Al cuore della letteratura - volume 3

Il Settecento – L'opera: La bottega del caffè

 T9 

L’esilio di Don Marzio

Atto III, scene XXIV-ultima


Siamo alle scene finali della commedia. Lisaura, avendo scoperto la falsa identità di Leandro, e avendo quindi visto sfumare l’occasione di diventare nobile per mezzo del matrimonio, caccia di casa l’uomo. Leandro-Flaminio si confida allora con Don Marzio, che accetta di aiutarlo a sfuggire alla moglie Placida con un inganno, ma poi lo tradisce, rivelando alla donna le intenzioni del marito. Nel frattempo Eugenio e Vittoria si sono rappacificati grazie alla mediazione di Ridolfo; di lì a poco Ridolfo riesce, con il suo buon senso, a convincere anche Flaminio a ritornare dalla moglie. Pandolfo, invece, ha confidato a Don Marzio di essere stato denunciato come baro, rivelandogli il luogo in cui tiene nascoste le carte segnate con cui truffa i clienti della bisca. Ma Don Marzio, non riconoscendo il capo delle guardie che, mascherato, si presenta poco dopo, chiacchiera a sproposito e finisce per tradire anche Pandolfo, che viene arrestato. L’ira e la riprovazione di tutti i personaggi si dirige così verso la figura di Don Marzio, il cui monologo chiude la commedia.

SCENA XXIV
Trappola e detti.
TRAPPOLA Il signor Don Marzio l’ha fatta bella.
RIDOLFO Che ha fatto?
TRAPPOLA Ha fatto la spia a messer Pandolfo; l’hanno legato, e si dice che domani
5 lo frusteranno.
RIDOLFO È uno spione! Via dalla mia bottega. (parte dalla finestra)

SCENA XXV
Il garzone del barbiere, e detti.
GARZONE Signor spione, non venga più a farsi fare la barba nella nostra bottega.
(entra nella sua bottega)

SCENA ULTIMA
10 Il Cameriere della locanda, e detti.
CAMERIERE Signora spia, non venga più a far desinari1 alla nostra locanda. (entra nella
locanda
)
LEANDRO Signor protettore; tra voi e me in confidenza: far la spia è azione da briccone.
(entra nella locanda)
15 PLACIDA Altro che castagne secche!2 Signor soffione.3 (parte dalla finestra)
LISAURA Alla berlina, alla berlina.4 (parte dalla finestra)
VITTORIA O che caro signor Don Marzio! Quei dieci zecchini, che ha prestati a mio
marito, saranno stati una paga di esploratore.5 (parte dalla finestra)
EUGENIO Riverisco il signor confidente. (parte dalla finestra)

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20 TRAPPOLA Io fo reverenza al signor referendario.6 (entra in bottega)
DON MARZIO Sono stordito, sono avvilito, non so in qual mondo mi sia. Spione a
me? A me spione? Per avere svelato accidentalmente il reo costume di Pandolfo
sarò imputato di spione? Io non conosceva il birro,7 non prevedeva l’inganno,
non sono reo di questo infame delitto. Eppur tutti m’insultano, tutti mi vilipendono,
25 niuno8 mi vuole, ognuno mi scaccia. Ah sì, hanno ragione; la mia lingua,
o presto o tardi, mi doveva condurre a qualche gran precipizio.9 Ella mi ha acquistata
l’infamia, che è il peggiore de’ mali. Qui non serve il giustificarmi. Ho
perduto il credito e non lo riacquisto mai più. Anderò via di questa città; partirò
a mio dispetto, e per causa della mia trista lingua,10 mi priverò d’un paese in
30 cui tutti vivono bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento, quando
sanno essere prudenti, cauti ed onorati. (parte)

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Superati i contrasti, tutti i personaggi si trovano uniti dal comune sentimento di condanna verso Don Marzio: tutti m’insultano, tutti mi vilipendono, niuno mi vuole, ognuno mi scaccia (rr. 24-25), dice infatti il nobile. Il suo errore – in realtà soltanto l’ultimo atto di una lunga serie di malignità perpetrate ai danni degli altri – è tanto più grave in quanto appare come un tradimento di quella rete di rapporti leali che dovrebbe essere alla base della vita associata. Egli stesso definisce la sua azione infame delitto (r. 24), anche se non rinuncia ad addurre alibi e scusanti: non conosceva il birro, non prevedeva l’inganno (r. 23). Alla fine, comunque, riconosce che dalla sua incorreggibile propensione alla maldicenza (trista lingua, r. 29) è venuto un grave danno: come è successo anche a Pandolfo – e come stava per accadere a Eugenio – il vizio non controllato dalla ragione porta alla rovina.

Le ultime parole di Don Marzio – e, tramite il personaggio, dell’autore stesso – sono dedicate a Venezia, che offre ai suoi abitanti condizioni di vita ideali (tutti vivono bene, tutti godono la libertà, la pace, il divertimento, r. 30), purché essi siano virtuosi (quando sanno essere prudenti, cauti ed onorati, rr. 30-31). Nella bottega del caffè (e dunque in Venezia) si sono incontrati bari, truffatori, traditori, profittatori, ma grazie all’intervento del saggio caffettiere – cui Goldoni ha affidato il suo insegnamento morale – alcuni di loro si sono ravveduti e hanno risolto i loro problemi. La condizione per una vita libera e felice è l’adesione ai valori che l’autore ha indicato al suo pubblico e che ora ribadisce in questo epilogo didascalico; la negazione di tali valori non può che portare infelicità: lo mostrano gli esempi di Pandolfo, che finisce in prigione, e di Don Marzio, cui non rimane altra scelta che lasciare la città.

Le scelte stilistiche

Ancora una volta, la scena alterna azione e riflessione: la prima resa con battute brevi e concise, la seconda con un monologo. Le battute, in questo caso, non costituiscono un dialogo, ma una comunicazione a senso unico rivolta in un coro finale di apostrofi* allo smarrito Don Marzio. Il pettegolezzo sparso a piene mani dal nobile si ritorce qui contro di lui attraverso lo sdegno degli altri personaggi, espresso con una serie di variazioni lessicali sul tema della delazione (spione, spia, soffione, esploratore, confidente, referendario).
Il termine spione (ma anche il vocabolo lingua, accompagnato alla r. 29 dall’aggettivo trista) ricorre anche nel monologo conclusivo di Don Marzio, che invano protesta la sua innocenza, forse perché in qualche modo lui stesso convinto delle favole dispensate senza ritegno alla comunità. Il suo crepuscolo, nella solitudine della piazzetta rimasta deserta, dinanzi alle finestre chiuse, sigilla il monito goldoniano a rimanere nell’alveo della pudicizia e del decoro, se si vuole evitare la condanna della società.

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      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi le scene finali in circa 5 righe.

ANALIZZARE

2 Quale figura retorica riconosci nell’espressione fo reverenza al signor referendario (r. 20)?

  •   A   Paronomasia.
  •     Onomatopea.
  •     Bisticcio.
  •     Climax.

INTERPRETARE

3 Perché personaggi che non rappresentano certo modelli di virtù (anch’essi hanno tradito e barato) si accaniscono così duramente contro Don Marzio?

PRODURRE

4 Immagina di condurre un’intervista a Ridolfo e a Eugenio riguardo alla vicenda di Don Marzio e Pandolfo; formula per iscritto cinque domande ed elabora le risposte in base al carattere di ciascun personaggio.


Al cuore della letteratura - volume 3
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Il Seicento e il Settecento