4 - I testi

Il Settecento – L'opera: Dei delitti e delle pene

4 I testi

Temi e motivi dei brani antologizzati
T1 Contro la tortura
Parr. 12 e 16
• confutazione dei motivi per cui la tortura è giudicata utile nella repressione del crimine
• ricostruzione dell’origine religiosa della pratica della tortura
• inutilità e disumanità di tale pratica
T2 Contro la pena capitale
Par. 28
• illegittimità della pena di morte sulla base della teoria contrattualistica
• analisi e confutazione dell’ipotetica utilità della pena capitale
• dimostrazione della necessità dell’abolizione della pena di morte sulla base di due criteri fondamentali: quello umanitario e quello utilitaristico
T3 Prevenzione ed educazione
Parr. 41 e 45
• importanza della prevenzione dei delitti
• analisi del ruolo dell’educazione nel disciplinare le passioni e i desideri umani e dimostrazione dell’impossibilità di sopprimerli allo scopo di prevenire i delitti

 T1 

Contro la tortura

Parr. 12 e 16


In questi due paragrafi Beccaria delinea alcuni dei princìpi cardine del moderno diritto penale, a partire dal rifiuto della barbarie della tortura: una prassi non solo feroce e selvaggia, ma anche inefficace ai fini dell’ottenimento di prove certe di colpevolezza.

12. Fine delle pene
Dalla semplice considerazione delle verità fin qui esposte egli1 è evidente che il
fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare2
un delitto già commesso. Può egli in un corpo politico,3 che, ben lungi di agire per
5 passione, è il tranquillo moderatore delle passioni particolari, può egli albergare4
questa inutile crudeltà stromento5 del furore e del fanatismo o dei deboli tiranni?
Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo che non ritorna le azioni già
consumate? Il fine6 dunque non è altro che d’impedire il reo7 dal far nuovi danni
ai suoi cittadini e di rimuovere8 gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque
10 e quel metodo d’infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione, farà
una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno
tormentosa sul corpo del reo.

16. Della tortura
Una crudeltà consacrata dall’uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del
15 reo mentre si forma9 il processo, o per constringerlo a confessare un delitto, o per
le contradizioni10 nelle quali incorre, o per la scoperta dei complici, o per non so

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quale metafisica ed incomprensibile purgazione d’infamia,11 o finalmente per altri
delitti di cui potrebbe esser reo, ma dei quali non è accusato.
Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società
20 può toglierli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violati
i patti coi quali le fu accordata.12 Quale è dunque quel diritto, se non quello della
forza, che dia la podestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si
dubita se sia reo o innocente? Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo o
incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, ed inutili
25 sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, e’ non devesi
tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i di cui delitti
non sono provati. Ma io aggiungo di più, ch’egli è un voler confondere tutt’i rapporti13
l’esigere che un uomo sia nello stesso tempo accusatore ed accusato,14 che
il dolore divenga il crociuolo15 della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei
30 muscoli e nelle fibre di un miserabile.16 Questo è il mezzo sicuro di assolvere i
robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti. Ecco i fatali inconvenienti di
questo preteso criterio di verità, ma criterio degno di un cannibale,17 che i Romani,
barbari anch’essi per più d’un titolo, riserbavano ai soli schiavi, vittime di una
feroce e troppo lodata virtù.18
35 […] Non è difficile il rimontare19 all’origine di questa ridicola legge, perché gli
assurdi stessi che sono da una nazione intera adottati hanno sempre qualche relazione
ad altre idee comuni e rispettate dalla nazione medesima.20 Sembra quest’uso
preso dalle idee religiose e spirituali, che hanno tanta influenza su i pensieri
degli uomini, su le nazioni e su i secoli. Un dogma infallibile ci assicura che le
40 macchie contratte dall’umana debolezza e che non hanno meritata l’ira eterna del
grand’Essere, debbono da un fuoco incomprensibile esser purgate;21 ora l’infamia
è una macchia civile, e come il dolore ed il fuoco tolgono le macchie spirituali ed
incorporee, perché gli spasimi della tortura non toglieranno la macchia civile che
è l’infamia? Io credo che la confessione del reo, che in alcuni tribunali si esige
45 come essenziale alla condanna, abbia una origine non dissimile, perché nel misterioso
tribunale di penitenza22 la confessione dei peccati è parte essenziale del
sagramento.23
[…] La tortura […] si dà ai supposti rei quando nel loro esame cadono in contradizione,
quasi che il timore della pena, l’incertezza del giudizio, l’apparato24 e la
50 maestà del giudice, l’ignoranza, comune a quasi tutti gli scellerati e agl’innocenti,

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non debbano probabilmente far cadere in contradizione e l’innocente che teme e
il reo che cerca di coprirsi; quasi che le contradizioni, comuni agli uomini quando
sono tranquilli, non debbano moltiplicarsi nella turbazione25 dell’animo tutto assorbito
nel pensiero di salvarsi dall’imminente pericolo.
55 Questo infame crociuolo della verità è un monumento ancora esistente dell’antica
e selvaggia legislazione, quando erano chiamati giudizi di Dio le prove del fuoco
e dell’acqua bollente26 e l’incerta sorte dell’armi,27 quasi che gli anelli dell’eterna
catena, che è nel seno della prima Cagione, dovessero ad ogni momento essere
disordinati e sconnessi per li frivoli stabilimenti umani.28 La sola differenza che
60 passa fralla29 tortura e le prove del fuoco e dell’acqua bollente, è che l’esito della
prima sembra dipendere dalla volontà del reo, e delle seconde da un fatto puramente
fisico ed estrinseco: ma questa differenza è solo apparente e non reale. È così
poco libero il dire la verità fra gli spasimi e gli strazi, quanto lo era allora l’impedire
senza frode gli effetti del fuoco e dell’acqua bollente. […]
65 L’esame di un reo è fatto per conoscere la verità, ma se questa verità difficilmente
scuopresi30 all’aria,31 al gesto, alla fisonomia d’un uomo tranquillo, molto meno
scuoprirassi in un uomo in cui le convulsioni del dolore alterano tutti i segni, per
i quali dal volto della maggior parte degli uomini traspira qualche volta, loro malgrado,
la verità. Ogni azione violenta confonde e fa sparire le minime differenze
70 degli oggetti per cui si distingue talora il vero dal falso.
Queste verità sono state conosciute dai romani legislatori, presso i quali non
trovasi usata alcuna tortura che su i soli schiavi, ai quali era tolta ogni personalità;32
queste dall’Inghilterra,33 nazione in cui la gloria delle lettere, la superiorità del
commercio e delle ricchezze, e perciò della potenza, e gli esempi di virtù e di coraggio
75 non ci lasciano dubitare della bontà delle leggi. La tortura è stata abolita nella
Svezia,34 abolita da uno de’ più saggi monarchi dell’Europa,35 che avendo portata
la filosofia sul trono, legislatore amico de’ suoi sudditi, gli36 ha resi uguali e liberi
nella dipendenza delle leggi,37 che è la sola uguaglianza e libertà che possono gli
uomini ragionevoli esigere nelle presenti combinazioni di cose.38 […]

 >> pag. 274 

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Nel paragrafo 12 – qui riportato integralmente – l’autore definisce lo Stato tranquillo moderatore delle passioni particolari (r. 5): un’entità, cioè, che deve governare i desideri e gli interessi dei singoli grazie allo strumento della ragione. È appunto la ragione a indicare che il fine delle pene deve essere di tipo esclusivamente preventivo (Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali, rr. 8-9): non potendosi rimediare ai danni di un delitto, solo la prevenzione di altri delitti è un obiettivo utile alla collettività. Questo concetto anticipa la critica, contenuta nel paragrafo 16, della tortura, pratica che Beccaria considera una crudeltà inutile, dettata da un tirannico spirito di vendetta indegno di uno Stato moderno. Da qui la conclusione: Quelle pene dunque e quel metodo d’infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo (rr. 9-12). Si tratta di un principio che diventerà un cardine della civiltà giuridica europea: all’inizio della Rivoluzione francese, infatti, esso verrà accolto nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, in cui si afferma che «la legge non deve stabilire che pene strettamente ed evidentemente necessarie»; la stessa Costituzione italiana del 1948 recita, all’articolo 27: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Il paragrafo 16 – di cui abbiamo riportato gli stralci salienti – presenta alcuni princìpi ancora oggi lontani dall’essere universalmente affermati, a partire dalla cosiddetta “presunzione d’innocenza”, in base alla quale un imputato va considerato innocente fino alla pronuncia di una sentenza definitiva (Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, r. 19).

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L’autore si sofferma qui ad argomentare sull’inutilità della tortura, e anzi sul danno che essa può causare nella ricerca della verità: la sopportazione dei supplizi, infatti, dipende dalla resistenza fisica dell’individuo che li subisce, motivo per cui un colpevole potrebbe essere giudicato innocente solo perché capace di resistere ai tormenti; inoltre, è probabile che lo stress emotivo faccia cadere in contraddizione non solo chi è colpevole, ma anche chi è innocente; infine, l’alterazione dei gesti e della fisionomia provocati dalla tortura finiscono spesso per confondere o nascondere, anziché evidenziare, i segni di innocenza o di colpevolezza che si vanno cercando.

Beccaria individua l’origine della tortura nella concezione religiosa dell’espiazione dei peccati attraverso la sofferenza fisica, che si traduce nella pratica di far scontare una parte della pena al sospettato ancor prima che sia condannato. Storicamente, inoltre, l’idea di poter provare con la tortura la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato sembra risalire alla prassi medievale dei giudizi di Dio (r. 56). Ma per Beccaria la macchia civile (r. 42), vale a dire il reato, è altra cosa dalle macchie spirituali (r. 42), cioè il peccato: la sfera civile e quella religiosa devono rimanere nettamente separate, secondo uno dei princìpi fondamentali della concezione moderna dello Stato laico e liberale.

Le scelte stilistiche

L’andamento dell’esposizione si basa su assunti razionali, presentati in modo logico e strettamente consequenziale. Mirando sempre al cuore dei problemi, Beccaria si esprime con uno stile asciutto e preciso sia sul piano sintattico, attraverso periodi brevi e incisivi, sia su quello lessicale, con la scelta di vocaboli contemporanei e colloquiali, più che aulici e letterari. L’obiettivo dell’autore non è infatti tanto la realizzazione di un’opera letterariamente accattivante quanto l’efficacia argomentativa e l’appassionata affermazione delle proprie idee. Il risultato è una prosa che – come ha scritto lo studioso Sergio Romagnoli – «evita le asperità filosofiche» e «mantiene una costante distanza dal linguaggio strettamente giuridico».

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Spiega il significato della domanda retorica che compare alle rr. 7-8: Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo che non ritorna le azioni già consumate?


2 A che cosa si riferisce l’espressione antica e selvaggia legislazione (rr. 55-56)?


3 Uno dei tratti distintivi della prosa di Beccaria è l’efficacia argomentativa. Spiega con quali mezzi espressivi viene perseguita.


4 Quali motivazioni venivano addotte, ai tempi di Beccaria, per sostenere il ricorso alla tortura? In che modo vengono confutate dall’autore?

ANALIZZARE

5 Trova nel testo alcuni esempi di vocaboli concreti e colloquiali.


6 Evidenzia almeno 5 termini appartenenti al lessico giuridico.

INTERPRETARE

7 Beccaria afferma che l’ignoranza è comune a quasi tutti gli scellerati e agl’innocenti (r. 50). Che cosa vuole sottolineare? Quanto egli affermava a proposito del Settecento è vero ancora nella società di oggi?

PRODURRE

8 Svolgi una breve ricerca sull’uso della tortura nel mondo attuale e sintetizzane i risultati in un testo espositivo di circa 30 righe. Puoi attingere dati dai rapporti periodici di organizzazioni internazionali attive nel campo dei diritti umani, come per esempio Amnesty International.


Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento