Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Verga

L’AUTORE NEL TEMPO

L’incomprensione iniziale
L’opera di Verga viene accolta dai contemporanei in modo discordante. Al successo, decretato dal pubblico, dei primi romanzi di ispirazione romantico-mondana fanno riscontro l’indifferenza o addirittura l’ostilità riservate alla produzione verista. I temi assai distanti da quelli tipici della letteratura di consumo, la nuova forma linguistica, la scomparsa del narratore onnisciente e il pessimismo dell’autore rappresentavano ostacoli troppo impegnativi per lettori più inclini ai facili sentimenti delle prove precedenti che non alle tragiche vicende dei “vinti”.
Per molti anni, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’incomprensione nei confronti dell’arte verghiana è quasi totale e l’opera dello scrittore siciliano, che assai poco si accordava con la moda estetizzante del dannunzianesimo egemone in quel periodo nella nostra letteratura, viene quasi dimenticata. Il silenzio è rotto solo da un saggio di Benedetto Croce, apparso nel 1903, che suggerisce l’immagine, certamente parziale, di un artista lirico, votato alla nostalgia della terra natale e al recupero mitico-simbolico degli ambienti della Sicilia più primitiva.

La valorizzazione negli anni Venti
È però soprattutto una monografia firmata dal critico letterario Luigi Russo nel 1919 a rimarcare l’importanza della narrativa verghiana. Pur rimanendo nell’alveo della critica idealistica e continuando a ridimensionare, sulla scia di Croce, i legami dell’autore con il Positivismo, Russo studia a fondo i caratteri del pessimismo verghiano e il mondo interiore dei suoi personaggi. Nell’arte di Verga, inoltre, egli riconosce una profonda religiosità, che si esprime in un attaccamento etico a valori ancestrali, tipici di quel mondo primitivo, quali la casa, la famiglia, l’onestà. In quest’ottica, lo stesso Verga secondo Russo poteva essere considerato «a suo modo cristiano», interprete di un realismo romantico di matrice manzoniana.
Il giudizio è per molti versi opinabile; resta tuttavia un fatto che, dopo lo studio di Russo, Verga viene inserito tra i “classici” della letteratura italiana, come dimostrano poco dopo i riconoscimenti critici da parte di autori e lettori autorevoli quali Federigo Tozzi, Giuseppe Antonio Borgese e Luigi Pirandello.

La riscoperta con il Neorealismo
Nel secondo dopoguerra è soprattutto la critica di area marxista a interessarsi a Verga. In particolare l’affermazione del Neorealismo decreta l’attualità dello scrittore verista, che autori come Francesco Jovine e Beppe Fenoglio considerano un maestro. Superato l’approccio moraleggiante dei critici idealisti, saggi di studiosi quali Natalino Sapegno (1945), Gaetano Trombatore (1947) e Giuseppe Petronio (1949) mettono in luce l’ideologia verghiana, venata di pessimismo e fatalismo. Tuttavia viene individuata, nell’opera dello scrittore siciliano, anche una radice di polemica e di denuncia, che – secondo Trombatore – si risolve in un atto d’accusa contro le cause della miseria della povera gente: limite di Verga sarebbe però quello di non aver individuato nel socialismo una prospettiva alternativa alle ingiustizie del mondo.
Quest’ultima prospettiva viene rovesciata dalle monografie di Alberto Asor Rosa (1965) e Romano Luperini (1968), secondo i quali sono proprio l’assenza della fede nel progresso sociale e il rifiuto di ogni tentazione populista a fornire al pessimismo verghiano importanti componenti conoscitive, compresa quella del rifiuto di celebrare in un’ottica romanticamente nostalgica i valori del mondo arcaico.
Resta, infine, da tenere presente il contributo dato a una più ampia considerazione della narrativa verghiana dallo studio delle sue strutture formali: fondamentali, tra gli altri, sono le ricerche di Leo Spitzer (1976) sulla dimensione corale dei Malavoglia e di Guido Baldi (1980), a cui si deve la formula dell’«artificio della regressione» per indicare una delle più importanti tecniche narrative dell’autore.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento