analisi del testo
Erminia fra i pastori
Gerusalemme liberata, canto VII, ott. 1-10
Erminia, invano innamorata di Tancredi, scappa dal campo cristiano e si rifugia presso alcuni pastori dove potrà finalmente riposare dai propri affanni.
Gerusalemme liberata, canto VII, ott. 1-10
Erminia, invano innamorata di Tancredi, scappa dal campo cristiano e si rifugia presso alcuni pastori dove potrà finalmente riposare dai propri affanni.
1
Intanto Erminia infra l’ombrose piante
d’antica selva dal cavallo è scòrta,
né più governa il fren la man tremante,
e mezza quasi par tra viva e morta.
5 Per tante strade si raggira e tante
il corridor ch’in sua balia la porta,
ch’al fin da gli occhi altrui pur si dilegua,
ed è soverchio omai ch’altri la segua.
2
Qual dopo lunga e faticosa caccia
10 tornansi mesti ed anelanti i cani
che la fèra perduta abbian di traccia,
nascosa in selva da gli aperti piani,
tal pieni d’ira e di vergogna in faccia
riedono stanchi i cavalier cristiani.
15 Ella pur fugge, e timida e smarrita
non si volge a mirar s’anco è seguita.
3
Fuggì tutta la notte, e tutto il giorno
errò senza consiglio e senza guida,
non udendo o vedendo altro d’intorno,
20 che le lagrime sue, che le sue strida.
Ma ne l’ora che ’l sol dal carro adorno
scioglie i corsieri e in grembo al mar s’annida,
giunse del bel Giordano a le chiare acque
e scese in riva al fiume, e qui si giacque.
4
25 Cibo non prende già, ché de’ suoi mali
solo si pasce e sol di pianto ha sete;
ma ’l sonno, che de’ miseri mortali
è co ’l suo dolce oblio posa e quiete,
sopì co’ sensi i suoi dolori, e l’ali
30 dispiegò sovra lei placide e chete;
né però cessa Amor con varie forme
la sua pace turbar mentre ella dorme.
5
Non si destò fin che garrir gli augelli
non sentì lieti e salutar gli albori,
35 e mormorar il fiume e gli arboscelli,
e con l’onda scherzar l’aura e co i fiori.
Apre i languidi lumi e guarda quelli
alberghi solitari de’ pastori,
e parle voce udir tra l’acqua e i rami
40 ch’a i sospiri ed al pianto la richiami.
6
Ma son, mentr’ella piange, i suoi lamenti
rotti da un chiaro suon ch’a lei ne viene,
che sembra ed è di pastorali accenti
misto e di boscareccie inculte avene.
45 Risorge, e là s’indrizza a passi lenti,
e vede un uom canuto a l’ombre amene
tesser fiscelle a la sua greggia a canto
ed ascoltar di tre fanciulli il canto.
7
Vedendo quivi comparir repente
50 l’insolite arme, sbigottìr costoro;
ma li saluta Erminia e dolcemente
gli affida,e gli occhi scopre e i bei crin d’oro:
«Seguite», dice «aventurosa gente
al Ciel diletta, il bel vostro lavoro,
55 ché non portano già guerra quest’armi
a l’opre vostre, a i vostri dolci carmi».
8
Soggiunse poscia: «O padre, or che d’intorno
d’alto incendio di guerra arde il paese,
come qui state in placido soggiorno
60 senza temer le militari offese?».
«Figlio», ei rispose «d’ogni oltraggio e scorno
la mia famiglia e la mia greggia illese
sempre qui fur, né strepito di Marte
ancor turbò questa remota parte.
9
65 O sia grazia del Ciel che l’umiltade
d’innocente pastor salvi e sublime,
o che, sì come il folgore non cade
in basso pian ma su l’eccelse cime,
così il furor di peregrine spade
70 sol de’ gran re l’altere teste opprime,
né gli avidi soldati a preda alletta
la nostra povertà vile e negletta.
10
Altrui vile e negletta, a me sì cara
che non bramo tesor né regal verga,
75 né cura o voglia ambiziosa o avara
mai nel tranquillo del mio petto alberga.
Spengo la sete mia ne l’acqua chiara,
che non tem’io che di venen s’asperga,
e questa greggia e l’orticel dispensa
80 cibi non compri a la mia parca mensa».
1 Fai la parafrasi delle ottave 1-5.
2 Perché le armi sono definite insolite (v. 50)?
3 Perché la famiglia del pastore non viene danneggiata dalle guerre?
4 Descrivi brevemente il personaggio di Erminia dal punto di vista fisico e comportamentale.
5 Analizza il linguaggio usato dal narratore Tasso, quello di Erminia e quello del pastore: quali analogie e quali differenze cogli dal punto di vista stilistico e tematico, e perché?
6 Per quale motivo Tasso ricorre al diminutivo orticel (v. 79)? Individua altre forme alterate e spiegane la funzione.
7 Nel brano riportato ci sono due similitudini rilevanti: individuale e illustrane l’importanza.
8 Il contrasto tra la luce (in questo caso la campagna idilliaca) e l’ombra (la guerra) è tipico della poetica della Gerusalemme liberata, e pone Tasso in bilico tra Rinascimento e Controriforma. In una riflessione complessiva sul poema tassiano, quali sono gli aspetti più propriamente rinascimentali e quali quelli più squisitamente controriformistici?
9 La fuga di Erminia richiama alla memoria un’altra celebre fuga: quella di Angelica nell’Orlando furioso. Quali sono le analogie e quali le differenze?
Sviluppa l’argomento in forma di saggio breve utilizzando i documenti forniti. Nella tua argomentazione fai riferimento a ciò che hai studiato e alle tue conoscenze.
Ettore parla ad Achille prima del duello finale.
Non fuggo più davanti a te, figlio di Peleo, come or ora
corsi tre volte intorno alla grande rocca di Priamo, e non seppi
sostenere il tuo assalto; adesso il cuore mi spinge
a starti di fronte, debba io vincere o essere vinto.
Su invochiamo gli dèi: essi i migliori
255 testimoni saranno e custodi dei patti;
io non intendo sconciarti orrendamente, se Zeus
mi darà forza e riesco a strapparti la vita;
ma quando, o Achille, t’abbia spogliato l’inclite armi,
renderò il corpo agli Achei: e anche tu fa’ così.
Omero, Iliade, XXII, 250-259
La maggior parte dei greci era persuasa che la vendetta, nella forma tradizionale
della battaglia campale, fosse il modo più onorevole e vantaggioso di lavare l’insulto
fatto alla loro sovranità. La tradizione, il dovere, perfino la volontà inducevano
alla collisione ritualizzata e frontale, a incrociare le lance con il nemico per concludere
5 l’intera faccenda in fretta e con efficienza.
Victor D. Hanson, L’arte occidentale della guerra, Mondadori, Milano 1990
105
D’elmi e scudi percossi e d’aste infrante
ne’ primi scontri un gran romor s’aggira.
Là giacere un cavallo, e girne errante
un altro là senza rettor si mira;
5 qui giace un guerrier morto, e qui spirante
altri singhiozza e geme, altri sospira.
Fera è la pugna, e quanto più si mesce
e stringe insieme, più s’inaspra e cresce.
106
Salta Argante nel mezzo agile e sciolto,
10 e toglie ad un guerrier ferrata mazza;
e rompendo lo stuol calcato e folto,
la rota intorno e si fa larga piazza.
E sol cerca Raimondo, e in lui sol vòlto
ha il ferro e l’ira impetuosa e pazza,
15 e quasi avido lupo ei par che brame
ne le viscere sue pascer la fame.
107
Ma duro ad impedir viengli il sentiero
e fero intoppo, acciò che ’l corso ei tardi.
Si trova incontra Ormanno, e con Ruggiero
20 di Balnavilla un Guido e duo Gherardi.
Non cessa, non s’allenta, anzi è più fero
quanto ristretto è più da que’ gagliardi,
sì come a forza da rinchiuso loco
se n’esce e move alte ruine il foco.
108
25 Uccide Ormanno, piaga Guido, atterra
Ruggiero infra gli estinti egro e languente,
ma contra lui crescon le turbe, e ’l serra
d’uomini e d’arme cerchio aspro e pungente.
Mentre in virtù di lui pari la guerra
30 si mantenea fra l’una e l’altra gente,
il buon duce Buglion chiama il fratello,
ed a lui dice: «Or movi il tuo drapello,
109
e là dove battaglia è più mortale
vattene ad investir nel lato manco».
35 Quegli si mosse, e fu lo scontro tale
ond’egli urtò de gli nemici al fianco,
che parve il popol d’Asia imbelle e frale,
né poté sostener l’impeto franco,
che gli ordini disperde, e co’ destrieri
40 l’insegne insieme abbatte e i cavalieri.
110
Da l’impeto medesmo in fuga è vòlto
il destro corno; e non v’è alcun che faccia
fuor ch’Argante difesa, a freno sciolto
così il timor precipiti li caccia.
45 Egli sol ferma il passo e mostra il volto,
né chi con mani cento e cento braccia
cinquanta scudi insieme ed altrettante
spade movesse, or più faria d’Argante.
Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, VII, ott. 105-110
Nella guerra [alcuni uomini] trovano una realizzazione, forse perché è la cosa più
vicina all’amore a cui siano riusciti ad arrivare. Se non riconosciamo questa attrazione
che, in un certo senso, è così simile all’amore, non riusciremo mai a combatterla.
Chris Hedges, Il fascino oscuro della guerra, Laterza, Roma-Bari 2004
La guerra è epica per eccellenza; non perché narri di gesta eroiche, ma perché, almeno
nelle sue rappresentazioni classiche, si basa sul senso di una totalità che comprende
e trascende l’individuo e suggerisce il senso della vita quale unità in cui le lacerazioni
individuali si compongono, come i naufragi e le tempeste nella totalità del mare. Anche
5 in rotta, le schiere achee o troiane, nell’Iliade, non distruggono l’ordine e il senso
del mondo. […] Nel romanzo di Stendhal [La Certosa di Parma, 1839] la battaglia
non sembra invece obbedire a piani strategici giusti o sballati, non sembra conoscere
ordine o razionalità; tutto è caotico, sbandato, casuale, i soldati corrono in una
direzione ma potrebbero correre in quella opposta, non c’è una prospettiva dall’alto
10 che colga il quadro generale e si innalzi al di sopra della prospettiva del soldato che,
disteso a terra per sfuggire alle pallottole, vede solo il fango davanti alla sua faccia e le
colonne di fumo. […] La guerra non è più il volto di una totalità articolata secondo
una sua logica, come nel grande libro di von Clausewitz [Della guerra, 1832], che ne
fa lo specchio di un mondo razionalmente afferrabile. Il bell’ordine delle parate si
15 sconvolge nella battaglia e si ricompone, scrive Rezzori, nella simmetria delle tombe
e delle croci allineate nei cimiteri. La guerra diviene l’immagine più radicale della
vita intesa quale disordine, accidentalità fortuita, casualità. Nei tolstojani Racconti
di Sebastopoli o nel mirabile Segno rosso del coraggio di Stephen Crane non si capisce
nulla dei movimenti delle truppe e dei piani cui questi dovrebbero obbedire; soldati
20 e ufficiali vanno e vengono, si fermano per strada, interrompono il combattimento
per mangiare, avanzano o fuggono senza sapere dove e perché e la stessa cosa avviene
nel magistrale racconto della battaglia di Little Big Horn, in cui morì il generale Custer,
fatto da Alce Nero. In questi testi – e in molti altri simili – la battaglia assomiglia
a un corteo, in cui ci si inserisce, da cui si esce per bere un caffè o per tornare a casa,
25 o che si abbandona per raggiungerlo da un’altra parte attraverso una scorciatoia, così
come capita. La guerra non è più dominabile nella sua completezza, si frantuma in
un polverio. Anche gli scrittori che ne analizzano le cause sociali e le manipolazioni
ideologiche, ossia che afferrano razionalmente la sua origine e il suo meccanismo,
non possono rappresentarla se non come un indecifrabile sconquasso indistinto,
30 perché offrirne un compatto e unitario quadro epico e monumentale sarebbe una
falsità, non renderebbe giustizia al disorientamento e allo smarrimento con cui gli
uomini oggi vivono – e non possono non vivere – la guerra. Una delle immagini più
forti e veritiere di quest’ultima l’ha data il cinema, con le scene degli allucinati scontri
sul fiume vietnamita in Apocalypse Now. Della guerra non sembra dunque possibile
35 mostrare il volto intero, ma solo qualche frammento. […] Durante il conflitto nel
Vietnam, un anziano leader nordvietnamita, parlando una volta con ferma e affabile
malinconia alla televisione francese, disse che per gli uomini della sua età, in quelle
regioni, la vita si era quasi identificata con la guerra, combattuta per tanti decenni; è
questo, aggiungeva, il pericolo più insidioso da cui dobbiamo guardarci, l’abitudine
40 a considerare la guerra necessaria e inevitabile come la vita, come il respiro.
Claudio Magris, Guerra. L’epopea impossibile, “Corriere della Sera”, 12 luglio 1999
E mentre marciavi con l’anima in spalle,
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore,
ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue,
cadere in terra a coprire il suo sangue.
E se gli sparo in fronte o nel cuore,
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere,
vedere gli occhi di un uomo che muore.
E mentre gli usi questa premura,
quello si volta, ti vede, e ha paura
ed imbracciata l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia.
Fabrizio De André, La guerra di Piero, settembre 1964
Al cuore della letteratura - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento