Il Settecento – L'autore: Cesare Beccaria

la sintesi

LA VITA

Nato a Milano nel 1738 in una famiglia aristocratica, viene educato dai gesuiti presso il Collegio Farnesiano di Parma, frequentato anche dai fratelli Verri. Nel 1758 si laurea in Legge a Pavia. A ventidue anni comincia a interessarsi ai problemi filosofici e sociali. Entra nel cenacolo di casa Verri e si dedica agli studi di scienza politica ed economica.
Nel 1760 conosce Teresa Blasco, una ragazza di rango sociale inferiore. I genitori di Beccaria si oppongono alle nozze, ma anche grazie all’intervento di Pietro Verri i contrasti si appianano; ciò testimonia come, da strumento di alleanza strategica e patrimoniale tra le famiglie aristocratiche, l’istituto matrimoniale si sia trasformato in unione basata su un autentico sentimento reciproco.
Affrontando il problema dello stato deplorevole della giustizia penale, tra il 1763 e il 1764 Beccaria compone Dei delitti e delle pene, e nel 1766 si reca a Parigi, dove viene invitato a discutere le idee formulate nel trattato. Rientrato in Italia nel 1768, insegna Scienze camerali alle Scuole Palatine di Milano. Nel 1771 intraprende la carriera amministrativa, ed è eletto membro del Supremo consiglio dell’economia. Poco dopo la morte di Teresa Blasco, nel 1774 sposa Anna Barbò. Nel 1791 entra nella Giunta per la riforma del sistema giudiziario civile e criminale. Muore a Milano nel 1794.

LE OPERE
Nel 1762 Beccaria scrive la sua prima opera, Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano nell’anno 1762, saggio sui problemi relativi alla gestione della zecca e ai criteri di conio delle monete. Tra il 1764 e il 1766 è autore di sette articoli per "Il Caffè": Il faraone (esercitazione matematica dedicata a un gioco di carte), Frammento sugli odori e I piaceri dell'immaginazione (meditazioni paradossali sulla filosofia), Tentativo analitico sui contrabbandi (analisi matematico-economica), Risposta alla rinunzia (provocatoria difesa dell'Accademia della Crusca), De' fogli periodici (riflessione sul giornalismo) e Frammento sullo stile (in cui propone idee originali riguardanti lo stile). A quest'ultimo tema è dedicato anche il saggio Ricerche intorno alla natura dello stile (1770), in cui Beccaria, muovendosi nell'ambito dell'estetica sensista, sostiene che lo scopo della letteratura è suscitare il sentimento del piacere attraverso la carica immaginifica delle parole. Nel 1804 vengono pubblicati postumi gli Elementi di economia pubblica, frutto delle sue lezioni di Scienze camerali alle Scuole Palatine.

DEI DELITTI E DELLE PENE

Pubblicato nel 1764, pone le basi del moderno concetto di “garantismo”, propugnando la laicizzazione del diritto penale, che deve occuparsi di reati e non di peccati. Secondo Beccaria, magistrati e giudici devono applicare letteralmente la legge, non interpretarla, per evitare l’arbitrio che porta al dispotismo. Le leggi penali devono fondarsi sulla proporzione fra delitti e pene, e i reati vanno classificati in base al danno che causano alla società (criterio utilitaristico), perché il fine delle pene è la prevenzione dei delitti. La tortura è una pena disumana e sproporzionata: i cittadini non devono essere trattati come condannati finché non ne sia provata la colpevolezza (“presunzione d’innocenza”). La prontezza della pena è fondamentale affinché la maggioranza delle persone associ i due eventi in una relazione di causa-effetto. Definendone gli scopi e le modalità di attuazione, Beccaria osserva che le pene non devono essere eccessivamente dure, per un fatto di umanità e di utilità generale: oltre a rendere impossibile la loro proporzionalità, la ferocia delle pene abitua la società alla violenza e fa aumentare i delitti (davanti alla prospettiva di un castigo spietato, il reo tende a commettere più delitti, per approfittare di maggiori vantaggi fintanto che riesca a sfuggire alla condanna). Sulla base della teoria contrattualistica l’autore dichiara illegittima la pena di morte e, dopo averne analizzato e confutato l’ipotetica utilità, dimostra la necessità della sua abolizione fondandosi sul criterio umanitario e su quello utilitaristico. Egli riflette poi sull’impossibilità di reprimere tutti gli istinti che possono condurre gli esseri umani ai delitti; per prevenire i reati occorre lottare contro l’ignoranza, diffondere il sapere e la scienza, educare alla virtù attraverso il disciplinamento delle passioni.
Dei delitti e delle pene rielabora con originalità, sviluppandone i concetti più importanti, i principali testi dell’Illuminismo francese, dall’Enciclopedia alle opere di Montesquieu e Rousseau, ma anche gli scritti filosofici degli empiristi John Locke (con la teoria contrattualistica dello Stato) e David Hume. Lo stile del trattato si caratterizza per il continuo avvicendamento di una componente razionale e di un afflato sentimentale, perfettamente uniti nei punti più alti dell’opera.
Il trattato riscuote subito un enorme successo: è tradotto in francese, inglese, tedesco e spagnolo e viene elogiato da Voltaire, Diderot e d’Alembert, che fanno crescere la fama del suo autore. L’imperatrice Caterina II di Russia riforma il codice penale ispirandosi ai princìpi contenuti nel trattato di Beccaria, e la stessa cosa accade poi in altri Stati. Tuttavia, la Chiesa cattolica condanna Dei delitti e delle pene e nel 1766 lo mette all’Indice, ma ciò non impedisce l’ampia diffusione del trattato, che eserciterà la sua profonda influenza fino ai giorni nostri.

Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento