2 - Le opere

Il Seicento – L'autore: Galileo Galilei

cronache dal passato

Galileo a processo

Un libero pensatore in conflitto con la Chiesa del tempo


Mercoledì 22 giugno 1633: Galileo si presenta davanti ai giudici del Santo Uffizio, a Roma, nella grande sala del convento dei domenicani di Santa Maria sopra Minerva, vicinissimo al Pantheon. I capi di imputazione contro di lui sono due: aver attribuito validità scientifica ai calcoli di Copernico e aver contravvenuto al divieto, emanato nel 1616, di sostenere le tesi copernicane.

La decisione di abiurare
Lo scienziato, pur di salvarsi la vita, ha deciso di abiurare, cioè di rinnegare le sue idee, risultato di quegli studi cui aveva dedicato tutta la sua esistenza. Non sappiamo se l’abbia fatto per codardia, per paura della morte o della tortura, o se invece abbia deciso di piegarsi all’autorità ecclesiastica per poter continuare le proprie ricerche, come poi in effetti farà, scrivendo i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.
Quello che sappiamo è che uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi si inginocchia davanti agli inquisitori e pronuncia questa abiura: «Con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto i suddetti errori et heresie […] e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simil sospitione [sospetto], ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d’heresia, lo denuntiarò a questo Sant’Uffizio». Esiste una tradizione popolare, non confermata da alcun documento ufficiale, secondo la quale Galileo, dopo aver pronunciato queste parole, avrebbe battuto la terra con un piede, pronunciando la celebre frase: «Eppur si muove!».

La sconfitta del libero pensiero
Sette giudici su dieci firmano la condanna di Galileo, che non segna solo la sua sconfitta, ma anche quella di chi, all’interno della Chiesa, aveva sperato in un rinnovamento della Galileo a processo cronache dal passato cultura. Molti intellettuali rimangono colpiti da questo avvenimento. Sul momento la sconfitta appare totale, ma la rete di discepoli e seguaci di Galileo in tutta Europa manterrà vivi i contatti e gli scambi. E le ricerche da lui iniziate continueranno, dando nuovi frutti.

La riabilitazione da parte della Chiesa
Recente è la completa riabilitazione di Galileo da parte della Chiesa. Nel 1979, infatti, in occasione della commemorazione della nascita di Albert Einstein (1879-1955), papa Giovanni Paolo II dichiara pubblicamente di ritenere necessario un approfondimento del caso Galilei, utile a riconoscere le responsabilità della Chiesa nella sua vicenda, e il 3 luglio 1981 il pontefice istituisce a questo scopo una Commissione. Il 31 ottobre 1992 vengono presentati i risultati del suo lavoro, in un’allocuzione che sottolinea come la Chiesa abbia commesso un «errore soggettivo di giudizio».

2 Le opere

I primi trattati: scienza e tecnica

Tra il 1586 e il 1606 Galileo scrive in volgare opere come La bilancetta, Breve instruzione all’architettura militare, Trattato di fortificazione, Le Mecaniche, Le operazioni del compasso geometrico e militare, nelle quali si alternano ricerche scientifiche e acquisizioni tecniche, teoria e pratica, speculazione e applicabilità.

La bilancetta

Particolarmente interessante è il breve trattato La bilancetta, scritto nel 1586, mai stampato durante la vita dello scienziato, ma circolante in forma manoscritta tra i suoi studenti e amici: l’autore vi presenta il progetto di una bilancia idrostatica per la determinazione della densità dei corpi, a testimonianza dei suoi primi interessi nelle scienze applicate. Il modello a cui il giovane scienziato si ispira è Archimede, una predilezione significativa, dal momento che il celebre matematico siracusano era solito partire dalla risoluzione di problemi pratici per poi arrivare a formulare conclusioni di carattere generale, proprio come avrebbe poi fatto lo stesso Galileo.

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Le opere maggiori

Sidereus nuncius (Messaggero celeste)

Nel 1610 Galileo dà alle stampe il Sidereus nuncius, un breve trattato in lingua latina con il quale intende dare notizia delle sue prime scoperte astronomiche fatte grazie all’uso del cannocchiale: i monti e i crateri della Luna, i quattro satelliti di Giove (che chiama pianeti medicei, in onore del granduca Cosimo II de’ Medici, a cui dedica anche il trattato stesso), le caratteristiche della Via Lattea, le nebulose di Orione e delle Pleiadi.

