L’età della Controriforma e del Manierismo – L'opera: Gerusalemme liberata

temi nel tempo

Il labirinto e la complessità del mondo

Per raggiungere Rinaldo e farlo ravvedere, Carlo e Ubaldo devono superare «gli aviluppati calli», vale a dire i sentieri intrecciati di un labirinto che circonda il giardino di Armida. La scelta dell’architettura ingegnosa per antonomasia non sorprende in un autore come Tasso, che la identifica simbolicamente, secondo tradizione, con il disorientamento e la vanità.

Minosse, il Minotauro e Dedalo

Ma che cos’è il labirinto e, soprattutto, che cosa ha rappresentato nella cultura occidentale? Le sue origini si trovano nel mito greco del Minotauro, il mostro nato dall’unione di Pasifae, moglie del re cretese Minosse, con un toro. Per rinchiudere la terribile creatura in un luogo dove nessuno potrà mai vederla, il re incarica l’inventore ateniese Dedalo di progettare un luogo inaccessibile, in cui sia impossibile ritrovare la via d’uscita. Più tardi, per custodire il segreto, Minosse imprigiona nel labirinto anche Dedalo insieme al figlio Icaro: l’architetto però riesce a evadere costruendo due paia di ali con piume d’oca e cera. Dedalo ammonisce il figlio di non avvicinarsi troppo al Sole, perché il calore potrebbe sciogliere la cera che tiene insieme le ali, ma Icaro non gli dà ascolto e si avvicina pericolosamente all’astro; la cera si scioglie e lo sventurato precipita in mare. Il labirinto può così conservare il proprio segreto: solo Teseo, grazie all’aiuto di Arianna, la figlia di Minosse, riuscirà a non smarrirsi al suo interno e a uccidere il Minotauro.

I palazzi di Creta e l’ascia del potere

Ma qual è la realtà storica che fa da sfondo al mito di Minosse e del labirinto? Gli studiosi hanno evidenziato due fatti. I palazzi dell’isola di Creta sono per lo più costruiti senza una vera e propria pianta, cioè per giustapposizione di camere e strutture una accanto all’altra. L’idea che un visitatore potrebbe farsi di questi palazzi è davvero quella di costruzioni caotiche e disordinate: i greci dell’età classica, pertanto, potrebbero aver avuto in mente quei palazzi così impenetrabili quando hanno immaginato il labirinto.
Quanto al nome stesso di labirinto, sulle pareti dei palazzi di Creta è raffigurata un’ascia a doppia lama, simbolo del potere del sovrano: poiché uno dei termini più antichi per indicarla è làbrys, si è pensato che il palazzo del re fosse chiamato anche palazzo delle asce, cioè delle làbrys, e quindi labirinto.

I simboli e gli interpreti del labirinto: Ariosto e lo scacco della ragione

Nella storia della letteratura occidentale l’immagine del labirinto si è spesso caricata di valori simbolici e metaforici. Esso, prima di tutto, è emblema di smarrimento: della perdita dell’orientamento ma anche della possibilità di incontrare l’“altro”, il diverso da noi. In senso esistenziale rappresenta la crisi dell’identità e la messa a nudo di inquietudini e angosce. Ma il labirinto è anche un sinonimo di ricerca: per Ariosto (immagine a fianco) è una metafora di ciò «che più ciascun per sé brama e desìa» (Orlando furioso, XII, ott. 20), come capita ai cavalieri che il poeta immagina rinchiusi nel castello del mago Atlante, protesi a rincorrere desideri vani e irraggiungibili.

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Borges e il sapere infinito

Ancora, il labirinto è un simbolo del complesso cammino verso il sapere, meta difficile da conquistare, come la Biblioteca di Babele descritta dallo scrittore argentino Jorge Luis Borges (1899-1986, immagine a fianco) nell’omonimo racconto. Un anziano bibliotecario ha trascorso l’intera vita alla ricerca del libro che desse senso alla sua esistenza: nella biblioteca, come nella biblica torre di Babele, è disseminato tutto il sapere e quindi tutta la realtà, ma è impossibile poter conoscere tutti i libri o trovare in quell’illimitato labirinto quello che contenga il senso di tutti gli altri.

Calvino e l’estraniazione dell’io

Anche Italo Calvino (1923-1985, immagine a fianco) ha fatto del labirinto la metafora di una realtà impossibile da comprendere e padroneggiare del tutto: «sfidarlo», per usare la sua espressione, comporta cercare di dare soluzioni razionali ai problemi della contemporaneità, che si presenta indecifrabile. Nell’opera Le città invisibili (1972), l’autore fa descrivere a Marco Polo una serie di città immaginarie: tra queste, incontriamo Pentesilea, una città-non città, un luogo del tutto e del niente, un susseguirsi casuale di case, un dormitorio senza vita. Si tratta di un labirinto moderno, dove l’uomo comprende di non poter trovare una via d’uscita, un criterio con cui dare ordine e senso alle cose.


« La gente che s’incontra, se gli chiedi: – Per Pentesilea? – fanno un gesto intorno che non sai se voglia dire: «Qui», oppure: «Più in là», o: «Tutt’in giro», o ancora: «Dalla parte opposta». – La città, – insisti a chiedere. – Noi veniamo qui a lavorare tutte le mattine, – ti rispondono alcuni, e altri: – Noi torniamo qui a dormire. – Ma la città dove si vive? – chiedi. – Dev’essere, – dicono, – per lì, – e alcuni levano il braccio obliquamente verso una concrezione di poliedri opachi, all’orizzonte, mentre altri indicano alle tue spalle lo spettro d’altre cuspidi. – Allora l’ho oltrepassata senza accorgermene? – No, prova a andare ancora avanti. Così prosegui, passando da una periferia all’altra, e viene l’ora di partire da Pentesilea. Chiedi la strada per uscire dalla città; ripercorri la sfilza dei sobborghi sparpagliati come un pigmento lattiginoso; viene notte; s’illuminano le finestre ora più rade ora più dense. Se nascosta in qualche sacca o ruga di questo slabbrato circondario esista una Pentesilea riconoscibile e ricordabile da chi c’è stato, oppure se Pentesilea è solo periferia di se stessa e ha il suo centro in ogni luogo, hai rinunciato a capirlo. La domanda che adesso comincia a rodere nella tua testa è più angosciosa: fuori da Pentesilea esiste un fuori? O per quanto ti allontani dalla città non fai che passare da un limbo all’altro e non arrivi a uscirne? »

Al cuore della letteratura - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento