La tensione antitirannica

Il Settecento – L'autore: Vittorio Alfieri

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Nelle tre scene qui proposte domina l’impeto visionario e delirante di Saul, che nella sua follia mescola i dati della realtà e la coscienza ancora lucida dei propri atti con le deformazioni del delirio, che prendono la forma di fantasmi e voci. Prima Saul riconosce di essere un re sconfitto, poi vorrebbe nuovamente riconquistare il prestigio perduto, gettandosi un’ultima volta in battaglia. Questa alternanza di sentimenti arriva al punto di rottura alla notizia della morte dei figli: sopraggiunge allora una solitudine immensa e totale, senza più alcuno scampo per il protagonista, al quale non rimane che rivolgere parole estreme a sé stesso (Eccoti solo, o re, v. 217), a Dio (Sei paga, / d’inesorabil Dio terribil ira?, vv. 218-219), alla propria spada (Ma, tu mi resti, o brando, v. 220) e ai nemici (Empia Filiste, v. 224). Il suicidio si prospetta in tal modo come una liberazione, che ribadisce la grandezza dell’eroe: rifiutando di fuggire e di salvarsi, egli recupera la dignità regale dinanzi a sé stesso, all’umanità e a Dio.

Il crescendo della follia di Saul è sapientemente gestito da Alfieri. Il protagonista vive sin dal principio della tragedia un forte contrasto di sentimenti, che aumenta fino a creare una tensione interna che sfocia nei primi segni di squilibrio; ma è solo nella parte finale che le passioni si trasformano in delirio. Lo stato di fragilità psichica non impedisce a Saul di ribellarsi alla propria sorte: nell’ultimo atto egli assume un atteggiamento eroico, che appare come un disperato tentativo di sottrarsi a un’angoscia opprimente. Tuttavia, egli rimane di fatto una vittima, uscendo tragicamente sconfitto dallo scontro con il destino.

Le scelte stilistiche

Nelle scene riportate domina incontrastata la figura di Saul, prossimo alla morte. A mano a mano che ci si avvicina alla conclusione, la lingua solenne del re, che prima si articolava in periodi ampi e complessi, si frantuma in frasi continuamente interrotte. Nelle battute finali aumentano le ripetizioni (Or dove, / deh! dove corri?, vv. 182-183; E tu, fellon, tu vivi?, v. 186), le invocazioni e le personificazioni*, che servono all’autore per riepilogare gli eventi cruciali e per rappresentare plasticamente i fantasmi che assillano la mente del protagonista.

Il lessico è solenne e il tono vibrante e teso: a dare risalto all’eloquenza del protagonista contribuiscono le numerose inversioni* e i chiasmi*, con un uso frequente dell’asindeto* per dare ritmo alle battute e al mutamento degli stati d’animo. Nel discorso di Saul, sempre più franto e disarticolato, finiscono con il prevalere sostantivi e verbi isolati, quasi a rappresentare il disperato tentativo di dare forma a un’angoscia destinata però a restare inesprimibile.

 >> pag. 446 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Individua i dialoghi di Saul con persone reali (Micol, Abner), quelli con le ombre percepite (Samuele) e infine i suoi stessi monologhi.

ANALIZZARE

2 Individua nel brano esempi di inversioni sintattiche. A quale scopo sono state introdotte?


3 Trova alcuni enjambement e spiega quali concetti evidenziano.


4 Al v. 219 terribil ira è

  •   A   soggetto.
  •     complemento di specificazione.
  •     complemento oggetto.
  •     complemento vocativo.

INTERPRETARE

5 Da queste scene emerge un rapporto profondo tra il padre Saul e la figlia Micol: descrivilo sinteticamente.


6 Perché il suicidio appare a Saul l’unica soluzione? Che cosa crede di poter salvare uccidendosi?

PRODURRE

7 A partire dagli anni Cinquanta del Novecento la Rai ha prodotto e trasmesso sceneggiati tratti da importanti opere letterarie: è anche il caso di Saul, di cui nel 1959 venne realizzata, per la regia di Claudio Fino, una versione televisiva con gli attori Salvo Randone (Saul), Gianmaria Volonté (David) e Valentina Fortunato (Micol). Recupera sul web le scene finali corrispondenti al brano, guardale e immagina di essere un critico televisivo: prepara una recensione di circa 20 righe delle scene viste.


 T2 

La confessione di Mirra

Mirra, atto V, scena II


Siamo nel punto più drammatico della tragedia: Pereo viene rifiutato dalla sua promessa sposa, Mirra, nel giorno del matrimonio, e per il dolore si uccide; il padre di Mirra, Ciniro, obbliga la figlia a confessare il travaglio interiore che le si legge in volto, e che lei vive con un atroce senso di colpa. Dopo una vana lotta con sé stessa, Mirra si tradisce, facendo intendere al padre l’amore incestuoso che prova verso di lui. A quel punto si getta sulla spada di Ciniro, per liberarsi definitivamente da un dolore a lungo nascosto in un cupo silenzio.


METRO Endecasillabi sciolti.

Ciniro, Mirra.
CINIRO – Mirra, che nulla tu il mio onor curassi,
creduto io mai, no, non l’avrei; convinto
me n’hai (pur troppo!) in questo dì fatale
40 a tutti noi: ma, che ai comandi espressi,
e replicati del tuo padre, or tarda
all’obbedir tu sii, più nuovo ancora
questo a me giunge.
MIRRA … Del mio viver sei
signor, tu solo… Io de’ miei gravi,… e tanti
45 falli… la pena… a te chiedeva;… io stessa,…
or dianzi,… qui… – Presente era la madre;…
deh! perché allor… non mi uccidevi?…

 >> pag. 447 

CINIRO È tempo,
tempo ormai, sì, di cangiar modi, o Mirra.
Disperate parole indarno muovi;
50 e disperati, e in un tremanti, sguardi
al suolo affissi indarno. Assai ben chiara
in mezzo al dolor tuo traluce l’onta;
rea ti senti tu stessa. Il tuo più grave
fallo, è il tacer col padre tuo: lo sdegno
55 quindi appien tu merti; e che in me cessi
l’immenso amor, che all’unica mia figlia
io già portai. – Ma che? tu piangi? e tremi?
e inorridisci?… e taci? – A te fia dunque
l’ira del padre insopportabil pena?
60 MIRRA Ah!… peggior… d’ogni morte…
CINIRO Odimi. – Al mondo
favola hai fatto i genitori tuoi,
quanto te stessa, coll’infausto fine
che alle da te volute nozze hai posto.
Già l’oltraggio tuo crudo i giorni ha tronchi
65 del misero Peréo…
MIRRA Che ascolto? Oh cielo!
CINIRO Peréo, sì, muore; e tu lo uccidi. Uscito
del nostro aspetto appena, alle sue stanze
solo, e sepolto in un muto dolore,
ei si ritrae: null’uomo osa seguirlo.
70 Io, (lasso me!) tardo pur troppo io giungo…
dal proprio acciaro trafitto, ei giacea
entro un mare di sangue: a me gli sguardi
pregni di pianto e di morte inalzava;…
e, fra i singulti estremi, dal suo labro
75 usciva ancor di Mirra il nome. – Ingrata…
MIRRA Deh! più non dirmi… Io sola, io degna sono,
di morte… E ancor respiro?…
CINIRO Il duolo orrendo
dell’infelice padre di Peréo,
io che son padre ed infelice, io solo
80 sentir lo posso; io ’l so, quanto esser debba

 >> pag. 448 

lo sdegno in lui, l’odio, il desio di farne
aspra su noi giusta vendetta. – Io quindi,
non dal terror dell’armi sue, ma mosso
dalla pietà del giovinetto estinto,
85 voglio, qual de’ padre ingannato e offeso,
da te sapere (e ad ogni costo io ’l voglio)
la cagion vera di sì orribil danno. –
Mirra, invan me l’ascondi: ah! ti tradisce
ogni tuo menom’atto. – Il parlar rotto;
90 lo impallidire, e l’arrossire; il muto
sospirar grave; il consumarsi a lento
fuoco il tuo corpo; e il sogguardar tremante;
e il confonderti incerta; e il vergognarti,
che mai da te non si scompagna:… ah! tutto,
95 sì tutto in te mel dice, e invan tu il nieghi;…
son figlie in te le furie tue… d’amore.
MIRRA Io?… d’amor?… Deh! nol credere… T’inganni.
CINIRO Più il nieghi tu, più ne son io convinto.
E certo in un son io (pur troppo!) omai,
100 ch’esser non puote altro che oscura fiamma,
quella cui tanto ascondi.
MIRRA Oimè!… che pensi?…
Non vuoi col brando uccidermi;… e coi detti…
mi uccidi intanto…
CINIRO E dirmi pur non l’osi,
che amor non senti? E dirmelo, e giurarlo
105 anco ardiresti, io ti terria spergiura. –
Ma, chi mai degno è del tuo cor, se averlo
non potea pur l’incomparabil, vero,
caldo amator, Peréo? – Ma, il turbamento
cotanto è in te;… tale il tremor; sì fera
110 la vergogna; e in terribile vicenda,
ti si scolpiscon sì forte sul volto;
che indarno il labro negheria…
MIRRA Vuoi dunque…
farmi… al tuo aspetto… morir… di vergogna?…
E tu sei padre?
CINIRO E avvelenar tu i giorni,
115 troncarli vuoi, di un genitor che t’ama
più che se stesso, con l’inutil, crudo,

 >> pag. 449 

ostinato silenzio? – Ancor son padre:
scaccia il timor; qual ch’ella sia tua fiamma,
(pur ch’io potessi vederti felice!)
120 capace io son d’ogni inaudito sforzo
per te, se la mi sveli. Ho visto, e veggo
tuttor, (misera figlia!) il generoso
contrasto orribil, che ti strazia il core
infra l’amore, e il dover tuo. Già troppo
125 festi, immolando al tuo dover te stessa:
ma, più di te possente, Amor nol volle.
La passïon puossi escusare; ha forza
più assai di noi; ma il non svelarla al padre,
che tel comanda, e ten scongiura, indegna
130 d’ogni scusa ti rende.
MIRRA – O Morte, Morte,
cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda
sempre sarai?…
CINIRO Deh! figlia, acqueta alquanto,
l’animo acqueta: se non vuoi sdegnato
contra te più vedermi, io già nol sono
135 più quasi omai; purché tu a me favelli.
Parlami deh! come a fratello. Anch’io
conobbi amor per prova: il nome…
MIRRA Oh cielo!…
Amo, sì; poiché a dirtelo mi sforzi;
io disperatamente amo, ed indarno.
140 Ma, qual ne sia l’oggetto, né tu mai,
né persona il saprà: lo ignora ei stesso…
ed a me quasi io ’l niego.
CINIRO Ed io saperlo
e deggio, e voglio. Né a te stessa cruda
esser tu puoi, che a un tempo assai nol sii
145 più ai genitori che ti adoran sola.
Deh! parla; deh! – Già, di crucciato padre,
vedi ch’io torno e supplice e piangente:
morir non puoi, senza pur trarci in tomba. –
Qual ch’ei sia colui ch’ami, io ’l vo’ far tuo.
150 Stolto orgoglio di re strappar non puote
il vero amor di padre dal mio petto.
Il tuo amor, la tua destra, il regno mio,

 >> pag. 450 

cangiar ben ponno ogni persona umìle
in alta e grande: e, ancor che umìl, son certo,
155 che indegno al tutto esser non può l’uom ch’ami.
Te ne scongiuro, parla: io ti vo’ salva,
ad ogni costo mio.
MIRRA Salva?… Che pensi?…
Questo stesso tuo dir mia morte affretta…
Lascia, deh! lascia, per pietà, ch’io tosto
160 da te… per sempre… il piè… ritragga…
CINIRO O figlia
unica amata; oh! che di’ tu? Deh! vieni
fra le paterne braccia. – Oh cielo! in atto
di forsennata or mi respingi? Il padre
dunque abborrisci? e di sì vile fiamma
165 ardi, che temi…
MIRRA Ah! non è vile;… è iniqua
la mia fiamma; né mai…
CINIRO Che parli? iniqua,
ove primiero il genitor tuo stesso
non la condanna, ella non fia: la svela.
MIRRA Raccapricciar d’orror vedresti il padre,
170 se la sapesse… Ciniro…
CINIRO Che ascolto?
MIRRA Che dico?… ahi lassa!… non so quel ch’io dica…
Non provo amor… Non creder, no… Deh! lascia,
te ne scongiuro per l’ultima volta,
lasciami il piè ritrarre.
CINIRO Ingrata: omai
175 col disperarmi co’ tuoi modi, e farti
del mio dolore gioco, omai per sempre
perduto hai tu l’amor del padre.
MIRRA Oh dura,
fera orribil minaccia!… Or, nel mio estremo
sospir, che già si appressa,… alle tante altre
180 furie mie l’odio crudo aggiungerassi
del genitor?… Da te morire io lungi?…
Oh madre mia felice!… almen concesso
a lei sarà… di morire… al tuo fianco…
CINIRO Che vuoi tu dirmi?… Oh! qual terribil lampo,
185 da questi accenti!… Empia, tu forse?…

 >> pag. 451 

MIRRA Oh cielo!
che dissi io mai?… Me misera!… Ove sono?
Ove mi ascondo?… Ove morir? – Ma il brando
tuo mi varrà…*
CINIRO Figlia… Oh! che festi? il ferro…
MIRRA Ecco,… or… tel rendo… Almen la destra io ratta
190 ebbi al par che la lingua.
CINIRO … Io… di spavento,…
e d’orror pieno, e d’ira,… e di pietade,
immobil resto.
MIRRA Oh Ciniro!… Mi vedi…
presso al morire… Io vendicarti… seppi,…
e punir me… Tu stesso, a viva forza,
195 l’orrido arcano… dal cor… mi strappasti…
Ma, poiché sol colla mia vita… egli esce…
dal labro mio,… men rea… mi moro…
CINIRO Oh giorno!
Oh delitto!… Oh dolore! – A chi il mio pianto?…
MIRRA Deh! più non pianger;… ch’io nol merto… Ah! sfuggi
200 mia vista infame;… e a Cecri… ognor… nascondi…
CINIRO Padre infelice!… E ad ingojarmi il suolo
non si spalanca?… Alla morente iniqua
donna appressarmi io non ardisco;… eppure,
abbandonar la svenata mia figlia
205 non posso…

* Rapidissimamente avventatasi al brando del padre, se ne trafigge.

 >> pag. 452 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Quest’opera della maturità – appartenente al gruppo delle ultime tragedie alfieriane – presenta un dramma diverso dagli altri: privo di contenuti politici, è intessuto su un’azione pressoché inesistente e concentrato in dialoghi vibranti che scolpiscono la complessa psicologia della protagonista. Non assistiamo dunque a un conflitto di potere, ma a un dramma dell’anima, che Mirra prova inutilmente a soffocare dietro un muro di silenzio. La donna non ha nulla di eroico: il suo dolore sembra piuttosto testimoniare la concezione pessimistica che Alfieri ha della vita umana, che non risparmia un’anima delicata e innocente dal travaglio di una misteriosa colpa che la consuma.
La fanciulla, del resto, è cosciente dell’abnormità del suo sentimento incestuoso, moralmente inaccettabile perché in conflitto con le radici stesse della convivenza civile, contraddicendo la legge naturale del sangue su cui si basano i rapporti familiari e sociali. Eppure Mirra non è in grado di reprimere il proprio amore e di cancellare il lato oscuro e terribile di sé che lo ispira: la condanna sta nella sua stessa complessa personalità e in una condizione esistenziale che fa convivere nel suo animo la razionalità e l’inconscio, la luce e il buio, un lato del carattere solare e un altro tenebroso.

Anche il padre Ciniro è una figura complessa e articolata, che oscilla tra riprovazione e comprensione, tra severità e compassione, e che è al tempo stesso, per Mirra, oggetto del desiderio e nemico da respingere. L’ambiguità e il dramma della contraddizione sconvolgono tutti gli equilibri, rendendo le persone irresolute e incapaci di agire: Mirra ora si abbandona al dolore, ora rimprovera il padre di non comprenderla, ora rifiuta il suo sposo, ora lo piange sinceramente. Solo quando il padre comprende la realtà, la tensione si libera in un grido di dolore.

La progressione che porta alla confessione di Mirra può essere letta come una sorta di climax*. Ciniro prima è sdegnato per il rifiuto della figlia e parla da genitore autoritario, nell’ottica dell’onore regale e familiare. Poi, per indurla a dichiarare le cause del suo comportamento, fa leva sui sensi di colpa della figlia, rivelandole il suicidio di Pereo: siamo qui di fronte al punto di vista della pietà e della giustizia. Infine assume l’aspetto del padre amorevole, dotato di una sensibilità acuta nel cogliere i segni dell’amore (sensibilità che, come prevede la concezione stilnovistica, egli possiede avendo conosciuto l’amore per prova, cioè in prima persona). È, quest’ultima, la prospettiva degli affetti e della passione amorosa, ed è proprio su questo terreno che Mirra, quando Ciniro minaccia di negarle il suo amore, capitola, tradendo il proprio segreto.

Le scelte stilistiche

In queste scene finali Ciniro svolge discorsi ampi, che formano nuclei compatti e si articolano su più versi tramite un uso insistito dell’enjambement*. L’indecisione che attanaglia l’animo di Mirra è resa invece con un verso spezzato e una sequenza fitta di punti di sospensione, che indicano la difficoltà a confessare. Le battute della ragazza sono brevi e continuamente interrotte: l’assedio inquisitore delle domande paterne la induce a un balbettio di difficile comprensione, composto quasi esclusivamente da interiezioni e da pause sempre più lunghe. Si tratta di un vero e proprio “linguaggio della reticenza” reso anche da altri strumenti retorici, come le negazioni, le elusioni e le ambiguità (Del mio viver sei / signor, tu solo…, vv. 43-44).

 >> pag. 453 

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Descrivi la figura paterna di Ciniro nel suo rapporto con la figlia Mirra, così come emerge da questi versi.


2 Fai la parafrasi dei vv. 150-155.

ANALIZZARE

3 Quale figura retorica è presente nell’espressione dell’infelice padre di Peréo, / io che son padre ed infelice, io solo (vv. 78-79)?


4 Individua alcuni iperbati presenti nelle battute di Mirra e illustrane la funzione espressiva.


5 I puntini di sospensione lasciano quasi sempre intuire alcune parole sottintese (soggetti, verbi, complementi oggetti): rintraccia almeno cinque esempi e spiega a che cosa di volta in volta si allude.


6 Evidenzia alcuni esempi di espressioni ambivalenti da cui la passione di Mirra traspare anche senza essere affermata esplicitamente.

INTERPRETARE

7 Confronta il personaggio di Saul con quello di Mirra, mettendo in evidenza analogie e differenze.


8 A che cosa si riferiscono i versi Il duolo orrendo / dell’infelice padre di Peréo, / io che son padre ed infelice, io solo / sentir lo posso (vv. 77-80)?


La tensione antitirannica

I personaggi delle tragedie e la vita stessa di Alfieri sono attraversati, come si è visto, da un perenne istinto di ribellione, che si rivolge ora contro figure concrete, ora contro forze oscure avvertite come un limite per l’autonomia dell’individuo. Il bisogno di libertà da qualsiasi vincolo e condizionamento si esprime nel rifiuto di ogni costrizione, morale e politica. Lo scrittore non mette in dubbio la legittimità del principio di autorità, ma è insofferente, per indole, ai confini che esso impone. Ai suoi occhi, in questo senso, tutte le forme di governo – siano esse monarchiche, oligarchiche o democratiche – minacciano di ingabbiare la personalità degli esseri umani e di inibirne desideri e impulsi.
Le tirannidi contro cui si scaglia la polemica alfieriana sono soprattutto le monarchie assolute del Settecento, alla cui condanna egli accomuna quella verso la letteratura servile prodotta dai letterati che gravitavano attorno alle corti. Tuttavia, in una prospettiva più ampia, che trascende il proprio tempo, Alfieri attribuisce il nome di tirannide a qualsiasi regime che imponga la propria forza con l’arbitrio, soffocando le virtù dei temperamenti individuali: tirannide è per Alfieri ogni sistema organizzato che annichilisce la libertà del singolo, generando paura e terrore.

La lotta del poeta contro questa forma di autoritarismo non può però definirsi davvero una battaglia politica. Il pensiero illuminista su cui egli si è formato non lo porta infatti a elaborare una coerente visione ideologica: come ha scritto Elio Gioanola, «nessuna opera è forse meno politica di quella dell’Alfieri, nel senso che ci si muove sempre tra idee assolute, contrapposizioni radicali, scelte eroiche, indipendentemente da qualsiasi riferimento alla realtà concreta e da qualsiasi articolazione teorica».
Il tiranno di cui parla Alfieri si delinea come una figura della fantasia poetica, come l’incarnazione di un potere sospettoso e crudele, corrotto e corruttore, non limitato da alcuna legge esterna alla sua volontà. In altri termini, l’autore non conduce un’analisi razionale o storica della tirannide, ma una descrizione cupa e terribile dell’oppressione, mettendo sotto accusa, con impeto libertario, la figura astratta del tiranno ed esaltando, al contrario, il coraggio della ribellione e lo spirito di libertà del singolo, senza alcuna proposta di azione collettiva.

 >> pag. 454 

Per sconfiggere la tirannide, infatti, Alfieri non fa affidamento sul popolo, che considera un «turpissimo armento» (cioè una mandria spregevole), né sulle pratiche riformatrici elaborate nel secolo dei Lumi. Egli ripone invece la propria ammirazione in pochi individui eccezionali dotati di «forte sentire»: personalità che si elevano sul volgo e che, grazie al loro coraggioso antagonismo, scelgono l’ipotesi del tirannicidio o del suicidio piuttosto che tollerare di vivere in schiavitù.
La posizione ideologica alfieriana è quella di un aristocratico d’ancien régime, la cui idea di virtù è modellata su Plutarco e sui classici latini, cioè sul culto degli eroi e delle personalità straodinarie. Il disprezzo della tirannide e del volgo, in Alfieri, sono due facce di una stessa medaglia: l’idea del popolo come entità organizzata, portatrice di diritti e di una volontà legittima, è una parte della riflessione politica illuminista che gli rimane sostanzialmente estranea. Il suo individualismo esasperato e la sua titanica ► opposizione al proprio tempo lo avvicinano semmai alla sensibilità romantica, che si affermerà di lì a qualche decennio (e che vedrà nel nobile astigiano un proprio precursore).

In questa irriducibile lotta per mantenere l’integrità morale in un universo degradato e liberticida, lo scrittore stesso è un eroe tragico. Nel trattato Del principe e delle lettere il nemico del tiranno è lo scrittore eroe: l’artista libero nell’animo, sganciato da qualsiasi vincolo con il potere e dotato di «una sete insaziabile di bel fare e di gloria». Alfieri procede anche a una rigida distinzione degli scrittori, dividendoli tra servi del potere e ribelli al potere: nel primo gruppo si trova per esempio Virgilio (colpevole di essere sceso a patti con la politica ufficiale), nel secondo Dante e naturalmente lo stesso Alfieri.
Si afferma in tal modo un’immagine di scrittore sempre controcorrente, che rifiuta l’ideale illuministico del letterato riformatore e collaboratore del potere, e sceglie invece di diffondere un messaggio ideale e assoluto, che spesso gli provoca l’incomprensione dei contemporanei e lo condanna – ma nell’ottica di Alfieri è un privilegio – a un’ascetica e sdegnosa solitudine. Si tratta di una concezione ispirata allo stesso individualismo eroico e antisociale che ritroviamo nei personaggi delle sue tragedie.

Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento