Antologia della Divina Commedia

Divina Commedia 117 Vieni a veder la gente quanto s ama! e se nulla di noi pietà ti move, a vergognar ti vien de la tua fama. [115-117] Vieni a vedere quanto si ama la gente! E se nessuna (nulla) pietà nei nostri confronti ti smuove (move), vieni a vergognarti (vergognar) della tua fama. 120 E se licito m è, o sommo Giove che fosti in terra per noi crucifisso, son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? [118-120] E se mi è permesso (licito), o sommo Giove [Dio], che fosti crocifisso in terra per noi, il tuo sguardo giusto (li giusti occhi tuoi) è rivolto altrove? 123 O è preparazion che ne l abisso del tuo consiglio fai per alcun bene in tutto de l accorger nostro scisso? [121-123] Oppure è il preludio (preparazion) di un qualche (alcun) bene che concepisci (fai) nella profondità (abisso) della tua mente (consiglio), del tutto (in tutto) distaccato (scisso) dalla nostra percezione (accorger)? 126 Ché le città d Italia tutte piene son di tiranni, e un Marcel diventa ogne villan che parteggiando viene. [124-126] Perché le città d Italia sono tutte piene di capi popolo senza scrupoli (tiranni), e ogni contadino (villan) che entra a far parte di una fazione (parteggiando viene) diventa un Marcello. 129 Fiorenza mia, ben puoi esser contenta di questa digression che non ti tocca, mercé del popol tuo che si argomenta. [127-129] Firenze mia, puoi esser ben contenta che questa digressione non ti tocchi, grazie (mercé) al tuo popolo che si impegna (si argomenta) [a far prosperare la città]. Antonio Varni, Dante,Virgilio e Sordello, XIX secolo. 115. Vieni quanto s ama!: nella quarta invettiva* Dante ricorre alla figura retorica dell ironia*, che dichiara un concetto per far intendere quello opposto: nello specifico il poeta invita l imperatore in Italia a prendere coscienza di quanto la gente si ama , intendendo, ovviamente, quanto invece si odia , come si può ricavare da quanto ha scritto nei versi precedenti. 116-117. e se nulla tua fama: Dante conclude le terzine rivolte ad Alberto con l ultima sprezzante richiesta: se non è la pietà a smuoverlo per venire in Italia, sia almeno la vergogna della pessima reputazione di cui gode. 118-120. E se licito altrove?: tale è la disperazione del poeta per la tragica situazione civile dell Italia del suo tempo che arriva persino a chiedersi se Dio che tutto vede e di tutto si prende cura abbia distolto lo sguardo dalla penisola e l abbia abbandonata al suo destino di rovina. Il dubbio risulterebbe persino blasfemo se davvero Dante pensasse che la Provvidenza divina non si preoccupa del destino di una qualche creatura; tale domanda ha ovviamente una funzione soprattutto retorica: sottolineare la sofferenza e l indignazione del poeta per la crisi politica italiana. 118. sommo Giove: il poeta si rivolge al Dio cristiano chiamandolo come la massima divinità pagana, ovvero Giove. una licenza 164 poetica che però ha anche una garanzia teologica: i Padri della Chiesa ritenevano infatti che i fondatori dei miti pagani avessero ricevuto una qualche ispirazione delle verità cristiane e, dunque, quando immaginavano un sommo dio garante della giustizia, di fatto stessero intuendo l esistenza del Dio cristiano. 121-123. O è preparazion ... scisso?: il dubbio espresso nella terzina precedente è qui subito attenuato. Nel pieno rispetto dell ortodossia religiosa per la quale anche i mali che colpiscono il cristiano non sono che una prova da sopportare in vista di un bene maggiore Dante ipotizza che l inconoscibile pensiero divino stia concependo anche per l Italia un piano di salvezza che gli uomini non possono scorgere per la loro limitatezza. 124-125. Ché le città diventa: nella situazione di anarchia e di violenza che stravolge le città italiane, anche una figura priva di qualunque cultura e preparazione politica può sfruttare gli odi cittadini e la guerra tra partiti e fazioni per diventare un Marcel. Marcel: non sappiamo se Dante si stia riferendo a Gaio Claudio Marcello, console nel 50 a.C. e acerrimo nemico di Giulio Cesare (e quindi dell Impero), oppure a Marco Claudio Marcello, console nel 222 a.C., vincitore di galli e cartaginesi e indicato da Virgilio nell Eneide come il progenitore di Augusto. In ogni caso tale nome sta a indicare una figura pubblica che non mira al bene comune ma solo a guadagnare un potere personale approfittando della lotta delle fazioni cittadine. Utilizzare un nome proprio per indicare genericamente delle qualità costituisce la figura retorica dell antonomasia*. 127-129. Fiorenza mia ... si argomenta: comincia l ultima parte dell invettiva dantesca, tutta rivolta contro Firenze: la malinconia e il disprezzo lasciano definitivamente il posto a un sarcasmo tagliente e amaro, che tradisce il sentimento d amore che lega il poeta alla città natale. Per denunciare il caos politico, amministrativo e civile della città che lo ha esiliato, Dante finge di lodarla per le virtù che i suoi cittadini non possiedono, dipingendola come un isola di buongoverno e di benessere cittadino, intendendo ovviamente il contrario per ognuno degli aspetti che evidenzia.

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