Antologia della Divina Commedia

Letture critiche ta di vocaboli dialettali mira a caratterizzare singoli personaggi (p. es. il lucchese issa attribuito a Bonagiunta). Amplissima, quasi direi illimitata, è l apertura verso i vocaboli latini, classici, tardi e medievali. L ammissibilità teorica di tutti essi, anche i più strani, è dimostrata da quel passo del De vulgari eloquentia (II, VII, 6) [...]. I latinismi sovrabbondano nei canti di discussione dottrinale; quindi ne troviamo in quantità crescente dall Inferno al Paradiso. Molti già dovevano essere stati accolti nell italiano scolastico prima di Dante, ma molti sono certamente suoi. Alle volte l abbondanza dei latinismi è suggerita dalla solennità del discorso attribuito a un personaggio. Per citar solo un esempio, nello scorcio di storia dell Impero tracciato da Giustiniano (Par., VI), ce ne sono molti che contribuiscono all alta tonalità del discorso. (Del cirro negletto fu nomato... tu labi... tr unfaro... si cuba... col baiulo seguente... dal colubro la morte prese subitana ed atra... al lito rubro... e il suo delubro... era fatturo... nel commensurar di nostri gaggi... alcuna nequizia... la presente margarita... [...]). Altre volte è l aderenza alla sua fonte che suggerisce a Dante il latinismo. [L agricola del canto di S. Domenico (Par., XII, v. 71) risale alla parabola del vignaiolo; il conservo di papa Adriano (Purg., XIX, v. 134) viene dall Apocalisse; gli iaculi serpenti di Libia (Inf., XXIV, v. 86) sono un ricordo di Lucano; il libito e il licito scambiati da Semiramide (Inf., V, v. 56) sono già contrapposti in un passo di Orosio; l alte fosse che vallan quella terra sconsolata (Inf., VIII, v. 77) risalgono al libro dei Proverbi, parafrasato già in un passo del Convivio («quando [Iddio] con certa legge e giro vallava gli abissi ); ecc.]. Lo Zingarelli ha elencato circa cinquecento latinismi. Chi si mettesse a rifare il calcolo dovrebbe tentar di distinguere i latinismi propri di Dante da quelli già comuni al tempo suo; ma non vogliamo tentare questa difficile impresa, né cercare quali possono essere state nei singoli casi le ragioni della scelta del poeta: ci basti aver segnalato l ampiezza del fenomeno. L ignoranza del greco ha trattenuto Dante dall adoperare vocaboli greci che non vedesse già accolti nei testi latini di cui si serviva (p. es. latria e tetragono li trovava in S. Tommaso). Solo eccezionalmente egli si avventura a ricostruire più che non sappia. [...] I gallicismi che troviamo in Dante non sono pochi, ma si stenta a indicarne qualcuno che non si trovi anche in altri testi e quindi possa essere esclusivamente suo. [Anche flailli (Par., XX, v. 14), adattamento del fr. ant. flavel, flajel, finora non documentato da alcun altro testo, potrebbe essere giunto a Dante per tramite siciliano, se badiamo al vocalismo]. Difficile è anche stabilire il confine tra le voci coniate da Dante e quelle che egli può avere attinto attorno a sé, da fonti di cui non ci resta testimonianza. Probabilmente sono sue parecchie derivazioni immediate, deverbali come cunta (Purg., XXXI, v. 4) o denominali come alleluiare, golare, mirrare. Tra le molte derivazioni prefissali (adimare, appulcrare; dismalare, divimare; indracare, ingigliare, impolare, inurbarsi, inventrare, rinfamare, ringavagnare; sgannare, spoltrire; transumare ecc.) parecchie sono certo sue, specialmente le voci formate da possessivi, da pronomi, da numerali, da avverbi. [Immiare, intuare, inleiarsi, inluiarsi, intrearsi, internarsi (der. di terno), incinquarsi, immillarsi, indovarsi, insemprarsi, insusarsi]. A proposito d imparadisare, il Tommaseo diceva, nel Dizionario: « della lingua viva, e da essa l avrà preso Dante, non essa da Dante : ma in presenza di tante coniazioni di questo tipo, ci sembra più probabile il contrario. Bruno Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze 1961 355

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