Nella Commedia... e oltre

Nella Commedia... e oltre In primo piano La superbia di Dante Alla fine del canto X Dante vede i penitenti che devono espiare il peccato di superbia, che la Bibbia definiva l origine di tutti i peccati : camminano accucciati soffrendo terribilmente sotto il peso di enormi pietre. Nel canto successivo, il poeta mette in bocca al miniatore Oderisi da Gubbio l affermazione che un Guido (Cavalcanti) ha tolto... la gloria de la lingua all altro Guido (Guinizzelli) e che forse è già nato colui che supererà entrambi. Evidentemente Oderisi si sta riferendo a Dante stesso; il poeta, dunque, attraverso un personaggio al quale lui stesso sta donando la voce, si autocelebra come il più grande dei poeti in lingua italiana. In effetti, che Dante-persona (e non poeta o personaggio) avesse un atteggiamento superbo è riportato anche dalle fonti antiche. Lo storico Giovanni Villani nella sua Cronica (Libro IX, cap. 136) scrive: Questo Dante per lo suo savere fu alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso. E Giovanni Boccaccio, nel suo Trattatello in laude di Dante, dichiara che: Fu il nostro poeta [...] d animo alto e disdegnoso molto (par. 163). Dante stesso doveva essere cosciente della propria superbia: lo dimostra il colloquio che ha con una delle anime penitenti della II cornice nel XIII canto del Purgatorio. Quando la senese I viaggi letterari La leggenda di Traiano e della vedova La scena del dialogo di Traiano e della vedovella e l atto di giustizia compiuto dall imperatore atto per il quale secoli dopo Gregorio Magno pregò Dio perché salvasse l anima di questo pagano così giusto Dante la leggeva in un trattato scritto 150 anni prima della Commedia, ovvero nel Polycraticus (1159) di Giovanni di Salisbury. Il poeta la riprende quasi parola per parola, traducendo dal latino e mettendo in versi il proprio racconto. La vicenda, con parole quasi identiche, circolava nelle narrazioni del Duecento: i lettori del tempo di Dante potevano infatti leggerla in una raccolta di detti e azioni dei grandi fi- Eugène Delacroix, Traiano e la vedova, particolare, 1840. 200 Sapia avendo gli occhi cuciti e quindi non accorgendosi da subito che Dante è ancora vivo chiede al poeta chi sia e perché si trovi in quel luogo, non essendo sottoposto alla medesima pena, questi risponde: «Li occhi , diss io, «mi fieno ancor qui tolti, / ma picciol tempo, ché poca è l offesa / fatta per esser con invidia vòlti. // Troppa è più la paura ond è sospesa / l anima mia del tormento di sotto, / che già lo ncarco di là giù mi pesa (Purg., XIII, vv. 133-138). Le sue parole significano che dovrà espiare per breve tempo il peccato di invidia, essendosi macchiato poco di tale colpa, laddove, viceversa, gli sembra già di sentire addosso le pesanti pietre che dovrà portare a lungo per la propria superbia. Forse la consapevolezza di peccare in superbia non deriva solo dal fatto di reputarsi il più grande poeta del suo tempo, ma anche dalla percezione di compiere un atto di un arroganza assoluta facendosi portavoce di Dio nel giudicare tutti gli uomini del passato e del presente, presumendo di avere la verità assoluta e non concedendo alla controparte nemmeno la possibilità di esprimere le proprie ragioni; di certo tale atteggiamento era l estrema reazione di un anima talmente ferita e umiliata dalla vita da rifiutare ogni dialogo e ogni confronto. losofi, intitolata Fiore e vita de filosafi («E questo Traiano imperatore fue liberato delle pene dello inferno ed andò in Paradiso per la giustizia sua e per gli prieghi di santo Grigoro papa ) e nella più antica raccolta di novelle della letteratura italiana, Il Novellino («Qui conta [racconta] della gran giustizia di Traiano imperadore ). Anche in questo caso però l operazione letteraria dantesca mira a un risultato diverso dall originale: mettendolo in sequenza con l Annunciazione e con la danza di David, Dante descrive l atto di giustizia di Traiano come parte di un disegno provvidenziale capace di dimostrare il valore dell umiltà nella storia umana.

Antologia della Divina Commedia
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