La rappresentazione degli umili

Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Verga

La rappresentazione degli umili

Il contesto scelto da Verga per dare corpo al suo ideale di rappresentazione della realtà è quello popolare siciliano, fissato nella sua memoria e caratterizzato da ataviche strutture morali, culturali e sociali. Riandare a quel mondo, da cui si era allontanato per inseguire il miraggio del successo letterario, significa per l’autore tornare là dove la vita coincide ancora con la lotta quotidiana per la soddisfazione dei più elementari bisogni materiali, dove la sofferenza e le lacrime sono vere e i sentimenti non appartengono a maschere fittizie, ma a uomini e donne in carne e ossa. Come ha messo in evidenza il critico Luigi Russo, la Sicilia – soprattutto quella di Vita dei campi e dei Malavoglia – costituisce un ambiente mitico e anteriore alla Storia, che si sottrae all’estinzione perché rispetta le tradizioni tramandate da generazioni, preserva la famiglia come cellula protettiva di valori e di affetti solidali e non cede alle lusinghe borghesi del denaro.

Nel descrivere questo universo sociale, Verga non a caso attinge, oltre che al proprio ricordo e all’osservazione diretta (tanto da essere anche fra i primi a intuire le potenzialità evocative e documentarie della fotografia, ► p. 180), anche alle conoscenze che derivano dalle ricerche sul folclore effettuate sul campo dal più importante raccoglitore e studioso di tradizioni popolari siciliane, l’antropologo palermitano Giuseppe Pitrè (1841-1916).
Amori, vendette, feste religiose, processioni, favole, indovinelli, proverbi, credenze: per molti aspetti l’opera verghiana rappresenta una sorta di enciclopedia delle manifestazioni e delle usanze custodite dal mondo popolare di marinai, contadini, pastori e minatori, studiate nella loro concretezza storica con scrupolo di scienziato, ma rivissute drammaticamente con l’anima dell’artista, che non si limita a “copiare” il popolo, ma lo interpreta nella sua mentalità e nelle sue convenzioni.

La Sicilia è dunque per Verga il teatro ideale per superare il sentimentalismo degli esordi narrativi e per descrivere l’unico mondo che gli appare vero, quell’universo di umili che combattono per l’esistenza, a modo loro eroi caratterizzati da una decisa caparbietà e da una «rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti», come si legge nella novella Fantasticheria.
Il destino dei personaggi verghiani non può essere mutato, semmai accelerato: valga per tutte l’esperienza di Rosso Malpelo, che assolve fino in fondo la funzione di testimone dell’oppressione, andando incontro alla morte come a una liberazione. Nella sua elementare filosofia, Malpelo sa che il povero non ha scampo e deve soggiacere a una legge e a un fato più forti di lui. A questo futuro già scritto egli sa adattarsi, ma senza scendere a compromessi: chiuso nei suoi rancori e nei suoi affetti, il ragazzo ha il coraggio tuttavia di ribellarsi in silenzio, esasperando la propria solitudine, vissuta con spietata consapevolezza come una condizione umana che tocca a tutti gli sconfitti, relegati ai margini del proprio tempo.

I personaggi di Verga appartengono alla schiera dei «deboli che restano per la via», tuttavia essi non per questo sono fatti oggetto di pietismo: liquidando il populismo presente nella nostra letteratura tardoromantica, l’autore non concede alle vittime né un aristocratico paternalismo né la vaga consolazione che la sventura patita sia manzonianamente «provvida», perché possibilità di riscatto o di liberazione non esistono, né sulla terra né in cielo.

Al cuore della letteratura - volume 5
Al cuore della letteratura - volume 5
Il secondo Ottocento