Uno schivo seduttore
Nel 1881, in una lettera all’amico Luigi Capuana, Verga lo invita – anzi quasi lo supplica – a scrivere al suo posto una breve autobiografia richiestagli da un giornalista francese: «Tu mi conosci abbastanza per dire quello che può interessare la curiosità banale di questo genere, senza cascare nel ridicolo di farmi posare pel ritratto». Basterebbe questo aneddoto per confermare un consolidato luogo comune sull’autore dei Malavoglia: il suo temperamento schivo, ai limiti del patologico.
Il successo mondano
Ma le cose stanno davvero in questi termini? Il riservato Verga, che passa in scontroso isolamento gli ultimi anni della sua esistenza, lontano dai riflettori e dal pubblico, in realtà non è sempre stato così ritroso. Basta seguirne le tracce nel ventennio d’oro milanese, dove il suo volto olivastro dai lineamenti fini, i capelli neri ricciuti e l’ammiccante riservatezza nel dialogo ne fanno una figura affascinante nel mondo dei salotti.
La scelta della solitudine
Questo gran signore, di frequente oppresso dai debiti, è uno scapolo convinto. «Amo la mia libertà, la mia indipendenza assoluta e la mia dignità. Per amor di Dio non cambiate tutto questo in una catena che diverrebbe odiosa a entrambi», scrive a una delle sue amanti. Di fronte a qualsiasi proposta matrimoniale, Verga si ritira nella sua riservata solitudine. Più che la presenza di una moglie, gli stanno a cuore la propria libertà e la cura delle proprietà: i medesimi interessi di diversi personaggi delle sue novelle. Nonostante ciò, ovunque lo accompagna una fama di irresistibile dongiovanni. I suoi successi galanti non si contano e suscitano gelosie illustri come quella di Carducci, il quale sentendo da lui minacciata la propria relazione con una delle sue muse, Lidia (Carolina Cristofori Piva), definisce senza mezzi termini l’antagonista «falso cavaliere e in tutto imbecille uomo», «rifiuto isolano», «vigliacco ridicolo parvenu».