Antologia della Divina Commedia

CANTO XXXIII Paradiso 39 Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani! . [37-39] La tua protezione (guardia) vinca le passioni (movimenti) umane (umani): guarda (vedi) Beatrice con quanti beati congiungono (chiudon) le mani verso di te (ti) per [sostenere] le mie preghiere! . 42 Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; [40-42] Gli occhi amati (diletti) e venerati da Dio, fissi nell oratore, ci (ne) dimostrarono (dimostraro) quanto le sono gradite (grati) le devote preghiere (prieghi); 45 indi a l etterno lume s addrizzaro, nel qual non si dee creder che s invii per creatura l occhio tanto chiaro. [43-45] quindi si rivolsero (s addrizzaro) verso (a) l eterna (etterno) luce (lume), nella quale non si deve (dee) credere che da una creatura (per creatura) si possa indirizzare (s invii) uno sguardo (l occhio) altrettanto (tanto) chiaro. 48 E io ch al fine di tutt i disii appropinquava, sì com io dovea, l ardor del desiderio in me finii. [46-48] E io che mi avvicinavo (appropinquava) al termine ultimo (fine) di tutti i desideri (disii), com era mio dovere (sì com io dovea), portai all estremo limite (finii) l ardore del mio desiderio. 51 Bernardo m accennava, e sorridea, perch io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea: [49-51] Bernardo mi sorrideva (sorridea) e mi faceva cenno (m accennava) perché io guardassi verso l alto (suso); ma io da solo (per me stesso) ero già come (tal quale) lui (ei) voleva: 54 ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l alta luce che da sé è vera. [52-54] così che (ché) la mia vista, diventando (venendo) pura (sincera), entrava (intrava) sempre di più (e più e più) attraverso (per) il raggio della suprema (alta) luce che è vera di per sé (da sé). 57 Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che l parlar mostra, ch a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. [55-57] Da qui (quinci) in avanti la mia capacità di vedere (il mio veder) fu maggiore (maggio) di quanto non dimostri (mostra) la parola (parlar), poiché viene meno (cede) a tale vista, e viene meno la memoria a tale superamento del limite (oltraggio). 60 Qual è col i che sognando vede, che dopo l sogno la passione impressa rimane, e l altro a la mente non riede, [58-60] Come quello (Qual è col i) che vede qualcosa in sogno (sognando vede), che dopo il sogno gli rimane l emozione (passione) provata (impressa), e il resto (altro) non ritorna (riede) alla mente, 63 cotal son io, ché quasi tutta cessa mia vis one, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. [61-63] così (cotal) sono io, dal momento che (ché) la mia visione è quasi del tutto scomparsa (cessa), e ancora mi stilla (distilla) nel cuore (core) la dolcezza (dolce) che da lei (essa) nacque. 44-45. nel qual chiaro: nessun altra creatura, mortale o angelica, può penetrare la luce divina con sguardo altrettanto limpido e penetrante. 46-47. E io appropinquava: torna l io narrativo del poeta, che riporta in prima persona le suggestioni ricevute dalla visione paradisiaca. Il traguardo finale di tutti i desideri è una perifrasi* per Dio. 53-54. e più vera: l acutezza della vista del poeta aumenta in modo graduale, ac- crescendo la sua capacità di contemplare lo splendore di Dio, che è fonte di luce esso stesso e non è riflesso. 56-57. cede oltraggio: la figura retorica dell anadiplosi*, con cui Dante ripete il verbo cedere alla fine di un verso e all inizio del successivo, sottolinea l impossibilità, da parte del poeta, di raccontare quanto ha potuto vedere: continua così a ribadire l ineffabilità della visione, che trascende i limiti umani. Si noti come il termine oltraggio non avesse anticamente un valore negativo, ma indicasse solo qualcosa oltre (ultra) il limite ; nel corso del tempo, poi, è passato a designare ciò che non è tollerabile. 58-63. Qual da essa: dopo la visione, Dante conserva nella propria coscienza soltanto un senso di dolcezza, proprio come chi, finito un sogno, non ne ricorda il contenuto, ma soltanto le passioni che esso ha suscitato in lui. Le due terzine sono intessute di enjambement* (vv. 59-60; 61-62-63). 339

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