Documento 4
Il testo è un appunto del 1775 tratto dai Giornali, una sorta di diario tenuto da Alfieri per alleviare
i propri conflitti interiori, prima che l’autore cominciasse a oggettivarli nei personaggi del
suo teatro.
Ci sono poche giornate nella mia vita in cui io sia stato più stupido e più ridicolo
che in questa. Dapprima alzandomi dal letto avevo qualche idea per la mia tragedia,1
ma per pigrizia mentale differii fino alla sera a scriverla e affrettandomi a
uscire, come se avessi saputo dove andare, mi vestii in furia. Passai dal mio amico
5 che avevo visto alla finestra senza stivali; ero sicuro che non sarebbe montato a cavallo;
e tuttavia salii per domandarglielo, unicamente perché non sapevo che fare
e perché quando una inutilità esce di casa, bisogna proprio che vada a spacciare
altre inutilità da un altro.
Dopo esserci rimasto un momento, annoiato di star lì, discesi le scale, montai
10 un cavallo sul quale mi misi a seguire la Guardia; ero seccato che il mio cavallo non
si spaventasse del tamburo, e avrei desiderato che facesse qualche salto, per avere
l’occasione di far ammirare la mia destrezza nel guidarlo. C’era per altro qualche
contrasto in me perché non avrei assolutamente voluto esser troppo notato, avendo
la barba lunga, e non ritenendomi in forma. Passai per tutta via Po al grandissimo
15 trotto, e benché dica che io trotto così per la salute, quando nessuno mi vede, vado al
passo o al piccolo galoppo. Montai poi tre cavalli, che ho castigato spesso a sproposito,
servendomi dispoticamente e ingiustamente dell’autorità che quelle bestie mi
hanno lasciato usurpare su di loro.
Tornai poi in via Po. Una ridicola debolezza mi ci fa passare spessissimo; so che
20 una signora che di solito passeggia per quella via, mi fa delle moine, io non me ne
curo, ma sarei seccato se non me ne facesse; se la incontro qualche volta faccio finta
di non vederla e poi mi rivolto per vedere se mi ha guardato; io dico continuamente
che nessuna donna potrebbe lusingare il mio amor proprio; tuttavia, lo confesserò
con mia grande confusione, quella che non stimo e che non amo, non manca di
25 lusingarlo un po’. Eccomi alfine di ritorno; mi vesto, mi metto a leggere: ho la testa
piena di centomila vanità cosicché presto poca attenzione a quel che leggo; mi propongo
di lavorare la sera; dico che farò a meno del ballo e che questi piaceri non
mi divertono, e non è vero; ho grande voglia di andarci e so già in anticipo che non
scriverò niente e che andrò al ballo.
30 Arriva un maestro di ballo, poi un musicista per pranzare con me; ciò mi fa
piacere, per quanto la compagnia non sia molto divertente, poiché potrò sfuggire
un po’ me stesso e così mi troverò meno umiliato.2
Vittorio Alfieri, Giornali, 17 febbraio 1775