Al cuore della letteratura - volume 3

Il Seicento – L'opera: Don Chisciotte

 T2 

La battaglia contro i mulini a vento

Parte I, capp. 7-8


Ancora oggi “combattere contro i mulini a vento” significa formulare propositi vani, affrontare problemi immaginari o insolubili, inseguire i propri fantasmi. Questo perché tra le tante avventure di don Chisciotte, quella dello scontro con i mulini a vento è senza dubbio una delle più celebri ed emblematiche. Anche in questo caso l’inesausta fantasia dell’aspirante cavaliere identifica, nella modesta realtà di alcuni mulini, potenti avversari immaginari: giganti nemici del bene, da combattere con coraggio e senza esitazione, con dedizione e altruismo, per ottenere onore e fama eterna. Invano lo scudiero Sancho, con il suo buon senso contadino, cerca di distogliere il padrone da questa avventura insieme folle e pericolosa.

In questo tempo don Chisciotte fece pressioni, per prenderlo al suo servizio, su
un contadino del suo paese, uomo dabbene (se si può dare questo titolo a chi è
povero) ma con pochissimo sale in zucca. In conclusione, tanto gli disse e promise,
tanto lo esortò che il povero villico1 si decise a partire con lui e a fargli da scudiero.
5 Gli diceva, tra l’altro, don Chisciotte che si disponesse a seguirlo di buon animo,
perché poteva forse capitargli qualche avventura che gli facesse guadagnare in un
batter d’occhio una isola dove avrebbe lasciato lui come governatore. Con queste e
altre simili promesse, Sancho Panza (poiché così si chiamava il contadino) lasciò
la moglie e i figli e diventò scudiero del suo compaesano.
10 Poi don Chisciotte si diede a procurarsi denaro, e, vendendo una cosa, impegnandone
un’altra, sempre a suo scapito,2 mise insieme una discreta somma.
Così anche si provvide3 d’uno scudo rotondo che chiese in prestito a un suo
amico e, riparata come meglio poté la celata rotta,4 avvertì il suo scudiero Sancho
del giorno e dell’ora in cui pensava di mettersi in cammino, affinché si provvedesse
15 di ciò che gli sembrasse più necessario: anzitutto gli raccomandò di portare
bisacce. Egli rispose che le avrebbe portate e che pensava anche di portare un
suo asino, buonissimo, perché non era abituato a camminare molto a piedi. Sulla
faccenda dell’asino don Chisciotte rifletté un poco, cercando di ricordarsi se
qualche cavaliere errante si fosse portato dietro uno scudiero a cavallo di un asino,
20 ma non gliene venne alcuno in mente; ciò nonostante gli concesse di portarselo,
con la riserva di provvederlo di una più onorevole cavalcatura, non appena
se ne fosse data l’occasione, togliendo il cavallo al primo scortese cavaliere in cui
s’imbattesse. Si fornì inoltre di camicie e di quante altre cose poté, seguendo il
consiglio che gli aveva dato l’oste; fatti tutti questi preparativi, senza che Sancho
25 si congedasse dai figli e dalla moglie, né don Chisciotte dalla sua governante e
da sua nipote, una notte uscirono dal paese non visti da alcuno; e nel corso di
essa camminarono tanto che all’alba si considerarono sicuri di non essere trovati
anche se cercati.
Sancho Panza andava sul suo asino come un patriarca,5 con l’otre e le bisacce,
30 ed un gran desiderio di vedersi presto governatore dell’isola che il suo padrone

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gli aveva promesso. Don Chisciotte riuscì a prendere la medesima direzione e la
medesima strada che aveva preso nel primo viaggio, cioè andò per la campagna di
Montiel, attraverso la quale ora camminava con minor disagio della volta precedente
perché, essendo di mattina presto e i raggi del sole ferendolo obliqui, non lo
35 stancavano. Ad un certo punto Sancho Panza disse al suo padrone:
«Mi raccomando, signor cavaliere errante, vossignoria non dimentichi quello
che mi ha promesso riguardo all’isola, che io saprò governarla, per quanto grande
essa sia».
Al che don Chisciotte rispose:
40 «Devi sapere, amico Sancho Panza, che fu costume assai diffuso tra gli antichi
cavalieri erranti di fare i loro scudieri governatori delle isole o dei regni che essi
conquistavano, e io ho ferma intenzione di non venir meno a questa così lodevole
usanza; anzi penso di spingermi ancora più in là; perché essi alcune volte, e forse
il più delle volte, aspettavano che i loro scudieri diventassero vecchi, e quando
45 ormai erano stufi di servire e di passare brutti giorni e peggiori notti, davano loro
un titolo di conte o tutt’al più di marchese di qualche valle o provincia più o meno
importante; ma, se tu ed io viviamo, potrebbe essere che prima di sei giorni io
conquistassi un tal regno, che ne avesse annessi altri, e sarebbe un’occasione assai
opportuna per incoronarti re di uno di essi. E non crederla una cosa straordinaria,
50 perché ai cavalieri erranti accadono cose e casi in forme talmente imprevedute e
impensate che facilmente potrei darti anche più di quel che ti prometto».
«In tal modo», rispose Sancho Panza, «se io per uno di quei miracoli che la
signoria vostra dice, diventassi re, Juana Gutiérrez, mia moglie, diverrebbe per lo
meno regina e i miei figli principi ereditari».
55 «E chi lo mette in dubbio?», rispose don Chisciotte.
«Io, lo metto in dubbio», replicò Sancho Panza, «perché sono convinto che, anche
se Dio facesse piovere corone reali sulla terra, nessuna starebbe bene sulla testa
di Maria Gutiérrez.6 Sappia signore, che come regina non vale due soldi: contessa
le andrà meglio, e sempre che Dio ce la mandi buona».7
60 «Tu raccomanda la cosa a Dio, Sancho», rispose don Chisciotte, «che Egli le
darà ciò che più le conviene; ma non umiliarti tanto da contentarti di essere meno
di governatore».
«Non lo farò, mio signore», rispose Sancho, «soprattutto avendo un padrone
così illustre qual è la signoria vostra, che mi saprà dare tutto ciò che mi conviene e
65 che io ho la capacità di adempiere».

***

In quel mentre scoprirono trenta o quaranta mulini a vento che si trovano in quella
campagna, e non appena don Chisciotte li vide, disse al suo scudiero:
«La fortuna guida le nostre cose meglio di quel che potremmo desiderare; perché,
guarda lì, amico Sancho Panza, dove si scorgono trenta, o poco più, smisurati
70 giganti con i quali mi propongo di venire a battaglia e di ucciderli tutti, in modo
che con le loro spoglie cominceremo ad arricchirci, ché questa è buona guerra, ed è
rendere un gran servigio a Dio togliere questa mala semenza8 dalla faccia della terra».
«Che giganti?», domandò Sancho Panza.

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«Quelli che vedi lì», rispose il suo padrone, «dalle lunghe braccia, che alcuni
75 possono averle di quasi due leghe».9
«Badi la signoria vostra», replicò Sancho, «che quelli che si vedono là non son
giganti, ma mulini a vento, e ciò che in essi sembrano braccia sono le pale che,
girate dal vento, fanno andare la pietra del mulino».
«È chiaro», disse don Chisciotte, «che non te ne intendi di avventure; quelli
80 sono giganti; e se hai paura, togliti da qui e mettiti a pregare, mentre io combatterò
con essi un’aspra e impari battaglia».
E, così dicendo, diede di sprone al suo cavallo Ronzinante, senza badare a
quello che il suo scudiero Sancho gli gridava per avvertirlo che, senza alcun dubbio,
erano mulini a vento e non giganti quelli che andava ad attaccare. Ma egli era
85 talmente convinto che si trattasse di giganti da non udire le grida del suo scudiero
Sancho, né accorgersi, sebbene fosse già molto vicino, di quello che erano; anzi
andava gridando a gran voce:
«Non fuggite, gente codarda e vile, che è un cavaliere solo ad attaccarvi».
Nel frattempo si alzò un po’ di vento, e le grandi pale cominciarono a muoversi;
90 don Chisciotte, visto ciò, disse:
«Anche se moveste più braccia del gigante Briareo,10 me la pagherete».
E, così dicendo, raccomandandosi ardentemente alla sua dama Dulcinea, chiedendole
che lo soccorresse in tale frangente, ben coperto dalla rotella,11 con la
lancia in resta,12 lanciò Ronzinante a gran galoppo e assalì il primo mulino che gli
95 stava davanti; ma, avendo egli dato un colpo di lancia alla pala, il vento la fece girare
con tanta violenza che ridusse in pezzi la lancia, portandosi via dietro cavallo e
cavaliere, il quale rotolò molto malconcio per terra. Sancho Panza accorse a dargli
aiuto, con l’asino a tutta carriera,13 e, quando lo raggiunse, trovò che non si poteva
muovere, tale era stato il colpo che aveva dato con Ronzinante.
100 «In nome di Dio!», disse Sancho. «Non l’avevo detto io alla signoria vostra che
stesse bene attento a quel che faceva, perché non erano se non mulini a vento, e
solo chi ne avesse altri in testa14 poteva non accorgersene?».
«Sta’ zitto, amico Sancho», rispose don Chisciotte, «che le cose della guerra,
più di ogni altra, sono soggette a continui mutamenti; tanto più che io penso, ed è
105 certamente così, che quel mago Frestone15 il quale mi ha rubato la stanza e i libri,
ha cambiato questi giganti in mulini per togliermi la gloria di vincerli, tale è l’inimicizia
che nutre per me; ma, alla resa dei conti, le sue male arti16 avranno poco
valore di fronte alla bontà della mia spada».
«Così voglia Iddio, che tutto può», rispose Sancho Panza.
110 E quando egli l’ebbe aiutato ad alzarsi, don Chisciotte rimontò su Ronzinante
che era mezzo spallato.17 Così, parlando della passata avventura, continuarono ad
andare in direzione di Puerto Lápice, perché don Chisciotte diceva che lì non era
possibile che non si dovessero incontrare molte e varie avventure, essendo un luogo

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di gran transito,18 ma era molto dolente che gli fosse venuta a mancare la lancia
115 e, parlandone al suo scudiero, gli disse:
«Mi ricordo di aver letto che un cavaliere spagnolo, di nome Diego Pérez de
Vargas, essendoglisi rotta la spada in battaglia, asportò da una quercia un grosso
ramo o tronco, con il quale fece tali cose in quella giornata e massacrò tanti mori
che gli rimase il soprannome di Massacra,19 e da allora in poi tanto lui quanto i
120 suoi discendenti si chiamarono Vargas Massacra. Ti ho detto questo perché penso
anch’io di asportare dalla prima quercia o rovere che mi si presenti un ramo, grosso
e forte come immagino fosse quello; e mi propongo di compiere con esso tali
imprese che tu ti debba stimare ben fortunato di aver meritato di vederle e di essere
testimone di fatti che a stento potranno esser creduti».
125 «Con l’aiuto di Dio», disse Sancho, «io credo a tutto ciò, proprio come la signoria
vostra dice; ma stia un po’ più diritto,20 perché sembra che penda tutto da una
parte, forse per la spossatezza della caduta».
«È proprio così», rispose don Chisciotte, «e se non mi lamento per il dolore è
perché non è concesso ai cavalieri erranti lamentarsi per ferita alcuna, anche se da
130 essa gli vengano fuori le budella».

      Dentro il testo

I contenuti tematici

In questo brano troviamo un’evidente parodia* della materia cavalleresca. Come ogni cavaliere errante che intenda essere degno di questo nome, don Chisciotte non tarda a compiere la sua quête, cioè il viaggio alla volta dell’avventura e alla ricerca della gloria. Nel caso del nostro protagonista, però, gli esiti di tale impresa saranno grotteschi e paradossali.
Il meccanismo è sempre lo stesso a ogni episodio: don Chisciotte ha una percezione allucinata della realtà, in virtù della quale banali situazioni quotidiane vengono trasfigurate in una rilettura poetica e simbolica, del tutto avulsa dal principio di realtà: in questo caso semplici mulini a vento diventano smisurati giganti (rr. 69-70) dalle lunghe braccia (r. 74).

Viene qui introdotta per la prima volta nel romanzo la figura di Sancho Panza, caratterizzato come uomo dabbene […] ma con pochissimo sale in zucca (rr. 2-3). C’è indubbiamente in lui una certa creduloneria, che emerge in questo episodio, per esempio, dalla sua fiducia nella possibilità di diventare davvero governatore di un’isola. Tuttavia in un altro passo del romanzo Cervantes lo definisce «la voce del buon senso», ovverosia il controcanto oggettivo alle fantasticherie e alle illusioni del cavaliere.
Sarebbe sbagliato, tuttavia, cogliere nella coppia solo gli aspetti antagonistici: il loro viaggio è pur sempre comune, mosso com’è da un miraggio alternativo alla realtà. La differenza è che il paladino è votato a leggere le cose umane sublimandole mediante la follia, lo scudiero è invece più concreto anche nella realtà immaginaria: egli non ambisce alla gloria, ma alla ricchezza materiale.

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Le scelte stilistiche

Il conflitto “culturale” e “caratteriale” tra don Chisciotte e Sancho Panza si riverbera nelle due voci e nei rispettivi universi linguistici: nei loro dialoghi vivaci è reso il gioco di contrappunto tra le velleità altisonanti del cavaliere e la saggezza alla buona del suo alter ego. Il linguaggio del primo, entro una sintassi impostata, di norma ipotattica*, non disdegna infatti le suggestioni della convenzionale terminologia cavalleresca (aspra e impari battaglia, r. 81), convenienti al suo rango immaginario, né gli involontariamente comici richiami al mito classico (il gigante Briareo, r. 91) e le massime dal sapore filosofico (le cose della guerra, più di ogni altra, sono soggette a continui mutamenti, rr. 103-104). La parlata contadinesca del servitore è invece strutturata in periodi molto più semplici, nei quali si alternano la saggezza elementare dell’uomo con i piedi per terra (Che giganti?, r. 73; Badi la signoria vostra […] che quelli che si vedono là non son giganti, ma mulini a vento, rr. 76-77) e l’appello popolaresco al soccorso provvidenziale (In nome di Dio!, r. 100; Così voglia Iddio, r. 109; Con l’aiuto di Dio, r. 125).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Che cosa promette don Chisciotte a Sancho Panza nella prima parte del brano?


2 Qual è l’esito dello scontro con i mulini a vento?


3 Come giustifica don Chisciotte la sparizione dei presunti giganti e la comparsa dei mulini, di cui, dopo il “combattimento”, riconosce l’esistenza?

ANALIZZARE

4 Individua nel testo i momenti in cui don Chisciotte fa riferimento alle sue letture cavalleresche per giustificare le proprie scelte e intenzioni.

INTERPRETARE

5 Indica nella tabella gli elementi della realtà e l’interpretazione che ne fornisce don Chisciotte.

Il mondo reale
La rilettura di don Chisciotte
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

6 Perché inizialmente don Chisciotte è perplesso di fronte all’idea che Sancho cavalchi un asino?

PRODURRE

La tua esperienza

7 “Combattere contro i mulini a vento” significa affrontare problemi immaginari o insolubili, nemici inesistenti, frutto della propria fantasia. Ti è mai successo? Racconta in un testo narrativo di circa 20 righe un tuo combattimento “contro i mulini a vento”.


Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento