La centralità dell’esperienza

Il Seicento – L'autore: Galileo Galilei

 T1 

Il libro dell’universo

Il Saggiatore, cap. 6


In questo brano tratto dal Saggiatore Galileo polemizza con il rivale Orazio Grassi, sostenendo che è profondamente sbagliato cercare di studiare la natura attraverso le opinioni di autori di testi letterari, del tutto alieni da preoccupazioni di veridicità. Secondo Galileo, la scienza non ha bisogno della falsa autorità dei libri, ma del contatto diretto con i fenomeni osservati.

Egli1 di nuovo vuol pure ch’io abbia reputato gran mancamento nel padre Grassi2
l’aver egli aderito alla dottrina di Ticone,3 e risentitamente domanda: Chi ei4 doveva
seguitare?5 forse Tolomeo,6 la cui dottrina7 dalle nuove osservazioni in Marte è
scoperta per falsa?8 forse il Copernico,9 dal quale più presto si deve rivocar ognuno,10
5 mercé dell’ipotesi ultimamente dannata?11 Dove io noto più cose: e prima
replico, ch’è falsissimo ch’io abbia mai biasimato il seguitar Ticone, ancor che con
ragione avessi potuto farlo, come pur finalmente dovrà restar manifesto12 a i suoi
aderenti per l’Antiticone del signor cavalier Chiaramonte;13 sì che14 quanto qui
scrive il Sarsi, è molto lontano dal proposito; e molto più fuor del caso15 s’introducono
10 Tolomeo e Copernico, de’ quali non si trova che scrivessero mai parola
attenente a distanze, grandezze, movimenti e teoriche di comete,16 delle quali sole,
e non d’altro, si è trattato,17 e con altrettanta occasione vi si potevano accoppiare
Sofocle, e Bartolo, o Livio.18 Parmi,19 oltre a ciò, di scorgere nel Sarsi ferma credenza,20
che nel filosofare21 sia necessario appoggiarsi all’opinioni di qualche celebre
15 autore, sì che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d’un altro,22
ne dovesse in tutto rimanere sterile ed infeconda; e forse stima23 che la filosofia sia
un libro e una fantasia d’un uomo, come l’Iliade e l’Orlando furioso, libri ne’ quali
la meno importante cosa è che quello che vi è scritto sia vero. Signor Sarsi, la cosa

 >> pag. 76 

non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente
20 ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se
prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto.
Egli 24 è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche, senza i quali mezi25 è impossibile a intenderne umanamente parola;
senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.26
25 Ma posto pur anco,27 come al Sarsi pare, che l’intelletto nostro debba farsi
mancipio28 dell’intelletto d’un altr’uomo […], e che nelle contemplazioni de’ moti
celesti si debba aderire ad alcuno, io non veggo per qual ragione ei s’elegga Ticone,
anteponendolo a Tolomeo e a Nicolò Copernico, de’ quali due abbiamo i sistemi
del mondo interi e con sommo artificio costrutti e condotti al fine;29 cosa ch’io
30 non veggo che Ticone abbia fatta, se già al Sarsi non basta l’aver negati gli altri due
e promessone un altro, se ben poi non esseguito.30

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il brano presenta una vivace critica di Galileo nei confronti della cultura del suo tempo. Mentre padre Grassi, per avanzare le proprie argomentazioni, cerca di appoggiarsi all’opinioni di qualche celebre autore (rr. 14-15), Galileo sostiene che per conoscere la verità è necessario osservare direttamente ciò che ci circonda. Per comprendere l’universo non ci si può dunque affidare alla fantasia d’un uomo (r. 17), ma alle verità che ci offre la matematica, perché la natura segue leggi che possono essere scoperte, comprese e interpretate soltanto attraverso il linguaggio sintetico e analitico dei numeri e delle forme geometriche. Senza questo prezioso strumento di indagine, all’uomo non rimarrebbe che aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto (r. 24), smarrito all’interno di un mondo del tutto incomprensibile.

La conoscenza nasce dunque dalla natura: Galileo mette così in discussione il principio d’autorità, il cosiddetto ipse dixit, l’idea cioè che per procedere nella scienza sia necessario basarsi pedissequamente su concetti non verificati né verificabili, forti soltanto del nome di chi li ha affermati, spesso a partire da una visione erronea del mondo. Il metodo galileiano è invece di tipo induttivo: si deve partire dall’osservazione dei fenomeni concreti per trarne leggi e regole di validità generale.

Le scelte stilistiche

L’immagine centrale del ragionamento galileiano è la metafora* dell’universo come un libro che bisogna saper leggere. Non si tratta di una trovata originale, essendo stata riproposta, in tempi relativamente vicini all’autore, anche dal filosofo umanista Pico della Mirandola e da molti scrittori rinascimentali, tra cui Tommaso Campanella. Tuttavia il concetto acquista qui una forza espressiva nuova nell’evidenziare che la scrittura in un tale libro non deve essere poetica o fantastica, ma razionale e matematica. Impadronirsi di questo linguaggio rappresenta la condizione propedeutica a comprendere le leggi dell’universo e la ricchezza della natura in tutta la sua varietà.

 >> pag. 77 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 A quale proposito l’autore si riferisce all’Iliade e all’Orlando furioso (r. 17)?


2 Spiega la metafora sì che la mente nostra, quando non si maritasse col discorso d’un altro, ne dovesse in tutto rimanere sterile ed infeconda (rr. 15-16).


3 Spiega, in relazione al contesto, il seguente periodo: La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo) (rr. 19-20).

ANALIZZARE

4 Nella frase quando [la mente nostra] non si maritasse col discorso d’un altro (r. 15) quale figura retorica riconosci?

  •   A   Iperbole.
  •     Similitudine.
  •     Metafora.
  •     Sineddoche.

INTERPRETARE

5 Quale funzione espressiva svolgono le interrogative dirette delle rr. 2-5?


 T2 

Le aquile e gli storni

Il Saggiatore, cap. 9


Il brano del Saggiatore che riportiamo espone la soluzione galileiana al problema delle comete (soluzione errata: per Galileo sarebbero delle illusioni ottiche). Qui l’autore sostiene che non c’è alcuna relazione tra la veridicità di una teoria o di una scuola filosofica e il numero dei suoi seguaci.

Il signor Mario,1 con isperanza di far cosa grata e profittevole2 agli studiosi del vero,
propose con ogni modestia, che per l’avvenire fusse3 bene considerare l’essenza della
Cometa, e s’ella4 potesse esser cosa non reale, ma solo apparente, e non biasimò
il padre Grassi5 né altri, che per l’addietro6 non l’avesser fatto. Il Sarsi7 si leva su, e
5 con mente alterata cerca di provare, la dubitazione8 essere stata fuor di proposito,
ed esser di più manifestamente falsa; tuttavia per trovarsi, come si dice, in utrumque
paratus,9 in ogni evento ch’ella10 apparisse pur degna di qualche considerazione, per
ispogliarmi di quella lode che arrecar mi potesse, la predica per cosa vecchia11 del

 >> pag. 78 

Cardano12 e del Telesio,13 ma disprezzata dal suo Maestro come fantasia di filosofi
10 deboli e di niun seguito14 […]. Forse crede il Sarsi, che de’ buoni filosofi se ne trovino
le squadre intere dentro ogni ricinto15 di mura? Io, signor Sarsi, credo che volino
come l’aquile, e non come gli storni.16 È ben vero che quelle,17 perché son rare, poco
si veggono18 e meno si sentono, e questi,19 che volano a stormi, dovunque si posano,
empiendo il ciel di strida e di rumori,20 metton sozzopra21 il mondo. Ma pur
15 fussero22 i veri filosofi come l’aquile, e non più tosto23 come la fenice.24 Signor Sarsi,
infinita è la turba de gli sciocchi,25 cioè di quelli che non sanno nulla; assai son quelli
che sanno pochissimo di filosofia; pochi son quelli che ne sanno qualche piccola
cosetta; pochissimi quelli che ne sanno qualche particella; un solo Dio è quello che
la sa tutta. Sì che,26 per dir quel ch’io voglio inferire,27 trattando della scienza che per
20 via di dimostrazione e di discorso28 umano si può da gli uomini conseguire, io tengo
per fermo che quanto più essa participerà di perfezzione,29 tanto minor numero di
conclusioni prometterà d’insegnare, tanto minor numero ne dimostrerà, ed in conseguenza
tanto meno alletterà, e tanto minore sarà il numero de’ suoi seguaci:30 ma,
per l’opposito, la magnificenza de’ titoli, la grandezza e numerosità delle promesse,
25 attraendo la natural curiosità de gli uomini e tenendogli perpetuamente ravvolti in
fallacie 31 e chimere,32 senza mai far loro gustar l’acutezza d’una sola dimostrazione,
onde il gusto risvegliato abbia a conoscer l’insipidezza de’ suoi cibi consueti,33 ne
terrà numero infinito occupato; e gran ventura sarà d’alcuno che, scorto34 da straordinario
lume naturale, si saprà torre35 da i tenebrosi e confusi laberinti ne i quali si
30 sarebbe coll’universale36 andato sempre aggirando e tuttavia più37 avviluppando. Il
giudicar dunque dell’opinioni d’alcuno in materia di filosofia dal numero de i seguaci,
lo tengo poco sicuro. Ma ben ch’io stimi,38 piccolissimo poter esser il numero de i
seguaci della miglior filosofia, non però39 concludo, pel converso,40 quelle opinioni
e dottrine esser necessariamente perfette, le quali ànno pochi seguaci; imperocché41
35 io intendo molto bene, potersi da alcuno tenere opinioni tanto erronee, che da tutti
gli altri restino abbandonate. Ora, da qual de’ due fonti derivi la scarsità de’ seguaci
de’ due autori nominati dal Sarsi per infecondi e derelitti,42 io non lo so, né ho fatto
studio tale nell’opere loro, che mi potesse bastar per giudicarle.

 >> pag. 79 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

In questo passo del Saggiatore l’autore replica alla critica mossa da Lotario Sarsi (pseudonimo di Orazio Grassi) a Mario Guiducci, il quale aveva proposto di considerare le comete come mere illusioni ottiche. Galileo contesta la natura della critica di Sarsi, che consiste in questo assunto: se una teoria scientifica, come nel caso di quella proposta da Guiducci, ha scarso seguito, non può essere valida. Galileo sostiene al contrario che è molto probabile che le teorie veritiere abbiano pochissimi seguaci, perché una descrizione della realtà è tanto più plausibile quanto minor numero di conclusioni prometterà d’insegnare (rr. 21-22): le teorie di portata più limitata sono meno attraenti per il pubblico, il quale è sempre desideroso di verità che abbraccino tutto il campo dell’esperienza umana.

L’autore dichiara di provare un piacere intenso, quasi “culinario”, nel leggere una dimostrazione acuta. Questo mette in luce quanto fosse forte la passione che lo muoveva, ma anche quale ruolo rivestisse l’aspetto logico del suo filosofare e ricercare: il contributo di Galileo al pensiero e alla civiltà occidentali non va circoscritto alle sole scoperte scientifiche, ma va esteso anche all’aspetto formale del suo lavoro, cioè all’incedere serrato delle argomentazioni e al rigore logico delle riflessioni, che hanno dato una forma ben definita al ragionamento induttivo, dalla quale la filosofia e la scienza moderna non hanno più potuto prescindere.

Le scelte stilistiche

Pur senza venir meno alla precisione scientifica, i libri di Galileo sono scritti in una prosa elegante e misurata, non priva di preziosismi letterari. Non mancano, per esempio, citazioni latine (come l’espressione virgiliana in utrumque paratus, rr. 6-7), o figure retoriche come il climax* (assai son quelli che sanno pochissimo di filosofia; pochi son quelli che ne sanno qualche piccola cosetta; pochissimi quelli che ne sanno qualche particella; un solo Dio è quello che la sa tutta, rr. 16-19), né strutture ipotattiche sapientemente architettate (la magnificenza de’ titoli, la grandezza e numerosità delle promesse, attraendo la natural curiosità de gli uomini e tenendogli perpetuamente ravvolti in fallacie e chimere, senza mai far loro gustar l’acutezza d’una sola dimostrazione, onde il gusto risvegliato abbia a conoscer l’insipidezza de’ suoi cibi consueti, ne terrà numero infinito occupato, rr. 24-28).

In più, Galileo ricorre qui a formule tese a rendere il discorso incisivo: in un punto, per esempio, l’autore scrive che il Sarsi si leva su (r. 4), espressione che semplicemente descrive l’azione del contendente che, alterato, si alza in piedi per controbattere alle opinioni del Guiducci. Sempre per dare maggiore pregnanza rappresentativa al suo testo, Galileo istituisce un’efficace similitudine* tra i veri filosofi e le aquile, che sono rare e volano solitarie, in opposizione agli storni, i quali simboleggiano la gente comune, che sa poco o nulla di filosofia. Tuttavia, pur ricorrendo a espedienti retorici come le metafore*, la prosa galileiana resta scarna ed essenziale, perché scopo dell’autore non è quello di stupire con l’eleganza del dettato, come avrebbe fatto un trattatista barocco, bensì quello di trasmettere al lettore i contenuti della nuova scienza, convincendolo della loro validità epistemologica.

 >> pag. 80 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 A quale proposito Sarsi parla di Cardano e Telesio (r. 9)?

ANALIZZARE

2 In pochi son quelli che... pochissimi quelli che... un solo Dio è quello che... (rr. 17-19) c’è una figura retorica. Quale?

  •   A   Metafora.
  •     Similitudine.
  •     Climax.
  •     Chiasmo.

INTERPRETARE

3 Spiega, in relazione al contesto, il seguente periodo: ben ch’io stimi, piccolissimo poter esser il numero de i seguaci della miglior filosofia, non però concludo, pel converso, quelle opinioni e dottrine esser necessariamente perfette, le quali ànno pochi seguaci (rr. 32-34).

PRODURRE

4 Scrivi un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe in cui confronti i due brani antologizzati tratti dal Saggiatore, evidenziando analogie e differenze sul piano tematico e stilistico.


La centralità dell’esperienza

Uno sconvolgimento così rivoluzionario qual è quello portato dalle teorie cosmologiche galileiane si deve a un procedimento sperimentale, che fa convergere in un’unica direzione la scienza e la tecnica o, se si preferisce, la teoria e la pratica: sono le osservazioni astronomiche che Galileo compie mediante l’uso del cannocchiale a permettergli di confutare l’opinione comune, secondo la quale tutti i pianeti e i corpi celesti, a eccezione delle stelle fisse, giravano intorno alla Terra. Nelle opere di Galileo, infatti, le ricerche scientifiche e le acquisizioni tecniche sono strettamente connesse tra loro: l’elaborazione concettuale e speculativa non può rimanere su un piano astratto, ma deve sposarsi con gli esempi pratici e i risultati verificabili. Anzi si può dire che per formulare soluzioni di carattere generale occorre partire sempre dalla risoluzione di problemi concreti.

Quest’ottica pragmatica matura in Galileo durante la frequentazione degli ambienti produttivi della Repubblica di Venezia, come l’arsenale, dove egli può studiare le soluzioni pratiche escogitate dagli “arsenalotti”, gli operai dei cantieri, che non sempre sono pienamente consapevoli di tutte le possibili applicazioni del loro lavoro. Abbandonando ogni aristocratico disprezzo nei confronti del lavoro manuale e dell’attività degli “artefici”, cioè degli artigiani, degli ingegneri, degli architetti, e anzi scambiando informazioni con loro, Galileo elabora un approccio assolutamente inedito allo studio della realtà naturale.

Già a partire dal suo primo scritto, La bilancetta, composto nel 1586, si può notare come lo scienziato pisano si interessi all’aspetto tecnico e pratico degli esperimenti da lui condotti, assicurandosi perfino di offrire le indicazioni necessarie affinché chiunque li possa riprodurre per conto proprio, verificando così l’affidabilità dei risultati ottenuti: «Per fabricar dunque la bilancia, piglisi un regolo lungo almeno due braccia, e quanto più sarà lungo più sarà esatto l’istrumento». Molti anni dopo, le ricerche contenute nel suo ultimo lavoro, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, costituiranno «l’atto di nascita di un nuovo sapere», che integra scienza e tecnica in un connubio grazie al quale «un corpus organico di teorie può essere per la prima volta applicato alla ingegneria civile e alla scienza delle costruzioni» (Rossi).

Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento