Nella Commedia... e oltre

Nella Commedia... e oltre In primo piano La sirena di Dante ovvero Frau Welt La figura della donna bellissima che inganna gli ammiratori e che poi si rivela un orripilante vecchia è un tema ricorrente nella letteratura medievale: essa simboleggia la vanità dei beni terreni, destinati a morire e a decomporsi molto velocemente. Questo tema si ritrova in tutte le culture dell Occidente medievale, tra cui quella tedesca coeva a Dante per esempio, dove però si sceglie di rappresentare tale figura non come una sirena, ma come una fanciulla che davanti appare giovane e bella e dietro invece è in decomposizione o comunque piena di animali ripugnanti. Nella cultura germanica è detta Frau Welt, la Signora Mondo (perché la parola Welt in tedesco è femminile: noi la tradurremo quindi Signora Terra). Il poeta Walther von der Vogelweide (ca. 1170-1230) in un suo componimento sembra parlarle con grande rispetto, ma di fatto la equipara a una prostituta di una locanda il cui oste sembra essere il diavolo: Signora Terra, comunicate all oste / che ho pagato tutto: / il mio grosso debito è saldato / mi deve depennare dall elenco. / Perché chi gli rimane debitore deve proprio preoccuparsi. La dama cerca di lusingarlo ricordandogli i piaceri passati: Walther ti arrabbi senza una ragione: / tu devi restare qui con me. / Ripensa a come ti ho ospitato, / a come ho soddisfatto i tuoi desideri / ogni volta che me ne hai pregato. Ma il poeta, ormai disingannato, le risponde: Signora Terra, ho poppato troppo a lungo; / mi voglio divezzare, ormai è tempo. / La tua tenerezza mi ha ingannato, / mentre mi donava gioie così dolci. / Quando ti guardai dritta negli occhi, / il tuo aspetto era del tutto delizioso a guardarsi: / ma da quando tale orrore ho visto / quando guardai di dietro, la tua schiena, / ti respingerò sempre. Frau Welt, sul lato del portale sud del duomo di Worms, iniziato nel 1125. I viaggi letterari Un errore di Dante: Adriano IV e non V Nel 1159 Giovanni di Salisbury terminava di scrivere il suo Polycraticus, un trattato di politica e morale, laica e religiosa. Nel capitolo 23 dell VIII Libro, parlando del pericolo insito nel peccato di avarizia in coloro che detengono grandi responsabilità (come il papa), ricorda le parole del suo amico Nicholas Breakspear, divenuto da qualche anno papa con il nome di Adriano IV (1100 ca.-1159): Invoco a testimone nostro Signore che nessuno è più miserabile del papa e che non c è condizione più miserabile della sua [...] Confessa infatti di aver trovato tante miserie sul seggio papale che, fatto il paragone con le presenti, tutte le amarezze precedenti gli sembravano ora una vita felicissima. Dice che la cattedra del Pontefice romano è spinosa perché adorna di acutissimi aculei [...] E spessissimo mi aggiungeva che mentre saliva di grado in grado da semplice monaco del chiostro attraverso tutti gli incarichi fino ad ascendere al sommo pontificato, non gli fu mai donata né una qualche felicità né una qualche tranquillità rispetto a quelle che aveva nella vita precedente. Sono esattamente le parole che Dante attribuisce invece a Ottobono Fieschi, Adriano V (1210/1215-1276), un papa che Giovanni di Salisbury non poteva certo conoscere, essendo vissuto un secolo dopo di lui. Non sappiamo che cosa spinse Dante all errore: se leggendo di Adriano IV lo confuse per un proprio sbaglio con il più vicino e più noto Adriano V, o se invece un qualche testo a noi sconosciuto avesse suggerito a Dante quell inesattezza. Certo è che pochi anni dopo Francesco Petrarca, nei suoi Rerum memorandarum (Libro III, 95), proprio influenzato da Dante, riporta tale notizia ancora attribuendola erroneamente a papa Adriano V (parla infatti di un papa dei nostri giorni ). Evidentemente Petrarca parlava per sentito dire avendo letto la notizia appunto in Dante o forse nella fonte cui faceva capo Dante, ma non aveva ancora trovato il libro di Giovanni di Salisbury. Successivamente, però, il poeta del Canzoniere riesce a procurarsi una copia del Polycraticus e corregge l errore, attribuendo esplicitamente nelle Familiarum rerum (Libro III, par. 95) le parole lette ad Adriano IV. Questo dimostra quanto fosse difficile nel Medioevo studiare, dal momento che era assai problematico procurarsi i libri, sapere in quale biblioteca fossero conservate certe opere e non si disponeva che di pochissime enciclopedie. 215

Antologia della Divina Commedia
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