Tali scoperte minano alle fondamenta la tradizionale visione dell’universo: per esempio, secondo il sistema tolemaico era impossibile che esistessero corpi celesti ruotanti intorno a un pianeta che non fosse la Terra, ma la scoperta dei satelliti di Giove confuta palesemente questo assunto. Allo stesso modo, la vera natura della superficie lunare, irregolare e non uniforme, contraddice la teoria aristotelica secondo la quale i corpi celesti sarebbero fatti di etere, ossia di una materia perfetta, eterna, trasparente e incorruttibile. Le osservazioni galileiane mostrano inoltre quanto la Terra e gli altri corpi celesti siano simili tra loro, mentre la scienza tradizionale riteneva che il mondo terrestre e quello celeste fossero fatti di materie diverse e soggetti a leggi naturali differenti.

Il testo crea enorme scalpore nel mondo scientifico, religioso e culturale dell’epoca, suscitando anche l’interesse del grande matematico e astronomo tedesco Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630). La notorietà conferita a Galileo da questo libro fa sì che le sue teorie e il suo metodo d’indagine si diffondano in tutta la comunità scientifica, persino in Cina, dove il suo nome viene traslitterato in Chia-Li-Lueh. Al tempo stesso, si manifestano già polemiche e contrarietà da parte di studiosi e intellettuali non disposti a modificare le convinzioni sulle quali si fondava la loro concezione del mondo: alcuni filosofi aristotelici, come Cesare Cremonini (1550-1631), si rifiutano di guardare nel cannocchiale; altri, dopo averlo usato, lo ritengono uno strumento diabolico, capace di alterare la realtà.

L’arte al passo con la scienza

Nella cupola della Cappella Borghese, nella chiesa romana di Santa Maria Maggiore, il pittore Ludovico Cardi (1559-1613), detto il Cigoli dal suo luogo natale (presso San Miniato, in Toscana), raffigura l’Assunzione della Vergine. Il Cigoli fu grande amico e sostenitore di Galilei, come testimonia una fitta corrispondenza tra i due; fu spesso il pittore a informare lo scienziato delle reazioni della curia romana alle scoperte sulla superficie e i moti della Luna. Dovendo rappresentare l’Assunta, egli non dipinse la Vergine su una falce di luna, come voleva l’iconografia tradizionale, ma raffigurò il satellite in modo accurato e naturalistico, come una sfera appoggiata su un cuscino di nubi, con i crateri e le ombre presenti anche nelle incisioni che accompagnano l’edizione del Sidereus nuncius. La cappella doveva servire da tomba per papa Paolo V Borghese: l’affresco del Cigoli dimostra dunque che inizialmente le più alte gerarchie ecclesiastiche non avversarono le idee di Galilei, il cui processo si sarebbe aperto solo vent’anni dopo.

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Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono

Scritto nel 1612, è il primo testo con cui, dopo la pubblicazione del Sidereus nuncius, Galileo si difende dai sostenitori della tradizione scientifica, procedendo a un’accurata e sistematica confutazione delle principali teorie aristoteliche. In quest’opera, scritta in volgare, egli sostiene l’infondatezza della posizione aristotelica secondo la quale sarebbe la forma dei vari corpi a determinarne il galleggiamento o l’affondamento.

La scelta della lingua volgare e l’adozione della forma del dialogo, preferita a quella del trattato, mostrano la consapevolezza con la quale Galileo si propone di avvicinare la scienza agli «intendenti», cioè a quegli uomini «capaci di ragione, e desiderosi di saper il vero», non dotti né eruditi, e quindi non necessariamente conoscitori del latino, ma curiosi e provvisti di una qualche istruzione. Per raggiungere questo pubblico egli rinuncia al latino e ricorre a un registro comunicativo più semplice e meno formale di quello adottato tradizionalmente dalla trattatistica scientifica.

Il Saggiatore

Nel 1618 la comparsa di tre comete nei cieli d’Europa scatena il desiderio di interpretare il fenomeno. I primi studiosi a pronunciarsi sono i gesuiti del Collegio romano: tra questi, è reputata particolarmente autorevole la figura del matematico e astronomo Orazio Grassi, il quale, nella Disputatio astronomica de tribus cometis anni MDCXVIII (Disputa astronomica sulle tre comete dell’anno 1618), definisce le comete come veri e propri corpi celesti dotati di moto circolare. Per confutare le argomentazioni del gesuita, Galileo affida una replica prima al proprio allievo Mario Guiducci (Discorso delle comete); poi, dopo la pubblicazione di un altro testo di Grassi, la Libra astronomica ac philosophica (Bilancia astronomica e filosofica), edito sotto lo pseudonimo di Lotario Sarsi, decide di entrare nella disputa in prima persona con Il Saggiatore, opera pubblicata nel 1623 dall’Accademia dei Lincei.

