Un’incessante inquietudine
Forse nessun’altra figura della letteratura italiana ha saputo imporre con la stessa forza di Vittorio Alfieri il proprio carattere presentandolo ai lettori come un dramma continuo e irrisolto. Nella Vita e nelle Rime, ma anche nelle tragedie, attraverso la personalità di molti protagonisti, egli ci fa conoscere minuziosamente la sua indole indomita e irruenta, il suo animo perennemente in preda a malinconie profonde e a scatti d’ira, a sbalzi d’umore che lo spingono a desiderare atti eroici o a precipitare nel vittimismo. Di questo complesso temperamento egli fa uno dei principali oggetti della sua arte, rappresentando fatti ed eventi emblematici al fine di drammatizzare, e nello stesso tempo celebrare, la propria tempra eccezionale, insofferente di qualsiasi limite.
In fuga da sé stesso
Se da una parte questa inquietudine esistenziale, che lo anima fin dall’infanzia, è fonte di travaglio interiore, dall’altra essa si rivela come la linfa che porta Alfieri a scoprirsi poeta e a diventare il più importante autore di tragedie della nostra letteratura. È proprio l’insofferenza verso l’ambiente provinciale del regno sabaudo a spingerlo a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa, spostandosi in condizioni difficili e inoltrandosi nei paesaggi più estremi e deserti per placare un continuo bisogno di fuga.
Un amante insoddisfatto
Una prorompente passione per le donne lo porta in diverse occasioni a fuggirle o a inseguirle, anche mettendo a repentaglio la propria vita. Nella sua autobiografia, per esempio, racconta di come una sua amata di nome Gabriella l’avesse costretto a separarsi da lei nella speranza che la lontananza smorzasse l’ardore dei suoi sentimenti.
Tornato a casa, solo con un atto estremo di volontà il poeta riuscirà a non ricadere nella situazione iniziale: Alfieri racconta di essersi raso il capo – fatto che rendeva un nobile del tempo impresentabile in pubblico – e di essersi immerso completamente negli studi per dimenticare la donna. Molto travagliata è anche la relazione con la contessa Luisa Stolberg d’Albany, moglie del nobile inglese Carlo Edoardo Stuart, pretendente al trono d’Inghilterra: Alfieri la inseguirà più volte, perdendola e ritrovandola, e tentando persino di organizzare una fuga a Roma al fine di sottrarla all’anziano marito.
La scrittura come salvezza
Né le vicende sentimentali, né i viaggi, né il lusso, né gli svaghi – come il grandissimo amore per i cavalli – riescono ad appagare l’animo del poeta, spesso affogato in un tedio insopportabile e in una mediocrità che contrasta dolorosamente con il suo desiderio di gloria e di ribellione.
È proprio questo continuo tentativo di trovare scampo alla mediocrità a spingerlo verso la letteratura e a portarlo a dar vita a eroi tormentati, attraversati da tensioni morali e da un assoluto desiderio di libertà al quale si contrappongono gli ostacoli della vita sociale e le forze più irrazionali dell’animo umano.