dei Vinti) il cui protagonista è un ambizioso manovale siciliano diventato proprietario terriero, che si ritrova a metà tra due mondi inconciliabili, circondato dalla malignità e dall’invidia dei rivali e dei parenti, e alla fine muore solo e disprezzato da tutti. Importante è inoltre la produzione di Verga per il teatro: il dramma Cavalleria rusticana (1880), ispirato all’omonima novella, riscuote grande successo. Nel 1893 lo scrittore torna in Sicilia, dove vive appartato e lontano dal mondo intellettuale. Le sue posizioni politiche sono sempre più conservatrici e appoggia l’intervento italiano nella Grande guerra. Dopo la fine del conflitto mondiale, la sua opera letteraria incontra i primi riconoscimenti critici e pubblici, a cui resta indifferente. Muore nel 1922 a Catania.

I GRANDI TEMI

Per Verga lo scrittore, come lo scienziato, deve avere una conoscenza il più possibile oggettiva del mondo che intende rappresentare. L’autore rinuncia a esprimere giudizi, avvalendosi dell’artificio della regressione, cioè sostituisce il proprio punto di vista di scrittore colto con quello dei personaggi appartenenti al popolo, e fa così emergere a poco a poco la storia e l’ambiente. A parlare è un soggetto anonimo e corale, mentre il punto di vista del narratore si manifesta attraverso il meccanismo dello straniamento: la voce narrante presenta come normali e accettabili comportamenti e modi di pensare che non lo sono affatto, accreditando così in apparenza pregiudizi e mentalità che chi legge non può condividere e che pertanto mette in discussione; l’autore riesce così a sollecitare la presa di distanza e la condanna di tali pensieri e comportamenti da parte del lettore. Per descrivere il mondo degli umili Verga non ricorre al dialetto siciliano, ma riproduce nella sintassi modi e costrutti del parlato. L’ambientazione delle opere verghiane è una Sicilia mitica e arcaica, che rispetta le tradizioni tramandate, salva la famiglia come cellula protettiva di valori e di affetti solidali e non cede alle lusinghe del denaro. Verga propugna il cosiddetto «ideale dell’ostrica»: chi abbandona, rifiuta o tenta di emanciparsi dalle proprie radici è condannato fatalmente a soccombere; per sopravvivere non resta che ancorarsi alla condizione che si è avuta in sorte, sopportando il proprio stato in una dignitosa rassegnazione. Non c’è possibilità di riscatto o di emancipazione, perché il dolore non deriva dalle ingiustizie o dal corso della Storia, ma è connaturato al fatto stesso di esistere e per questo riguarda indistintamente tutti gli uomini e tutte le classi sociali. Travolto ogni sentimento di appartenenza e cancellati i vincoli di umanità e solidarietà, il mondo verghiano finisce per essere guidato solo da una vorace logica economica, universalmente accettata: nessuno riesce a sottrarsi al culto della «roba», la proprietà dei beni materiali diventa l’unico fine dell’esistenza umana.

I MALAVOGLIA

Il romanzo narra le vicende della famiglia di pescatori dei Toscano di Aci Trezza, un villaggio siciliano, che vive dignitosamente nella «casa del nespolo», e possiede una barca, la Provvidenza. Il patriarca è il vecchio padron ’Ntoni; suo figlio Bastianazzo, sposato con Maruzza la Longa, ha cinque figli: il giovane ’Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia. Dal momento in cui si verifica l’allontanamento di alcuni membri della famiglia, questa è colpita da numerose disgrazie, ma lo sforzo congiunto di coloro che restano e che abbracciano il sistema dei valori tradizionali consente di riunire e salvare la famiglia, seppure in parte dispersa. I temi sono la vana e controproducente ribellione al destino e alle forze soverchianti della Storia e del progresso, visto in chiave totalmente negativa; la legge economica che domina la vita in ogni suo aspetto, anche quello degli affetti; la famiglia come istituto sacro e unico appiglio contro la marea degli eventi. Le tecniche narrative usate da Verga sono il discorso indiretto libero, lo straniamento e la concatenazione; la lingua è un italiano sicilianizzato, con l’uso frequente di modi di dire e di proverbi.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento