Al cuore della letteratura - volume 5

Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Verga

 T3 

La Lupa

Vita dei campi


La novella, pubblicata per la prima volta nel febbraio del 1880 sulla “Rivista nuova di scienze, lettere e arti”, ha come protagonista una donna, soprannominata la Lupa, esclusa dalla comunità a causa della sua prorompente sensualità. Eroina tragica di un eros selvaggio, essa accetta fino in fondo il destino di amore e morte cui la condanna la propria sconvolgente passione.

Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era
più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore
due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai – di nulla. Le
5 donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia,
con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava1 i loro
figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava
dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso,2 fossero
stati davanti all’altare di Santa Agrippina.3 Per fortuna la Lupa non veniva mai in
10 chiesa né a Pasqua, né a Natale, né per ascoltar messa, né per confessarsi. – Padre
Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei.
Maricchia,4 poveretta, buona e brava ragazza, piangeva di nascosto, perché era
figlia della Lupa, e nessuno l’avrebbe tolta5 in moglie, sebbene ci avesse la sua bella
roba6 nel cassettone, e la sua buona terra al sole,7 come ogni altra ragazza del
15 villaggio.
Una volta la Lupa si innamorò di un bel ragazzo che era tornato da soldato,
e mieteva il fieno con lei nelle chiuse8 del notaro,9 ma proprio quello che si dice
innamorarsi, sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del corpetto, e provare,
fissandolo negli occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno, in fondo alla
20 pianura. Ma colui seguitava a mietere tranquillamente col naso sui manipoli,10 e le
diceva: «O che avete, gnà11 Pina?». Nei campi immensi, dove scoppiettava soltanto
il volo dei grilli, quando il sole batteva a piombo, la Lupa affastellava12 manipoli
su manipoli, e covoni su covoni, senza stancarsi mai, senza rizzarsi un momento
sulla vita, senza accostare le labbra al fiasco,13 pur di stare sempre alle calcagna di
25 Nanni, che mieteva e mieteva, e le domandava di quando in quando: «Che volete,
gnà Pina?».
Una sera ella glielo disse, mentre gli uomini sonnecchiavano nell’aia, stanchi
della lunga giornata, ed i cani uggiolavano per la vasta campagna nera: «Te voglio!
Te che sei bello come il sole, e dolce come il miele. Voglio te!».
30 «Ed io invece voglio vostra figlia, che è zitella», rispose Nanni ridendo.
La Lupa si cacciò le mani nei capelli, grattandosi le tempie senza dir parola, e se
ne andò, né più comparve nell’aia. Ma in ottobre rivide Nanni, al tempo che cavavano

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l’olio, perché egli lavorava accanto alla sua casa, e lo scricchiolìo del torchio
non la faceva dormire tutta notte.
35 «Prendi il sacco delle ulive», disse alla figliuola, «e vieni con me».
Nanni spingeva colla pala le ulive sotto la macina, e gridava ohi! alla mula
perché non si arrestasse. «La vuoi mia figlia Maricchia?», gli domandò la gnà Pina.
«Cosa gli date14 a vostra figlia Maricchia?», rispose Nanni. «Essa ha la roba di suo
padre, e dippiù io le dò la mia casa; a me mi basterà che mi lasciate un cantuccio
40 nella cucina, per stendervi un po’ di pagliericcio». «Se è così se ne può parlare a
Natale», disse Nanni. – Nanni era tutto unto e sudicio dell’olio e delle ulive messe
a fermentare, e Maricchia non lo voleva a nessun patto; ma sua madre l’afferrò pe’
capelli, davanti al focolare, e le disse co’ denti stretti: «Se non lo pigli ti ammazzo!».
La Lupa era quasi malata, e la gente andava dicendo che il diavolo quando
45 invecchia si fa eremita. Non andava più in qua e in là; non si metteva più sull’uscio,
con quegli occhi da spiritata.15 Suo genero,16 quando ella glieli piantava in
faccia quegli occhi, si metteva a ridere, e cavava fuori l’abitino della Madonna17 per
segnarsi.18 Maricchia stava in casa ad allattare i figliuoli, e sua madre andava nei
campi, a lavorare cogli uomini, proprio come un uomo, a sarchiare,19 a zappare, a
50 governare le bestie, a potare le viti, fosse stato greco e levante di gennaio,20 oppure
scirocco di agosto, allorquando i muli lasciavano cader la testa penzoloni, e gli uomini
dormivano bocconi a ridosso del muro a tramontana. In quell’ora fra vespero e
nona, in cui non ne va in volta femmina buona
,21 la gnà Pina era la sola anima viva che
si vedesse errare per la campagna, sui sassi infuocati delle viottole, fra le stoppie
55 riarse dei campi immensi, che si perdevano nell’afa, lontan lontano, verso l’Etna
nebbioso, dove il cielo si aggravava22 sull’orizzonte.
«Svegliati!», disse la Lupa a Nanni che dormiva nel fosso, accanto alla siepe
polverosa, col capo fra le braccia. «Svegliati, ché ti ho portato il vino per rinfrescarti
la gola».
60 Nanni spalancò gli occhi imbambolati, fra veglia e sonno, trovandosela dinanzi
ritta, pallida, col petto prepotente, e gli occhi neri come il carbone, e stese
brancolando le mani.
«No! non ne va in volta femmina buona nell’ora fra vespero e nona!», singhiozzava
Nanni, ricacciando la faccia contro l’erba secca del fossato, in fondo in fondo,
65 colle unghie nei capelli. «Andatevene! Andatevene! non ci venite più nell’aia!».
Ella se ne andava infatti, la Lupa, riannodando le trecce superbe, guardando
fisso dinanzi ai suoi passi nelle stoppie calde, cogli occhi neri come il carbone.
Ma nell’aia ci tornò delle altre volte, e Nanni non le disse nulla; e quando tardava
a venire, nell’ora fra vespero e nona, egli andava ad aspettarla in cima alla viottola
70 bianca e deserta, col sudore sulla fronte; – e dopo si cacciava le mani nei capelli, e
le ripeteva ogni volta: «Andatevene! andatevene! Non ci tornate più nell’aia!». Maricchia
piangeva notte e giorno, e alla madre le piantava in faccia gli occhi ardenti di

