4 - Gli aspetti formali

Il secondo Ottocento – L'opera: I Malavoglia

4 Gli aspetti formali

Le tecniche narrative

Nei Malavoglia sono presenti tutte le tecniche che caratterizzano la produzione novellistica e romanzesca della fase verista di Verga e che fanno di lui un grande sperimentatore, capace di innovare profondamente lo stile narrativo rispetto ai modelli del realismo ottocentesco.

L’autore infatti rimane fedele al principio dell’impersonalità e a un criterio di pura registrazione dei fatti, affidando la narrazione a una voce popolare interna al villaggio e regredendo al livello della comunità. Per far trasparire il proprio personale punto di vista, Verga ricorre a un effetto di straniamento, immedesimandosi nell’ottica degli abitanti del paese proprio per dar modo al lettore di coglierne la natura malevola. Ciò accade quando la dirittura morale di alcuni personaggi (i cui comportamenti, dunque, il lettore è portato a giudicare in maniera positiva) viene vista negativamente dalla collettività, che giudica il senso delle azioni dei singoli esclusivamente sulla base del parametro dell’interesse economico. Per esempio: il fatto che padron ’Ntoni sia onesto e che il suo senso dell’onore gli imponga di ripagare il debito verso zio Crocifisso a costo di perdere la casa della famiglia viene giudicato incomprensibile dai compaesani, che gli rimproverano l’incapacità di fare i propri interessi.
Un altro esempio riguarda il naufragio della Provvidenza: è evidente che la perdita maggiore sia quella della famiglia Toscano, che vede morire in mare Bastianazzo. Ma nelle parole di un personaggio, la Vespa, nipote di zio Crocifisso, la realtà si ribalta in una valutazione paradossale:

«Volete che ve lo dica?», saltò su la Vespa; «la vera disgrazia è toccata allo zio Crocifisso che ha dato i lupini a credenza. Chi fa credenza senza pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno» (cap. 3).

Il proverbio serve, in questo caso, a corroborare, con il suo valore sentenzioso, la giustezza della logica tutta economica qui incarnata dalla Vespa, ma in fondo condivisa dalla maggior parte della collettività. Che infatti poco più avanti si esprime in questi termini:

«Che disgrazia!», dicevano sulla via. «E la barca era carica! Più di quarant’onze di lupini!» (cap. 3).

Un altro strumento assai utilizzato nel romanzo per garantire l’impersonalità del narratore e la sua eclissi rispetto alla realtà narrata e, nello stesso tempo, per esprimere le sensazioni e i sentimenti dei personaggi è – accanto ai frequenti dialoghi (molte sequenze sono vere e proprie scene) – il discorso indiretto libero, che costituisce la principale novità della scrittura verghiana e uno strumento adottato per «raccontare gli avvenimenti come si riflettono nei cervelli e nei cuori dei suoi personaggi» (Spitzer). Vediamone un esempio. All’inizio del secondo capitolo, prima il sensale Tino Piedipapera si rivolge a padron ’Ntoni con un discorso diretto, ma subito dopo le sue parole sono riferite, appunto, attraverso un discorso indiretto libero. Nella tabella, accanto all’originale verghiano, possiamo verificare come sarebbe stato l’intero periodo se fosse stato reso tutto attraverso il discorso diretto:


Originale Trasposizione con il discorso diretto
«Eh! s’è lavorato! potete dirlo anche voi, padron ’Ntoni!», ma per padron ’Ntoni ei si sarebbe buttato dall’alto del fariglione, com’è vero Iddio! e a lui lo zio Crocifisso gli dava retta, perché egli era il mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui bollivano più di duecento onze all’anno! Campana di legno non sapeva soffiarsi il naso senza di lui. «Eh! s’è lavorato! potete dirlo anche voi, padron ’Ntoni! Per voi io mi butterei dall’alto del fariglione, com’è vero Iddio! A me lo zio Crocifisso mi dà retta, perché io sono il mestolo della pentola, una pentola grossa, in cui bollono più di duecento onze all’anno! Campana di legno non sa soffiarsi il naso senza di me».
 >> pag. 232 

Nei Malavoglia ricorre un’altra tecnica, quella della concatenazione, vale a dire la ripresa di parole o di intere locuzioni da una sequenza a un’altra o da un capitolo a un altro. Vediamo un esempio:

«Bella razza d’uomini nuovi, come quel ’Ntoni Malavoglia là, che va girelloni a quest’ora pel paese» (fine cap. 10).

Una volta ’Ntoni Malavoglia, andando girelloni pel paese, aveva visto due giovanotti che s’erano imbarcati qualche anno prima... (inizio cap. 11).

La frase con cui inizia l’undicesimo capitolo riprende da vicino quella conclusiva del decimo, sia per quanto concerne l’argomento sia per la ripresa di una medesima espressione, “andare a girelloni”, che genera una sorta di eco tra i due capitoli. Ciò determina in tutto il romanzo un’impressione di circolarità: la creazione di una continuità tematica finisce infatti per annullare nel lettore la sensazione dei salti temporali nello sviluppo della narrazione.

La lingua

La dimensione costitutiva della lingua dei Malavoglia è affidata a una sintassi fortemente mimetica del discorso popolare. Inizialmente ciò desta nel pubblico diverse perplessità: anche Manzoni aveva posto al centro dei Promessi sposi dei personaggi appartenenti al popolo (Renzo e Lucia), ma non aveva rinunciato a rendere sostenuta la forma stilistica. Quello che ora turba maggiormente i lettori e i recensori dei Malavoglia è soprattutto l’assoluto anticonformismo delle scelte grammaticali e sintattiche di Verga, ma anche l’insistita venatura dialettale di tipo siciliano.
Tuttavia, se persino alcuni amici ed estimatori biasimano l’eccessiva audacia delle opzioni formali adottate, altri, come il giornalista e critico letterario Edoardo Scarfoglio, rinfacciano a Verga la soluzione troppo timida di un italiano sicilianizzato sì, ma non abbastanza, e lo esortano a ritradurre il romanzo in siciliano puro.

In realtà, la genialità della soluzione verghiana consiste proprio nella calibrata immissione nella lingua letteraria di strutture idiomatiche siciliane, con il contrappeso del parlato toscano che permetteva al testo di essere letto e apprezzato in un orizzonte nazionale.
La dialettalità dell’opera risulta dunque essere di tipo più fraseologico che lessicale. Compaiono nel testo termini dialettali, ma in maniera per così dire “occasionale”. A conferire la patina siciliana al testo sono soprattutto le strutture sintattiche (con netta prevalenza della paratassi sull’ipotassi), il giro delle frasi, la particolare scelta delle metafore e delle similitudini (tratte dall’esperienza popolare dei personaggi, non da quella borghese dei lettori), certe soluzioni tipiche dell’oralità (quali il “che” polivalente o i pronomi ridondanti: «a lui… gli») e i modi di dire e i proverbi (questi ultimi si contano a centinaia) messi in bocca a diversi personaggi nel corso della narrazione.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento