La decorazione architettonica

    5.  LA GRECIA ARCAICA >> Le origini dell'arte greca

La decorazione architettonica

Alcuni elementi architettonici dei templi greci, quali frontoni, metope e fregi, ospitavano decorazioni figurate in cui, come per la scultura a tutto tondo, è possibile cogliere in Età arcaica un’evoluzione verso soluzioni tecniche e stilistiche sempre più efficaci. Le decorazioni più antiche, in gran parte andate perdute, erano fittili (in terracotta) e dipinte; ma nel corso del VI secolo a.C. entra in uso la pietra scolpita, sempre dipinta, inizialmente in bassorilievo, poi in altorilievo e infine, nel caso dei frontoni, a tutto tondo.

Le raffigurazioni più antiche risentono ancora dello stile Orientalizzante e presentano per lo più immagini di animali, serpenti, esseri fantastici e mostri, che svolgevano una funzione apotropaica (allontanavano gli spiriti maligni). Nel corso del tempo la produzione artistica giunge invece ad affrontare la narrazione di eventi mitologici.

La decorazione del frontone

Il timpano, cioè lo spazio interno del frontone, ha la forma di un triangolo basso e allungato, determinato dalla copertura a due spioventi del tempio. Le scene figurate che vi compaiono devono adattarsi a tale forma, ma allo stesso tempo mantenere una propria unità di composizione senza trasmettere il senso di costrizione dato dai limiti spaziali degli angoli. Gli scultori dell’antica Grecia si trovarono così davanti a una doppia difficoltà: scegliere soggetti che si adattassero alla forma triangolare e disporre le figure in uno spazio dalla forma particolare, non solo largo e basso, ma più ristretto alle estremità.

Frontone del Tempio di Artemide a Corfù

Il frontone orientale del tempio dorico dedicato ad Artemide (38) nell’isola di Corcira (oggi Corfù, nel mar Ionio), eseguito intorno al 580 a.C., è il più antico che si sia conservato tra quelli scolpiti nella pietra tufacea detta pòros. Le figure, parzialmente danneggiate, si riferiscono a miti differenti, senza nessuna unità di contenuto, e hanno dimensioni varie.
Al centro si trova Medusa, una delle tre Gorgoni (esseri mitologici con serpenti al posto dei capelli, lunghe zanne ferine e sguardo capace di trasformare in pietra), rappresentata con volto e busto frontali e gambe di profilo nella tipica “corsa in ginocchio” . Una cintura di serpenti le stringe la vita, mentre ai piedi indossa i calzari alati. Accanto al mostro si trovavano due figure umane di dimensioni sensibilmente minori: quella a sinistra rappresentava il cavallo alato Pegaso, nato dal sangue del mostro (restano solo due zampe appena visibili), l’altra, in forma umana, è stata identificata con il figlio di Medusa, Crisaore, o con l’uccisore di Medusa, Perseo. Ai lati del gruppo centrale, due felini in posizione araldica si adattano alle altezze dei volumi che vanno diminuendo. Infine, le estremità sono occupate da quattro piccole figure oggetto di varie interpretazioni. È probabile che nell’angolo sinistro sia rappresentato un episodio della caduta di Troia, con Neottolemo, figlio di Achille, nell’atto di uccidere il re Priamo; in quello destro si vede Zeus in lotta contro un gigante o un Titano.
Come tutte le decorazioni dei templi greci, anche questo frontone era in origine dipinto a colori vivaci.

Frontone di un tempio dell'acropoli di Atene

Dalla colmata persiana, oltre ad alcune statue, proviene anche un frontone in pietra tenera di un tempio dorico dell’acropoli di Atene (39) databile intorno al 565 a.C., forse quello di Atena Poliás. A sinistra è raffigurato Eracle in lotta con Tritone, dalla coda serpentiforme che si allunga riempiendo l’estremità più bassa del frontone. A destra li osserva un mostro a tre corpi, forse Nereo, chiamato “Barbablù” per le tracce di colore ancora visibili (40). Il possente mostro a tre corpi testimonia l’attenzione dell’artista sia per il dettaglio calligrafico e policromo, sia per l’esuberanza volumetrica. Nell’esaltazione della policromia, nelle code attorcigliate e nei muscoli vigorosi, si coglie la vitalità, l’esuberanza e la monumentalità della plastica attica della prima metà del VI secolo, in fase di affinamento stilistico.
Gli angoli sono colmati dalle code dei mostri, mentre le posizioni dei personaggi sottolineano l’inclinazione dei lati obliqui: la coerenza compositiva di questo frontone anticipa la soluzione ancora più elegante che sarà raggiunta, alla fine dell’Età arcaica, dagli scultori dei frontoni del tempio di Atena Apháia a Egina.

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La decorazione del fregio: le metope

Anche la fattura e la decorazione delle metope del fregio dorico subiscono un’evoluzione durante l’Età arcaica. Dipinte in origine su terracotta, le metope sono successivamente realizzate in calcare e, infine, in marmo scolpito in rilievo.

Il motivo figurato, che deve riempire armonicamente lo spazio quadrangolare come se fosse un piccolo quadro in sé compiuto, è rappresentato inizialmente da soggetti dal valore apotropaico, come le gorgoni, le sfingi e le chimere; in una seconda fase prevalgono invece i soggetti mitologici, dapprima variamente raffigurati nelle singole metope, in seguito ispirati a un tema unitario, scelta che contribuisce a conferire un unico ritmo compositivo all’interno dello stesso fregio.

Metope di Selinunte 

Le metope del Tempio C di Selinunte risalgono alla metà del VI secolo a.C. e sono dedicate a vari episodi mitologici. Nella metopa che raffigura Perseo che uccide la Gorgone (41) appare anche la dea Atena, che assiste l’eroe mentre decapita la Gorgone Medusa, la quale tiene Pegaso stretto con il braccio destro.

Le figure occupano tutto lo spazio disponibile e sono presentate frontalmente, l’una accanto all’altra (disposizione paratattica).

La metopa raffigurante Ercole e i Cercopi (42) narra un’impresa in cui l’eroe cattura due briganti, figli di Oceano e Teia, legandoli a un’asta e appendendoli a testa in giù . La vicenda narrata induce lo scultore a creare una composizione simmetrica, nella quale i due fratelli colmano gli spazi laterali e si contrappongono alla figura eretta e frontale di Ercole.

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Metope della foce del Sele

Due importanti serie di metope provengono da un altro complesso monumentale della Magna Grecia, il santuario di Hera alla foce del fiume Sele, a nord di Paestum. Il gruppo più antico (proveniente da uno o più edifici ed eseguito da vari scultori) comprende episodi tratti dalle fatiche di Ercole e dalla guerra di Troia, oltre a scene non facilmente identificabili. Per esempio, per l’uomo a cavalcioni di una tartaruga (43) sono state proposte diverse ipotesi: potrebbe raffigurare Ulisse nel suo secondo passaggio presso Cariddi (l’attuale stretto di Messina), oppure Teseo sulla tartaruga marina del brigante Scirone, da lui ucciso. Le forme dell’uomo e dell’animale sono definite in modo essenziale e la composizione occupa gran parte dello spazio disponibile.

Un secondo ciclo apparteneva al Tempio di Hera: nelle metope conservate si vedono delle fanciulle in movimento (44). Inizialmente esse furono ritenute danzatrici o sacerdotesse di un culto locale, ma è più probabile che il fregio narri un evento drammatico e che il loro movimento descriva una fuga. I panneggi e i volti elegantemente stilizzati riprendono motivi tipici della scultura ionica.

Il fregio ionico

Nei templi ionici arcaici più antichi il fregio non è sempre presente. Si conserva un esempio notevole nella decorazione del Tesoro dei Sifni, un piccolo edificio eretto attorno al 530-525 a.C. nel Santuario di Apollo a Delfi dagli abitanti dell’isola di Sifnos. La decorazione del Tesoro comprendeva due cariatidi e un rilievo nel frontone; la parte più interessante, tuttavia, è il fregio, nel quale si distinguono gli interventi di scultori differenti. Nel lato orientale sono raffigurati gli dèi che assistono dall’Olimpo alla guerra di Troia: le figure sedute sono individuate con una varietà di posizioni e di atteggiamenti che mette in luce i loro stati d’animo, mentre i panneggi stilizzati ed eleganti sottolineano i corpi.

Dossier Arte plus - volume 1
Dossier Arte plus - volume 1
Dalla Preistoria all'arte romana