Con I Malavoglia il Verga ritorna alla sfera della vita sociale. D’ora innanzi il tema della sua arte sarà, si può dire sempre, la rappresentazione delle classi più umili della società.
I Malavoglia ritraggono, nelle persone della famiglia protagonista, le «tenaci affezioni dei deboli», «l’istinto che hanno i piccoli di stringersi fra loro per resistere alla tempesta della vita»,1 e la triste sorte di uno di essi che, per brama di meglio, si stacca dal gruppo, e soccombe. Il motivo lirico è il sentimento della famiglia, dell’onestà tradizionale, gli umili e santi affetti e bisogni che tengono legati fra loro i protagonisti: rappresentati con maggiore solidità e solennità in nonno ’Ntoni, e riflessi con tenera malinconia in tutti gli altri, e nello stesso giovane che si ribella agl’ideali familiari e degenera, e tuttavia li riconosce quando, tornato al paese dopo la vana esperienza del nuovo e dell’ignoto, si sente indegno della casa che ha abbandonato.
Intorno ai Malavoglia è raccolta tutta la vita del paese, con un’ispirazione unitaria più continua che in Mastro-don Gesualdo: basti citare come esempio il capitolo III, magistralmente orchestrato intorno al motivo della burrasca che farà naufragare la barca con i lupini. I compaesani dei protagonisti costituiscono l’ambiente in cui questi vivono, la causa e il contraccolpo delle loro vicende: di qui il colore uguale con cui sono rappresentati, quella tinta di miseria e di malinconia, che non solo risponde alla verità della loro vita, ma anche al tono delle peripezie dei Malavoglia, e avvolge tutto il romanzo d’un’atmosfera grigia e dolente. La vita di Aci Trezza non ci si presenta pettegola e piccina, come quella degli ambienti paesani in scrittori borghesi, ma seria, come è per quei pescatori, sui quali il Verga non s’innalza con l’arguzia dell’uomo che si ritiene superiore. (Invece il tono di Mastro-don Gesualdo sarà quello dello scrittore staccato, assai meno verista, isolato dall’ambiente umile e paesano: il Verga di questo secondo romanzo farà causa comune, s’immedesimerà quasi soltanto con i personaggi socialmente o sentimentalmente più elevati: il protagonista, Bianca e i due fratelli, Diodata).
Quest’unità fra personaggi di sfondo e protagonisti è mirabile: ma, se di rado nei singoli capitoli, in complesso questa pittura di piccoli interessi, rancori, intrighi, cinismi, passioni frammezzo alle vicende dei Malavoglia, pesa un po’ e fa desiderare un procedimento più sintetico.
All’unità del tono dei Malavoglia contribuisce anche il paesaggio, non lirico, non largo, ma domestico, colorito delle preoccupazioni, delle abitudini, dei sentimenti dei paesani, non disgiungibili né da questi né dal paese. Però il paesaggio, pur conservandosi aderente all’umiltà, alla miseria, al dramma dei personaggi, pur avendo la loro fisionomia povera e dolente, ha un ufficio suo: è un po’ il conforto di quell’esistenza, un po’ il gran tutto in cui quelle pene si confondono e annegano. Per questa via il paesaggio diventa il soffio che solleva il romanzo, il motivo melodico che, nei momenti culminanti, fa di quelle pene minute e insistenti un canto desolato e tranquillo. Si veda, per questo, la chiusa del libro; e si noti che un’intonazione e un ufficio simili avrà ancora il paesaggio in Mastro-don Gesualdo, nella notte di ricordi che il protagonista passa accanto a Diodata, nelle pagine in cui la vista dei campi conquistati e fertili fa dimenticare a Gesualdo la pena incessante della sua vita. Ma nei Malavoglia il senso del paesaggio è più costante, più unitario e più profondo: più che di paesaggio è perciò da parlare di “patria”, cioè del motivo che, abbracciando il cielo di Aci Trezza, il mare, il suolo, la casa, il paese, costituisce il centro affettivo del romanzo. Per esso, nei Malavoglia circola un soffio religioso, d’una religiosità domestica e semplice, che colorisce d’un’affettuosità intima tutta la scena fra cui si svolge quell’umile vita. Per esso si scopre che il motivo ispiratore di tutte le pagine del libro è quello indicato dalle parole del Verga: «il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere» (Fantasticheria), questa interpretazione – prima e unica nella letteratura italiana – del lirismo dei poveri. Per questo riguardo il Verga è andato al di là del Manzoni, in virtù di quel suo sforzo d’immedesimazione, tanto da darci della patria, della natura e del cielo una concezione ancora ignota alla poesia italiana, adeguando, con perfetta verità di tono, il mare, il cielo, il paesaggio di Aci Trezza ai cuori semplici di quei pescatori.
Attilio Momigliano, “Verga, Giovanni”, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1937