Scritto in volgare e in forma di lettera rivolta al poeta Virginio Cesarini (1595-1624), membro dell’Accademia, il testo vuole essere, già dal titolo, una recisa smentita delle teorie dell’avversario, analizzate e respinte punto per punto: il “saggiatore”, infatti, è una bilancia da orefice, ben più precisa di quella cui fa riferimento Grassi con il termine libra, che in latino designa una bilancia di uso generico.
Non meno provocatorio è l’impiego del volgare: l’inserimento nell’opera di alcuni passi in latino, ripresi dai testi di Grassi, e il ricorso a una lingua comprensibile anche al pubblico dei “non addetti ai lavori” vogliono sottolineare implicitamente la distanza tra un sapere ingessato in forme ormai obsolete e un nuovo metodo conoscitivo, espressione di una mentalità aperta e non più dogmatica.

Nello specifico, la tesi di Galileo in merito alla natura delle comete è errata (egli le ritiene infatti delle illusioni ottiche causate dai raggi solari), ma l’importanza dell’opera non sta nella sua valenza di testo cosmologico, bensì nella sua polemica metodologica. Lo scienziato, infatti, si scaglia, servendosi di una dialettica ironica e serrata, contro la tradizione culturale del suo tempo, incline a indugiare su aspetti ed elementi pseudoscientifici (vale a dire non dimostrati né dimostrabili) e a ricorrere persino a citazioni erudite e letterarie per accreditare tesi razionalmente infondate. La nuova scienza deve invece interpretare il “libro della Natura” con l’aiuto della matematica e della geometria, basandosi non su astratte elucubrazioni, ma su esperimenti e constatazioni empiriche (le «sensate esperienze»), che portino a conclusioni consequenziali (le «necessarie dimostrazioni»).

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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano

In questo trattato divulgativo, scritto in forma di dialogo dal 1624 al 1630 e pubblicato a Firenze nel 1632, Galileo mette a confronto le due visioni del mondo fisico: quella tolemaica e quella copernicana.

Gli interlocutori del Dialogo sono Filippo Salviati, Giovan Francesco Sagredo e Simplicio: i primi due, amici dell’autore, sono copernicani; il terzo – personaggio immaginario, che trae il nome da un commentatore di Aristotele del VI secolo d.C. – è un fervido sostenitore della visione del mondo di stampo tolemaico, portavoce di una mentalità angusta e settaria, incapace di un pensiero autonomo e chiuso a ogni ipotesi di cambiamento culturale. Mentre Sagredo, che ospita la discussione nella sua dimora patrizia sul Canal Grande veneziano, in qualità di uomo di cultura animato dalla curiosità, è un fautore entusiasta delle nuove acquisizioni scientifiche, il fiorentino Salviati può essere considerato il vero alter ego di Galileo, l’intellettuale pacato e riflessivo che simboleggia l’approccio prudente e metodico alla conoscenza e incarna la razionalità rigorosa tipica della nuova scienza.

Il Dialogo si svolge nell’arco di 4 giornate. Nella prima si confutano la distinzione aristotelica tra mondo celeste e mondo terrestre e il principio dell’immutabilità dei corpi celesti, dei quali si afferma che non sono né perfetti né immutabili, come invece sosteneva Aristotele. In seguito i personaggi dialogano sulle possibili forme di vita lunari e divagano soffermandosi sulla ricchezza del creato, fino a giungere a un elogio dell’intelletto umano, che può conoscere le cose nello stesso modo in cui le conosce Dio, anche se non nella loro totalità.

Nella seconda giornata, dopo un attacco rivolto alla «pusillanimità d’alcuni seguaci d’Aristotele » che hanno paura di «mutare opinione», si discute della posizione aristotelica secondo la quale la Terra si troverebbe in stato di quiete. In queste pagine l’autore introduce il celebre esempio della nave in movimento (già proposto da Giordano Bruno): dentro l’imbarcazione il moto è impercettibile, perché esso è «comune a tutte le cose contenute in essa ed all’aria ancora». La Terra dunque sarebbe proprio come quella nave, muovendosi di moto inerziale, non percepito dai suoi abitanti.

L’argomento principale della terza giornata è il moto annuo della Terra e dei nuovi corpi celesti avvistati in cielo in quegli anni, che costituiscono un’ulteriore conferma della validità del sistema copernicano. Se Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno ruotano attorno al Sole e non attorno alla Terra, si deve concludere che non è il nostro pianeta a essere fermo al centro dell’universo, bensì il Sole.

L’ultima giornata è dedicata alle maree. Keplero aveva pensato che fossero causate dall’attrazione della Luna (ipotesi che poi si sarebbe rivelata esatta): Galileo giudica «sciocchezze » le teorie dello studioso tedesco e ritiene (erroneamente) che questi fenomeni siano causati dalla combinazione di moto giornaliero e moto annuo della Terra e dalle conseguenti accelerazioni e decelerazioni del pianeta, simili a quelle di un contenitore in movimento nel quale si trovi un fluido. Il Dialogo si chiude con la decisione, da parte dei protagonisti, di andare a prendere il fresco in gondola, per riposarsi dopo l’acceso confronto.

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La scelta della forma dialogica è importante, perché consente all’autore di mantenere sempre viva l’attenzione del lettore, mediante una sapiente caratterizzazione dei personaggi e l’alternanza, nel testo, di parti serie e parti più leggere. Inoltre, difendendo le idee copernicane non direttamente, ma attraverso i punti di vista degli interlocutori, Galileo può eludere la censura, ponendosi formalmente come equidistante dai due sistemi cosmologici. Il dialogo gli permette poi di esporre le nuove acquisizioni scientifiche in modo non apodittico (cioè dogmatico e senza una dimostrazione), ma aperto e critico, con la disposizione d’animo di chi non possiede una verità definitiva, ma la cerca attraverso la riflessione e il confronto, nel solco di quella tradizione umanistica a cui Galileo si riallaccia: come se, pur persuaso della verità del proprio pensiero, avesse bisogno di riviverla dialetticamente in ogni istante.

La prosa di Galileo, celebrata già ai suoi tempi per la sua chiarezza, è del tutto nuova nel panorama scientifico del tempo, pervasa com’è dallo stupore, dall’umiltà dinanzi alla grandezza delle nuove scoperte, dall’ammirazione per le infinite possibilità dell’ingegno umano, dall’ironia di fronte ai piccoli uomini, che chiudono gli occhi per non vedere e contro i quali la ragione non è sufficiente. La principale innovazione stilistica galileiana sta nell’aver scritto in un volgare “letterario”, che non disprezza incursioni nel lessico parlato ed evita al contempo il tecnicismo specialistico per rivolgersi a un pubblico non specializzato e avvicinare l’ostico territorio della scienza al mondo della tecnica e dei mestieri.

Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze

L’ultima grande opera di Galileo viene pubblicata in Olanda nel 1638, cinque anni dopo la condanna del Santo Uffizio e quattro prima della morte dell’autore. Si tratta ancora di un dialogo: sviluppato in 6 giornate, esso vede contrapposti gli stessi personaggi del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, vale a dire Salviati, Sagredo e Simplicio. Non potendo più trattare, per divieto ecclesiastico, argomenti cosmologici, lo scrittore si dedica alla definizione del concetto di “moto” e alla formalizzazione dei princìpi scientifici della dinamica e della resistenza dei materiali: proprio quei princìpi che scienziati come l’inglese Isaac Newton, l’italiano Evangelista Torricelli, i francesi Joseph-Louis Lagrange e Pierre-Simon de Laplace e molti altri considereranno in seguito il fondamento della scienza moderna.

L’epistolario

La concezione della vita e dello studio tenacemente seguita da Galileo in tutta la sua esistenza lo porta a considerare il confronto, lo scambio e la condivisione come aspetti imprescindibili della sua attività scientifica e intellettuale. La riflessione non costituisce per lui un’attività puramente speculativa da vivere in solitudine: essa può raggiungere risultati concreti, determinando conseguenze importanti, solo se presuppone la presenza di un “altro”, di un destinatario – individuale o collettivo che sia – da sollecitare e con cui, se necessario, entrare in conflitto. Al di là di ragioni squisitamente biografiche, è questo aspetto culturale a spiegare la ricchezza dell’epistolario di Galileo, che raccoglie lettere indirizzate ad amici, ai familiari e a moltissime personalità della cultura, della politica e della religione.

Da questi testi – in cui vengono trattati anche temi personali, ma soprattutto argomenti scientifici, filosofici e politici – emergono, oltre alla personalità dell’autore, la sua abilità retorica e la sua perizia nell’arte di scrivere lettere. Di particolare rilevanza sono le cosiddette “lettere copernicane”, 4 epistole scritte tra il 1613 e il 1615, nelle quali Galileo cerca di convincere alcuni esponenti del mondo scientifico e politico della validità delle proprie teorie e della loro conciliabilità con le verità di fede.

Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento