L’impero degli Ottoni e la Chiesa

9.3 IL FEUDALESIMO E LE ULTIME INVASIONI

L’impero degli Ottoni e la Chiesa

Tra i regni sorti in seguito alla disgregazione dell’impero carolingio un ruolo storico fondamentale fu svolto da quello che si affermò nel regno dei Franchi orientali, l’attuale Germania. Questi territori, agli inizi del X secolo, erano ancora suddivisi politicamente tra i domini di quattro ducati – Baviera, Franconia, Sassonia e Svevia – legati da forti vincoli di fedeltà feudale, oltre che dalle comuni origini culturali.

La dinastia sassone

La supremazia tra i duchi germanici fu ottenuta da Enrico I di Sassonia, che nel 919 venne acclamato re dai feudatari tedeschi. Nel 936 suo figlio Ottone I ottenne un altro importante riconoscimento politico, ricevendo la corona di re dei Franchi e dei Sassoni. Ciò fu possibile grazie all’appoggio dei duchi e dei vescovi tedeschi, che fornirono una chiara legittimazione al suo potere e al diritto ereditario del titolo di re.
Fu l’inizio della dinastia sassone, che si affermò nel panorama politico europeo soprattutto grazie ai successi militari: nel 955 i guerrieri di Ottone I sconfissero definitivamente gli Ungari a Lechfeld, presso l’attuale città tedesca di Augusta (Augsburg), ponendo fine alle loro incursioni nei territori dell’Europa centrale.
Negli anni seguenti, con l’appoggio della Chiesa di Roma, il sovrano sassone intraprese una campagna di espansione territoriale nelle regioni orientali, contro gli Slavi. Come era successo all’epoca di Carlo Magno, il pretesto della missione evangelizzatrice dei “barbari” servì al re sassone per coprire le sue reali intenzioni espansionistiche.

I vescovi-conti

Il legame di Ottone I con le gerarchie ecclesiastiche fu consolidato dall’assegnazione ai vescovi di importanti funzioni amministrative del regno, prima riservate ai conti. Si formò così una nuova classe di funzionari, definiti vescovi-conti, che, pur mantenendo la carica ecclesiastica, erano alle dirette dipendenze del sovrano.
Ottone I si assicurò in questo modo la disponibilità di una burocrazia efficiente, poiché gli ecclesiastici erano di gran lunga più preparati e istruiti dei cavalieri dell’aristocrazia germanica. L’assegnazione delle cariche amministrative ai membri del clero comportava inoltre un tentativo di consolidare la supremazia del sovrano sui nobili laici, che non potevano più acquisire un’autorità in grado di minacciare la monarchia. La scelta di membri del clero per gli incarichi pubblici evitava tra l’altro l’insorgere di contese legate ai diritti di eredità dei feudi: gli ecclesiastici, infatti, non potevano avere discendenti e alla loro morte le proprietà fondiarie tornavano nelle disponibilità del re.
La riforma amministrativa di Ottone I, infine, ebbe ripercussioni fondamentali sui rapporti tra il re tedesco e la Chiesa. Il sovrano estese infatti la propria autorità politica sul clero, poiché, grazie alla facoltà di nominare personalmente i vescovi-conti, la sua influenza si esercitava di fatto anche nel campo del potere spirituale della Chiesa.

L’incoronazione imperiale di Ottone I

Questi solidi legami diplomatici e politici instaurati da Ottone I con la Chiesa furono la premessa per la sua investitura a imperatore da parte di papa Giovanni XII, nel 962. Dopo la morte di Carlo il Grosso, alla fine del IX secolo, il titolo imperiale era stato conteso dai membri dell’aristocrazia italiana e francese, ma le lotte di potere avevano impedito che la corona venisse attribuita in modo stabile. In queste dispute si inserirono anche le famiglie nobili romane, che, grazie ai loro intrighi, miravano a influenzare le scelte dei pontefici per garantire i propri interessi economici e politici.
Il papato, in quel periodo, era caratterizzato da una vasta corruzione e, per la sua intrinseca debolezza, risultava incapace di opporsi alle trame degli aristocratici. Così, subito dopo l’incoronazione di Ottone I papa Giovanni XII, coinvolto negli intrighi, fu deposto dal soglio pontificio. In questo contesto emerse con chiarezza come l’autorità dell’imperatore fosse notevolmente superiore a quella del papa.
Attraverso una disposizione emanata nel 962, denominata privilegium Othonis (cioè “privilegio di Ottone”), l’imperatore confermò il potere temporale del papa sullo Stato della Chiesa riconoscendone i domini, ma stabilì anche una norma che rendeva evidenti i nuovi rapporti di forza tra Chiesa e impero: l’elezione del pontefice, pur restando di competenza ecclesiastica, doveva necessariamente essere ratificata dall’imperatore. In questo modo, con il pretesto di eliminare la corruzione, Ottone I impose di fatto il controllo imperiale sul papato.

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L’impero di Ottone II

Dopo la nomina imperiale, l’influenza politica di Ottone I si estese anche all’Italia: egli intraprese infatti una campagna di espansione territoriale a danno dei possedimenti bizantini, che in quel periodo avevano avviato la riconquista di gran parte dei domini sottratti loro dagli Arabi nell’Italia meridionale. Il conflitto con l’impero d’Oriente si compose provvisoriamente solo in seguito al matrimonio dell’erede diretto di Ottone con la figlia dell’imperatore di Bisanzio.
Alla morte del padre, nel 973, Ottone II ereditò il titolo imperiale e fu subito impegnato a contrastare le tendenze autonomistiche dei feudatari tedeschi e dell’aristocrazia romana, che speravano di riconquistare l’indipendenza limitata dal potere del sovrano sassone. Per indirizzare le tensioni interne verso un nemico comune, oltre che per conquistare nuove terre necessarie a garantirsi la fedeltà dei feudatari, Ottone II riprese le ostilità contro i Bizantini e iniziò una nuova campagna di espansione territoriale nell’Italia meridionale. Nel 982, tuttavia, subì una dura sconfitta a Stilo, in Calabria, da parte dei Saraceni.

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La restaurazione dell’impero

Sotto l’impero di Ottone III (983-1002), che succedette al padre, riprese vigore l’ideale carolingio della renovatio imperii – la restaurazione dell’impero romano e cristiano – e la teoria della translatio imperii, ossia il “trasferimento del potere imperiale”, per volontà divina, dai Romani ai Bizantini, da questi ai Franchi e, infine, ai Sassoni. L’ideale della restaurazione dell’impero romano aveva lo scopo di legittimare un potere indebolito dalla crescente opposizione dell’aristocrazia feudale. Il tentativo di Ottone III fallì infatti a causa della decisa intransigenza della nobiltà romana, che riuscì a privare l’imperatore del sostegno delle autorità ecclesiastiche.
Alla sua morte, il regno di Germania passò nelle mani di Enrico II di Baviera, legato agli Ottoni da vincoli di parentela, e poi, nel 1024, al suo successore Corrado II di Franconia, detto il Salico. L’autorità di questi sovrani continuò tuttavia a essere indebolita dalle rivendicazioni autonomistiche della nobiltà feudale tedesca, che riuscì a riaffermare la propria indipendenza politica. Proprio sotto Corrado II, come abbiamo visto, fu tra l’altro emanata la Constitutio de feudis con la quale venne riconosciuta l’ereditarietà di tutti i feudi.

La decadenza della Chiesa

I rapporti tra gli Ottoni e la Chiesa mostrano come il papato si trovasse in una fase di grave decadenza. La debolezza non riguardava soltanto il prestigio del papa e il suo peso nelle relazioni politiche del tempo, ma anche la situazione interna della Chiesa. Intorno all’anno Mille gli ambienti clericali erano infatti caratterizzati da una corruzione endemica e dalla diffusione di comportamenti dissoluti (ubriachezza, lussuria, contravvenzione al celibato e abbandono dei figli) che rischiavano di pregiudicare la stessa autorità esercitata sui fedeli. Una delle piaghe più gravi che affliggevano il clero – e che l’elezione dei vescovi-conti da parte dell’imperatore aveva contribuito a diffondere – era la simonìa (dal nome di un personaggio citato negli Atti degli Apostoli, Simon Mago, che aveva tentato di ottenere da San Pietro poteri taumaturgici in cambio di denaro). Con questo termine si definiva la compravendita di cariche ecclesiastiche, fenomeno che aveva assunto una dimensione notevolissima. Molti di coloro che sceglievano la carriera ecclesiastica erano infatti motivati da interessi economici, più che da istanze spirituali, in un contesto in cui la maggior parte delle relazioni di potere era ormai dominata dalla corruzione.

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Il monachesimo cluniacense

La risposta più incisiva alla corruzione della Chiesa sorse all’interno delle strutture ecclesiastiche. Agli inizi del X secolo, infatti, nacque in Francia un nuovo ordine monastico, fondato dal duca Guglielmo di Aquitania. I monaci cluniacensi – chiamati così dal nome dell’abbazia di Cluny, in Borgogna, dove Guglielmo creò nel 910 d.C. il nuovo ordine – promossero una riforma della Chiesa attraverso il ritorno agli ideali del cristianesimo delle origini, incentrati sui princìpi di povertà, castità e semplicità. Passo indispensabile per la riaffermazione di questi ideali e per l’eliminazione della corruzione era la distinzione tra potere temporale e potere spirituale. Per questo motivo, Guglielmo pose l’abbazia di Cluny direttamente sotto la tutela papale, in modo da evitare l’ingerenza delle istituzioni laiche ed ecclesiastiche locali. Il monachesimo cluniacense si affermò in molte aree d’Europa e diffuse tra i cristiani nuove istanze di riforma della Chiesa, che si affiancarono ad altre forme di malcontento dei fedeli contro la corruzione delle gerarchie ecclesiastiche. Tale carattere di sollevazione contro il malcostume ebbe per esempio il movimento dei pàtari.

I poteri universali: papato e impero

Questi fermenti determinarono in effetti un profondo rinnovamento dei vertici della Chiesa di Roma, che di lì a poco sarebbe diventata la principale antagonista del potere imperiale.
Nel 1059, infatti, papa Niccolò II escluse definitivamente qualsiasi ingerenza degli aristocratici o dell’imperatore nella scelta dei papi. Il suo successore Gregorio VII, inoltre, abolì la prassi delle investiture (cioè delle nomine) dei vescovi da parte delle autorità politiche, entrando in grave conflitto con l’imperatore Enrico IV (1056-1104). Costui riuscì a convocare un concilio per far deporre il papa, che di contro scomunicò l’imperatore e, con un provvedimento noto come Dictatus papae (1076), affermò la preminenza del potere spirituale su quello temporale. La scomunica, vale a dire l’esclusione dalla comunità dei fedeli, rischiava di delegittimare anche il potere temporale del sovrano, autorizzando i sudditi a disconoscerne l’autorità; di conseguenza, Enrico IV fu costretto a sottomettersi al volere del papa, recandosi come penitente da Gregorio VII, ospite della contessa Matilde a Canossa.
L’azione di Gregorio VII riproponeva dunque una concezione teocratica del potere papale, che avrebbe influenzato buona parte della storia successiva. Nei primi secoli del basso Medioevo – il periodo che convenzionalmente prende avvio dall’anno Mille – i poteri universali della Chiesa e dell’impero avrebbero continuato a contendersi la supremazia nel continente, fino al sorgere delle monarchie nazionali, con le quali si sarebbe aperta una nuova epoca nelle relazioni politiche e diplomatiche della storia europea.

  

PER RICORDARE

  • Chi erano i vescovi-conti? Quali vantaggi comportava, per il re sassone, la nomina di funzionari ecclesiastici?
  • Che cosa stabilì il privilegium Othonis? Quali conseguenze ebbe nei rapporti tra Chiesa e impero?
  • Quale ruolo svolse il monachesimo cluniacense nella riforma della Chiesa romana?

Leggere il passato - volume 2
Leggere il passato - volume 2
Da Roma imperiale all’anno Mille