Il Settecento – L'autore: Giuseppe Parini

LETTURE critiche

Sensismo e classicismo nella poesia pariniana

di Raffaele Spongano

Tra i contributi più importanti della critica pariniana novecentesca si colloca senz’altro il lavoro ermeneutico di Raffaele Spongano (1904-2004), a partire dal suo saggio del 1933 (ma più volte rivisto nei decenni successivi), La poetica del sensismo e la poesia del Parini, in cui lo studioso illustra le diverse componenti dell’ispirazione poetica di Parini. Nel brano che presentiamo, in particolare, egli analizza l’approccio sensistico del poeta e la sua vicinanza alla tradizione classicistica (rinverdita, nel secondo Settecento, dal Neoclassicismo). A partire dall’esame di tali influenze, che secondo il critico convergono verso gli stessi risultati, vengono evidenziate precise costanti stilistiche dell’opera pariniana, come la precisione nell’aggettivazione e la particolare attenzione ai dettagli minuti delle cose descritte.

Il Parini concordava e col Classicismo e col Sensismo nella pratica della sua attività artistica. La sua aggettivazione ha intatti la “perluciditas”1 (mi si passi l’abuso di derivare il vocabolo da “perlucidus”) d’Orazio2 e il calcolo sensistico della parola che deve illuminare sempre un rapporto sensibile nell’attenzione del lettore: sempre attenta, precisa, restringe quel senso slargato e completamente abbandonato alla fantasia che certi aggiunti3 hanno, per raccogliere (magistralmente però) in confini precisi e sensibili i loro rapporti. Per questo gli aggettivi del Parini sono di solito, com’è stato osservato «più evidenti che densi». [...]
La sua minuzia nella rappresentazione degli oggetti e delle mosse, quel certo che di istantaneo che conserva viva la cosa ma con quella certa freddezza della cosa immota, quel seguirsi delle mosse a scatti misurati come si può pensare che sarebbero gli scatti d’ingegnosissime marionette capaci di dare solo l’illusione e non anche il sentimento della mossa interna (quella sola che svela la creatura nel fantoccio) gli derivano appunto, a mio parere, da quella precisione e minutezza di osservatore che possiede un’abilità e uno studio finissimo nel rendere alla fantasia l’immagine della cosa osservata, ma si restringe a questo solo, “a rendere”, perché in lui questo bisogno è più insistente di quello di suscitare e sospingere la fantasia all’immagine. Per questo molti versi del Parini stancano: perché occupano più l’attenzione che l’attività fantastica: per questo anche la sua aggettivazione non sbaglia mai, ma solo di rado esalta i sensi fantastici delle cose, sì che non solo contenti il lettore, ma lo faccia anche dimenticare di essere attento. [...]
Quel «pruriginosi» detto dei cibi che attendono sulla mensa «a novi studi» il giovin signore, e da cui non è assente la materialità della sensazione, sicché non consegue nessun idealizzamento e tuttavia sembra precisare; quel «propagato» detto del moto che trascorre i fili del campanello elettrico toccato dalla mano del giovin signore, e che fa così attenti gli organi della sensibilità; [...] dinotano appunto l’attenzione più sensibile che psicologica e spirituale del Parini: aggettivi sempre propri, ma sempre scarsi di pensosità, cioè sempre evidenti all’osservatore ma quasi sempre privi di abbandono e di più intima comprensione poetica, più atti all’oraziana “perspicuitas” ed alla precisione sensistica che all’idealizzamento e alla trasvalutazione4 poetica, che il Parini pure talvolta concepì spontaneamente quando l’estro dettava, ma tal’altra soppresse o non conseguì sotto lo stimolo scrupoloso di segnar delle cose la loro prima più spiccata proprietà sensibile, come avvenne di quelle «cortine» del v. 87 del Mattino dette nel testo «seriche» con proprietà elegante ma apoetica, e dette invece «ombrifere» in un manoscritto («magnificamente» osserva il Momigliano,5 per l’atmosfera di sonno che quell’aggettivo sembra conciliare): sono tutti segni manifesti della parentela spirituale tra le attitudini e predilezioni del Parini e le dottrine sensiste del suo tempo intorno all’arte e alla parola.
E se si pensa che quelle attitudini e predilezioni si erano formate e affinate in lui attraverso i classici, si può affermare che esiste qui tra classicismo e sensismo un accordo oltre che nella dottrina anche nella pratica dell’arte. [...]
Il Parini era dunque non meno pronto intenditore delle dottrine contemporanee intorno all’arte e alla parola, che dalla sua educazione classica già preparato a intenderle e ad applicarle; e le applicò, si può dire, con sì personale convinzione che ne deriva al critico una delle ragioni atte a spiegare e a definire alcuni aspetti della sua arte. È appunto questo suo amore convinto della proprietà, della “contraddistinzione”6 che lo lascia indugiare sull’immenso numero di varianti, e solo rarissimamente una più viva commozione poetica; è lo stesso amore che lo induce a ciò che di partito,7 diligentemente distinto è nella rappresentazione della giornata del giovin signore, a quella che il Momigliano ha chiamato la casistica del Giorno. L’attenzione, avvezza a osservare e distinguere, mal volentieri abbandona l’oggetto della sua puntuale osservazione. [...] E questo difetto generale di procedimento, minutamente notato dal Momigliano nel suo commento al Giorno, fu, a mio parere, maggiore effetto di convincimenti dottrinari e simpatie artistiche (coerenti però sempre con l’indole analitica del poeta), che nativa insufficienza fantastica. Voglio dire che il Parini si trascinò nelle parti trascinate8 dell’opera sua non perché avesse bisogno di riempire pur che fosse,9 ma perché s’illuse che l’attenzione sensibile tenesse il luogo10 della poesia. E tutto lo studio amoroso di eleganza gli dette questa illusione: che il nitore equivalesse l’espressione «degli oggetti dell’arte» com’egli li chiamava.
Per questo molte descrizioni del Parini, e specialmente quelle degli oggetti, molte eleganti perifrasi che accompagnano la rappresentazione di questi oggetti sono così evidenti al lettore, eppure non si fissano nella sua fantasia. Essi sono, si può dire, visti e osservati chiaramente, e perciò fissati, ma non risplendono di quella indefinita atmosfera poetica in cui pare che le cose vivano per la fantasia e per essa vibrino una luce perpetua. La stessa descrizione del sorgere del mattino contiene una lucida più che luminosa successione di scene, ed ha particolari chiari per l’attenzione e trascurabili per la fantasia: quella levata del sole che:

... grande appare
su l’estremo orizzonte a render lieti
gli animali e le piante e i campi e l’onde

è scarsa di grandiosità: questa muore appunto sulla fotografia di quel «grande appare su l’estremo orizzonte», dove l’osservatore è così preciso per evidenza di rapporti determinati (si osservi l’aggettivo «grande» che non sembra detto in senso ammirativo, ma indicativo del sole), ma il poeta manca. L’osservatore anzi fissando il disco più di quel che non contempli il trionfo della luce del sole, ne ha impedito l’impressione poetica: e perciò anche il verso enumerativo11 seguente non consegue l’effetto poetico che vorrebbe conseguire. Anche la scena del villano che «col bue lento innanzi» scuote

lungo il picciol sentier da’ curvi rami
il rugiadoso umor che, quasi gemma,
i nascenti del sol raggi rifrange

è indugiante: lo scrupolo dei particolari «picciol», «curvi», «quasi gemma», «rifrange» insiste troppo sull’attenzione; il lettore avverte che quasi meglio sarebbe figurabile la scena, sensibile la freschezza e l’aperta luminosità di quella mattutina atmosfera campestre, con più rapido tocco, epperò con minor numero di minute attenzioni del Parini.
Ma gli era appunto che, come ve n’è manifesto esempio nel passo ora esaminato, spesse volte egli sostituiva alle impressioni della fantasia lo studio della evidenza sensibile.


Raffaele Spongano, La poetica del sensismo e la poesia del Parini, Pàtron, Bologna 1964

 >> pag. 419 

L’umanesimo illuministico di Parini

di Giovanni Getto

Il critico Giovanni Getto (1913-2002) ha studiato i caratteri dell’umanesimo pariniano, focalizzando l’attenzione sui rapporti fra la matrice cristiana e le idee tipiche dell’Illuminismo. Egli afferma l’importanza determinante soprattutto di quest’ultima componente, evidenziando invece l’indifferenza del poeta nei confronti delle questioni religiose e trascendenti.

Al centro della visione lirica del Parini si colloca l’uomo, interpretato alla luce di una mentalità essenzialmente rinascimentale e illuministica, sotto lo stimolo determinante della cultura del suo tempo e della letteratura dei poeti dell’età classica e del nostro Cinquecento. Ogni spiraglio di trascendenza, nel suo mondo poetico, vi è ostinatamente chiuso, e non già per volontaria negazione, come accadeva per alcuni scrittori del Settecento, ma piuttosto per una inconsapevole indifferenza. Credo che avesse ragione il Carducci1 nel giudicare il Parini il meno naturalmente cristiano tra i poeti del suo secolo. Del cristianesimo manca in lui l’animo, il senso dell’eterno e dell’infinito, di Dio e della morte, anche se cristiana in fondo dobbiamo dire quella ottimistica volontà, che in lui era fortissima, di una sana ed equilibrata ricostruzione della città eterna2 e quel senso pessimistico, che in lui non manca, del peccato come attualità e possibilità incombente sull’uomo. Ma certo, a parte questa precisazione, non si oserebbe poi parlare troppo sul serio, per il Parini, di una sensibilità cristiana. [...]
Codesto ideale di vita, si diceva, ignora l’ansia e il ritmo di un’intima dinamica trascendentale3 e rimane spoglio sostanzialmente di un autentico senso cristiano, anche se non vi restano estranei alcuni temi caratteristici del cristianesimo. Così, se la psicologia del male ha nel Parini una sua vivezza di rappresentazione, la fenomenologia interna del bene riesce priva di una sua realtà poetica. In generale essa non supera l’ambito di uno scolorito complesso di note dove si parla astrattamente di “virtù”, e, quando cotesta virtù sembra determinarsi, si esaurisce in un impreciso circolo di scialbe reminiscenze classiche. Tale è il frequentissimo tema del distacco dall’oro e dagli onori (l’oro come riferimento di valore negativo ha un suo ricordo costante nelle odi pariniane, ed è il tema di evidente origine classica, oraziana4 in modo speciale). Tale è il tema della modestia, della pietà, della giustizia, ecc. Cotesti princìpî sono presupposti di natura logica più che presenze dichiarate liricamente. Più originale, in questa visione del mondo spirituale dell’uomo, vuole essere il sentimento della coscienza e della dignità umana, che tuttavia, di nuovo, pare più un diffuso sottinteso che una voluta ed esplicita figurazione poetica. E non è senza significato che sia riuscita discutibile, nei suoi risultati etici e poetici, un’ode come La Caduta. Ma, appunto, non è l’interiore paesaggio della virtù che sembra interessare la poesia del Parini, ma piuttosto l’esterno mondo in cui la virtù si concreta in opere, la zona in cui si incontrano i due piani, fisico e morale. Qui davvero la sua poesia trova un’inconfondibile voce.
Costante ed originale è nelle Odi l’assenso5 ai valori umani che si dispongono su questa linea d’incontro dei due mondi dello spirito e della materia, dalla musica alla poesia, dall’amicizia alla scienza, dalla salute fisica all’economia, dal lavoro alla famiglia. Sono le opere dell’uomo, le sue sane affermazioni di vita, il costume con cui si celebra concretamente la sua dignità, quel che riscuote l’eco dell’anima e dello stile di Giuseppe Parini. Di qui scaturisce tutta quella viva e ricca tematica che tocca e traduce in poesia gli elementi più vari e più nuovi, che sembrano già suggeriti dal semplice indice dove passano i titoli delle odi: La salubrità dell’aria, L’impostura, L’educazione, L’innesto del vaiuolo, La magistratura, La laurea, L’evirazione, Le nozze, e così via. Alla poesia dei cinque sensi propria dei poeti della civiltà barocca e alla poesia genericamente sentimentale dell’Arcadia, si sostituiva per la prima volta col Parini una poesia intessuta di un mondo di limpidi pensieri e di chiari ideali, di forti sentimenti e di precise volontà. [...]
In questo nucleo di sensibilità si profila l’umanesimo lirico del Parini. [...] La polemica del Parini nel Giorno si muove non contro quel mondo di eleganza e di piacere che non può in sé non essere apprezzato, ma contro il vuoto spirituale (di intelligenza e di moralità) di quegli uomini che sono viventi stonature in mezzo a quegli agi e a quelle raffinatezze di cui non sanno valersi e godere («perché l’arte di saper godere delle ricchezze è molto più rara dell’arte di acquistarle» ammoniva per conto suo Pietro Verri nel Discorso sulla felicità). In tal modo appunto si risolve il preteso contrasto, sottolineato dalla critica, di un Parini ammiratore e demolitore del mondo nobiliare. Egli è il poeta di una morale realizzatrice di un equilibrio di vita tipicamente illuministico. La morale di una classe operosa e conquistatrice, che, mentre s’avvia al decoro di vita e al lusso della classe nobiliare, ancora serba le positive virtù sue proprie e un affettuoso interesse per le classi più umili da cui si è elevata.


Giovanni Getto, Immagini e problemi della letteratura italiana, Mursia, Milano 1966

Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento