Nella Commedia... e oltre

Nella Commedia... e oltre In primo piano Come rappresentare il Paradiso La letteratura medievale è ricca di testi che narrano di viaggi agli Inferi di antichi eroi e cavalieri, ma risulta piuttosto povera di racconti equivalenti per il Paradiso. Di un viaggio in cielo parla san Paolo nella Seconda lettera ai corinzi (cap. 12): Io conosco un uomo in Cristo il quale quattordici anni fa, se col corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio, fu rapito fino al terzo cielo. E so che quest uomo [...] fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili, che non è dato all uomo di poter esprimere. Egli tuttavia non racconta praticamente niente di ciò che vede. Come immaginare, dunque, il Paradiso? Un filone narrativo ne parlava come di un nuovo Giardino dell Eden. Perpetua, per esempio, una martire cristiana uccisa nel 203 d.C., racconta di aver avuto una visione prima di morire: Vidi una scala di bronzo di mirabile altezza che giungeva fino al cielo [...] Io allora compii l ascesa. E vidi un immenso giardino e, seduto nel mezzo, un uomo con la testa bianca, vestito da pastore, di grande statura, che mungeva delle pecore; e, tutt intorno, molte migliaia di persone biancovestite. Levò il capo, mi vide e mi disse: Benvenuta, figlia! . evidente la somiglianza ai Campi Elisi dei pagani, quelli de- scritti da Virgilio nell Eneide; una descrizione affine si ritrova, nella variante della Gerusalemme celeste , in molti testi della tradizione popolare medievale, come nel Libro de le tre scritture di Bonvesin de la Riva, dove il Paradiso è una città di giardini e di palazzi dorati. Un altro filone di racconti equiparava il Paradiso a una passeggiata nei cieli. In appendice alla traduzione latina della Bibbia, per esempio, circolava un testo giudicato poi apocrifo dalla Chiesa, l Ascensione di Isaia, nel quale si assisteva a un viaggio attraverso i sette cieli: [L Angelo] mi innalzò fino al settimo cielo e io vidi una luce stupefacente e innumerabili angeli. E vidi il santo Abele e tutti i giusti. E qui vidi Enoch e tutti quelli che erano con lui, privati delle vesti di carne, e li vidi tutti rivestiti con le vesti del mondo celeste ed essi erano come angeli e vivevano in una grande gloria. Un racconto simile Dante lo poteva leggere anche nel Somnium Scipionis di Cicerone, ovvero l ultima parte del trattato De re publica in cui raccontava il sogno di Scipione l Emiliano al quale era apparso il nonno Scipione l Africano che lo aveva condotto nei cieli: Non vedi in quali templi sei venuto? Tutto è connesso in nove cerchi, o meglio sfere, dei quali uno solo è il celeste, l estremo, che abbraccia tutti gli altri,esso stesso dio supremo che comprende e contiene gli altri; un Paradiso celeste pieno della musica armonica prodotta dalle sfere in rotazione (che cos è questo dolce suono così sonoro e piacevole che riempie le mie orecchie? [...] Questo [...] è originato dall impulso e dal movimento delle sfere stesse). Come vedremo, Dante si richiamò soprattutto a questa seconda modalità di rappresentazione del Paradiso. Arazzi dell Apocalisse. Il fiume d acqua viva che scaturisce dal trono di Dio, fine del XIV secolo. Castello di Angers (Francia). I viaggi letterari Trasumanar : la fortuna di una parola inventata La Divina Commedia è ricca di parole che sulla base delle ricerche condotte finora sembrano essere state inventate da Dante per riuscire a esprimere a pieno il proprio mondo poetico. Una delle più famose è certamente il trasumanar che si incontra al verso 70 del canto I del Paradiso. Il poeta crea questo termine a partire dall aggettivo umano con il prefisso tra(n)s- nel senso di superare, andare oltre , aggiungendo infine il suffisso verbale -are. Come abbiamo visto, nel poema dantesco il vocabolo è utilizzato per indicare lo stato di chi supera la natura umana e viene innalzato alla superiore condizione, quasi divina, dell anima purificata e ammessa alla contemplazione della divinità. Nel corso dei secoli questa parola ha affascinato scrittori di ogni tempo, che se ne sono appropriati . 258 Gabriele d Annunzio, nel suo Notturno, racconta dei mesi di cecità dopo un incidente aereo durante la Prima Guerra Mondiale. Nel confidarsi con un suo compagno di sventura si dispera al pensiero di non poter tornare sul fronte al più presto a combattere per la patria e scrive: Dimmi tu se noi possiamo più vivere senza una ragione eroica di vivere. Dimmi tu se noi possiamo continuare ad essere uomini senza aver la certezza che l ora di trasumanare ritornerà. In questo caso la parola, come si vede, passa a indicare la condizione del soldato che supera l istinto di sopravvivenza, propriamente umano, buttandosi nel pieno della battaglia. Il poeta Dino Campana usa il neologismo dantesco in un breve testo in cui immagina una bambina che, travolta da un senti-

Antologia della Divina Commedia
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