Antologia della Divina Commedia

CANTO I Paradiso 3 La gloria di colui che tutto move per l universo penetra e risplende in una parte più e meno altrove. [1-3] La splendente potenza (gloria) di colui che imprime il movimento (move) a tutto, attraversa (penetra) l universo e risplende in alcune parti di più e meno in altre (altrove). 6 Nel ciel che più de la sua luce prende fu io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; [4-6] Io fui (fu io) nel cielo che prende la maggior parte della sua luce [l Empireo], e vidi cose che chi discende da lassù (di là sù) non sa né può ridire; 9 perché appressando sé al suo disire, nostro intelletto si profonda tanto, che dietro la memoria non può ire. [7-9] perché il nostro intelletto, avvicinandosi (appressando sé) al suo [massimo] desiderio (disire), si immerge così profondamente (si profonda tanto) [in Dio], che la memoria non è in grado di stargli dietro (dietro... non può ire). 12 Veramente quant io del regno santo ne la mia mente potei far tesoro, sarà ora materia del mio canto. [10-12] Tuttavia (Veramente) sarà ora argomento (materia) della mia poesia (del mio canto) tutto quello che io (quant io) ho potuto raccogliere come un tesoro (potei far tesoro) nella mia mente [del ricordo] del Paradiso (del regno santo). 15 O buono Appollo, a l ultimo lavoro fammi del tuo valor sì fatto vaso, come dimandi a dar l amato alloro. [13-15] O valente (buono) Apollo, per l ultima fatica (lavoro) fai di me (fammi) un vaso così capiente (sì fatto) della tua virtù poetica (valor), quanta ne richiedi (come dimandi) per concedere (a dar) l alloro da te amato. 18 Infino a qui l un giogo di Parnaso assai mi fu; ma or con amendue m è uopo intrar ne l aringo rimaso. [16-18] Fino a questo punto (Infino a qui) [del poema] una delle due cime (l un giogo) di Parnaso mi è stata sufficiente (assai mi fu); ma ora mi è necessario (m è uopo) entrare nel rimanente (rimaso) campo di gara (aringo) con [l aiuto di] entrambe. 1-3. La gloria altrove: con questo solenne avvio Dante pone in rilievo la maestosa potenza di Dio, definito con una perifrasi* secondo la teoria del filosofo greco Aristotele come motore immobile , cioè come causa primaria che dà origine a tutto l universo. La gloria di Dio va intesa anche nel senso di splendore , che attraversa fisicamente i corpi e li illumina, vivificandoli, in misura maggiore o minore a seconda della capacità delle creature di ricevere la grazia. 4-6. Nel ciel discende: è la prima delle tre terzine che costituiscono la parte iniziale del proemio, in cui vi è l esposizione del contenuto della cantica (protasi). Fu io sottolinea l orgoglio di Dante per essere stato nell Empireo, il punto dell universo maggiormente irradiato dalla luce divina; quanto il poeta ha potuto osservare nel regno celeste, però, non è riferibile, sia perché non riesce a ricordare (né può), sia perché le capacità espressive umane sono insufficienti a tale impresa (né sa). 7-9. perché ire: per chiarire perché né sa né può raccontare quello che ha visto nell Empireo, il poeta fa riferimento a quello che veniva chiamato excessus mentis, cioè l uscita dell anima dal corpo nel momento della contemplazione di Dio, come raccontano, per esempio, san Paolo e sant Agostino. Dante spiega questo fenomeno anche nell Epistola a Cangrande: «l intelletto umano [ ] quando si eleva, si eleva tanto che dopo il ritorno manca la memoria per aver trasceso la facoltà umana . 13-15. O buono Appollo alloro: inizia qui la seconda parte del proemio, l invocazione al dio, che si sviluppa fino al verso 36. A differenza delle prime due cantiche, nelle quali il poeta aveva chiesto l ispirazione delle Muse, ora, per il Paradiso (ultimo lavoro), in procinto di cantare argomenti elevatissimi, Dante implora il valente (buon) dio della poesia di fare di lui un contenitore (vaso) sufficientemente ampio di perizia tecnica e profondità d ispirazione da meritare l incoronazione poetica. Apollo, figlio di Giove e di Latona e fratello gemello di Diana, nella mitologia classica oltre a essere il dio della medicina, della profezia e della poesia, signore delle Muse era anche dio del Sole: è quindi figura , cioè prefigurazione di Cristo. Attraverso Apollo, quindi, Dante implora la benevolenza di Dio. 15. amato alloro: come narra il poeta latino Ovidio nelle Metamorfosi (I, 452-567), Apollo si innamorò perdutamente della ninfa Dafne che, per sfuggirgli, fu trasformata dal padre in una pianta di alloro. Per questo Apollo fece di questa pianta il simbolo della gloria militare e poetica. 16-18. Infino rimaso: fino a questo momento, cioè per comporre le prime due cantiche, è stato sufficiente al poeta l aiuto delle Muse (cfr. Inf., II, v. 7 e Purg., I, v. 8), che simboleggiano la scienza umana e hanno sede sull Elicona, una delle due vette (l un giogo) del Parnaso, monte della Beozia. Per affrontare la prova che resta, invece, gli è necessario (m è uopo) l aiuto di entrambe le cime del monte: Elicona e Cirra, sede di Apollo, simbolo della scienza divina. 18. aringo: il vocabolo, di origine germanica, designa il campo usato un tempo per giostre, tornei o per le corse dei cavalli; qui significa, per metonimia*, certame , sfida poetica . 249

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