dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col logorare i suoi
stivali e le sue mule – egli solo non si logorava, pensando alla sua roba, ch’era tutto
quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, né nipoti, né parenti; non
90 aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba.
Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché la
roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che prima
era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità nudo e crudo ne’ suoi
campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti quei boschi, e di tutte
95 quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva nelle sue terre a cavallo coi
campieri30 dietro, pareva il re, e gli preparavano anche l’alloggio e il pranzo, al
minchione, sicché ognuno sapeva l’ora e il momento in cui doveva arrivare, e non
si faceva sorprendere colle mani nel sacco. «Costui vuol essere rubato per forza!»,
diceva Mazzarò, e schiattava dalle risa quando il barone gli dava dei calci nel di
100 dietro, e si fregava la schiena colle mani, borbottando: «Chi è minchione se ne stia
a casa», «la roba non è di chi l’ha, ma di chi la sa fare». Invece egli, dopo che ebbe
fatta la sua roba, non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare la messe, o la
vendemmia, e quando, e come; ma capitava all’improvviso, a piedi o a cavallo alla
mula, senza campieri, con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi
105 covoni, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gambe.
In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del
barone; e costui uscì31 prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, e
poi dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno che non
firmasse delle carte bollate,32 e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava croce.33 Al
110 barone non rimase altro che lo scudo di pietra34 ch’era prima sul portone, ed era
la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Mazzarò: «Questo solo, di
tutta la mia roba, non fa per te». Ed era vero; Mazzarò non sapeva che farsene, e
non l’avrebbe pagato due baiocchi. Il barone gli dava ancora del tu,35 ma non gli
dava più calci nel di dietro.
115 «Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò!», diceva la gente;
e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti pensieri,
quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in galera, e come quella
testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte, meglio di una macina del
mulino, per fare la roba; e se il proprietario di una chiusa limitrofa si ostinava a non
120 cedergliela, e voleva prendere pel collo Mazzarò, dover trovare uno stratagemma
per costringerlo a vendere, e farcelo cascare, malgrado la diffidenza contadinesca. Ei
gli andava a vantare, per esempio, la fertilità di una tenuta la quale non produceva
nemmeno lupini, e arrivava a fargliela credere una terra promessa, sinché il povero
diavolo si lasciava indurre a prenderla in affitto, per specularci sopra, e ci perdeva
125 poi il fitto, la casa e la chiusa, che Mazzarò se l’acchiappava36 – per un pezzo di
pane. – E quante seccature Mazzarò doveva sopportare! – I mezzadri che venivano a
lagnarsi delle malannate,37 i debitori che mandavano in processione le loro donne a
strapparsi i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non metterli in mezzo alla
strada, col pigliarsi il mulo o l’asinello, che non avevano da mangiare.