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lagrime e di gelosia, come una lupacchiotta anch’essa, quando la vedeva tornare da’
campi pallida e muta ogni volta. «Scellerata!», le diceva. «Mamma scellerata!».
75 «Taci!».
«Ladra! ladra!».
«Taci!».
«Andrò dal brigadiere, andrò!».
«Vacci!».
80 E ci andò davvero, coi figli in collo,23 senza temere di nulla, e senza versare
una lagrima, come una pazza, perché adesso l’amava anche lei quel marito che le
avevano dato per forza, unto e sudicio dalle ulive messe a fermentare.
Il brigadiere fece chiamare Nanni, e lo minacciò della galera, e della forca.
Nanni si diede a singhiozzare ed a strapparsi i capelli; non negò nulla, non tentò
85 scolparsi. «È la tentazione!», diceva; «è la tentazione dell’inferno!». Si buttò ai piedi
del brigadiere supplicandolo di mandarlo in galera.
«Per carità, signor brigadiere, levatemi da questo inferno! fatemi ammazzare,
mandatemi in prigione; non me la lasciate veder più, mai! mai!».
«No!», rispose però la Lupa al brigadiere. «Io mi son riserbato un cantuccio
90 della cucina per dormirvi, quando gli ho data la mia casa in dote. La casa è mia.
Non voglio andarmene!».
Poco dopo, Nanni s’ebbe nel petto un calcio dal mulo e fu per morire; ma il
parroco ricusò di portargli il Signore24 se la Lupa non usciva di casa. La Lupa se ne
andò, e suo genero allora si poté preparare ad andarsene anche lui da buon cristiano;
95 si confessò e comunicò con tali segni di pentimento e di contrizione che tutti i
vicini e i curiosi piangevano davanti al letto del moribondo. E meglio sarebbe stato
per lui che fosse morto in quel tempo, prima che il diavolo tornasse a tentarlo e
a ficcarglisi nell’anima e nel corpo quando fu guarito. «Lasciatemi stare!», diceva
alla Lupa; «per carità, lasciatemi in pace! Io ho visto la morte cogli occhi! La povera
100 Maricchia non fa che disperarsi. Ora tutto il paese lo sa! Quando non vi vedo è
meglio per voi e per me…».
Ed avrebbe voluto strapparsi gli occhi per non vedere quelli della Lupa, che
quando gli si ficcavano ne’ suoi gli facevano perdere l’anima ed il corpo. Non
sapeva più che fare per svincolarsi dall’incantesimo. Pagò delle messe alle anime
105 del Purgatorio e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A Pasqua andò a
confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasciconi25 sui ciottoli del
sacrato innanzi alla chiesa, in penitenza, e poi, come la Lupa tornava a tentarlo:
«Sentite!», le disse, «non ci venite più nell’aia, perché se tornate a cercarmi,
com’è vero Iddio, vi ammazzo!».
110 «Ammazzami», rispose la Lupa, «ché non me ne importa; ma senza di te non
voglio starci».
Ei come la scorse da lontano, in mezzo a’ seminati verdi, lasciò26 di zappare la
vigna, e andò a staccare la scure dall’olmo. La Lupa lo vide venire, pallido e stralunato,
colla scure che luccicava al sole, e non si arretrò di un sol passo, non chinò gli occhi,
115 seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi, e
mangiandoselo con gli occhi neri. «Ah! malanno all’anima vostra!», balbettò Nanni.

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      Dentro il testo

I contenuti tematici

Come accade in Rosso Malpelo, anche in questo caso l’inizio della novella mostra con evidenza il tentativo dell’autore di far vivere i personaggi di forza propria, celandosi dietro lo sguardo del mondo al quale essi appartengono: Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano (rr. 1-3). Abbiamo evidenziato avverbi, congiunzioni e pronomi che, nell’economia dei significati, hanno un’importanza quasi maggiore rispetto agli aggettivi. Queste parti del discorso tradiscono infatti da subito il meccanismo deformante con cui il paese si relaziona con l’inquietante magnetismo sessuale della donna. In altre parole, avvertiamo «lo sguardo cupido degli uomini e i commenti delle comari: il peso del loro giudizio» (Cigliana); e, contemporaneamente, intuiamo che quello sguardo e quelle labbra sono all’origine di una tragedia.

Verga cede la parola al coro contadino, specialmente quello femminile, che demonizza la gnà Pina, raffigurandola come una creatura minacciosa e diabolica, bramosa di sesso ed esorcizzabile solo con un salvifico segno della croce, mediante il quale allontanare o annullare la sua influenza maligna (Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, rr. 4-5). Dominata dalla pulsione erotica, selvaggia incarnazione di una sorta di mito della passione, la protagonista viene degradata a essere animale e randagio, come suggeriscono le similitudini zoomorfe (cagnaccia, r. 5; lupa affamata, r. 6; spolpava i loro figliuoli e i loro mariti, rr. 6-7), che ne simboleggiano l’esclusione dalla comunità.

Questa divoratrice di uomini, tuttavia, non fa nulla per essere accettata, anzi vive il proprio ruolo di trasgressiva sovvertitrice delle norme sociali, sfidando la remissiva figlia Maricchia e seducendone il marito, il giovane bracciante Nanni. Spezzando il più importante vincolo familiare e coinvolgendo l’amante in un torbido adulterio, la Lupa ha scelto, lucidamente, di rimanere fino in fondo fedele all’immagine stregonesca e maledetta che le è stata cucita addosso. La sua morte è infatti l’ultimo, eroico segno di coerenza al suo destino di donna-vampiro votata al martirio: piuttosto che rinunciare all’amore del genero, preferisce affermare vitalisticamente la propria identità e farsi uccidere (Ammazzami […] ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci, rr. 110-111), andandogli incontro in atto di sfida.

Quanto a Nanni, troppo debole per resistere alla tentazione (trovandosela dinanzi ritta, pallida, col petto prepotente, e gli occhi neri, rr. 60-61), prima oscilla tra rifiuto (Andatevene! Andatevene! non ci venite più nell’aia, r. 65) e desiderio (egli andava ad aspettarla, r. 69), poi finisce per trasgredire anch’egli alla norma. Per rompere l’incantesimo e liberarsi da una forza che non può controllare, ancora preda di una fascinazione diabolica, non gli rimane – incerto, pallido e stralunato, rr. 113-114 – che autocondannarsi all’assassinio, come il finale, se pure sospeso, lascia presagire.

Intorno alla Lupa Verga crea un’atmosfera carica di simboli consoni al personaggio e alla sua indomita e animalesca passionalità: sassi infuocati delle viottole (r. 54), stoppie riarse dei campi immensi, che si perdevano nell’afa (rr. 54-55), un cielo che si aggravava sull’orizzonte (r. 56). Selvaggia e primordiale, torrida e assetata come la personalità focosa della protagonista, la natura si configura come uno spazio mitico e ancestrale, immobile nel ciclico ripetersi delle stagioni, regolato solo dalle ricorrenze religiose e dai ritmi del lavoro dei campi. La civiltà moderna è lontana, irraggiungibile: al suo posto, una geografia primitiva e indefinita, teatro di un mondo rusticano, che la Lupa profana con i suoi istinti selvatici.

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      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Dividi il testo in sequenze e dai a ciascuna di esse un titolo.


2 Perché la Lupa decide di dare Maricchia in moglie a Nanni?


3 Qual è l’esito della vicenda?

ANALIZZARE

4 Rintraccia nel testo le espressioni popolari, i proverbi e le costruzioni proprie del parlato.


5 Sottolinea le metafore e le similitudini che rientrano nel campo semantico della fame e della sete, poi spiega come possano essere ricondotte all’irresistibile sensualità di gnà Pina.

INTERPRETARE

6 Maricchia è definita una lupacchiotta: quali elementi del suo carattere vengono evidenziati da tale soprannome?


7 Quali motivi scorgi dietro il desiderio di Nanni di sposare Maricchia?


8 Come spieghi il cedimento di Nanni alla seduzione della suocera?

PRODURRE

9 Secondo lo studioso Vittorio Spinazzola, «mai era apparsa in Italia un’eroina letteraria che sconsacrasse tanto radicalmente il culto della femminilità domestica, sottomessa all’uomo, assorta nel compito di badare alla casa e alla prole». Commenta questo giudizio critico con un testo argomentativo di circa 20 righe.


10 Immagina di raccogliere dalla viva voce della protagonista un’aperta confessione sui suoi rapporti con la comunità che l’ha relegata ai margini. Scrivi al riguardo un testo narrativo di circa 20 righe, condotto in prima persona, dal punto di vista della Lupa.


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