L’età della Controriforma e del Manierismo – L'autore: Torquato Tasso

temi nel tempo

Il mito dell’età dell’oro

La felicità nella mitologia classica

L’età dell’oro rappresenta, secondo la mitologia classica, un periodo di immensa felicità, il paradiso originario dell’uomo. Nel poema Le opere e i giorni del poeta greco Esiodo (VIII-VII sec. a.C., immagine a fianco) si trova la prima formulazione coerente delle quattro età mitiche, contraddistinte dal nome di un metallo (oro, argento, bronzo, ferro).
La concezione di una felicità primitiva dell’umanità è espressa anche nelle Metamorfosi del poeta latino Ovidio (43 a.C. - 17 d.C.): «Fiorì per prima l’età dell’oro; spontaneamente, senza bisogno di giustizieri, senza bisogno di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine » (I, 89-90). Al tema è strettamente connesso anche il motivo del tempo ciclico, cantato nelle Bucoliche di Virgilio (egloga IV, vv. 4-10), in cui si annuncia la nascita di un divino fanciullo che porterà un’era di pace e prosperità. Augusto, nel VI libro dell’Eneide, sarà predestinato allo stesso compito: «l’Augusto Cesare, il figlio di Dio, che aprirà / di nuovo [...] il secolo d’oro» (vv. 791-793).

Dall’Umanesimo al tardo Manierismo

Nel 1492 Marsilio Ficino definisce l’epoca di Lorenzo il Magnifico età dell’oro perché ha generato le menti d’oro che hanno ridato vita alle arti liberali. Età dell’oro non significa più per Ficino regressione a uno stato di natura, ma rinascita delle lettere e delle arti dopo la barbarie del Medioevo. Negli stessi anni però Angelo Poliziano (immagine a fianco) rievoca ancora il mito classico, esaltando un’epoca in cui l’uomo non era ossessionato dalla cupidigia del denaro: «Non era ancor la scelerata sete / del crudele oro entrata nel bel mondo; / viveansi in libertà le genti liete, e non solcato il campo era fecondo» (Stanze per la giostra, I, 20- 22). E in Tasso, poi, diventa struggente la nostalgia per un mondo perduto: come abbiamo visto, il coro che chiude il primo atto dell’Aminta esalta il tempo felice dell’amore senza i freni dell’onore e del pudore.

Una voce dissonante

Nell’ultimo Cinquecento una voce dissonante, quella di Giordano Bruno (immagine a fianco), si leverà a condannare il mito dell’età dell’oro, in nome della verità e della conoscenza, senza rimpianti per un passato inesistente: «Ne l’età dumque de l’oro per l’Ocio [ozio] gli uomini non erano più virtuosi che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano più stupidi che molte di queste» (Spaccio de la bestia trionfante, Dialogo III).

L’età dell’oro oggi: un sogno regressivo?

Oggi esiste ancora un mito dell’età dell’oro? Ha senso nell’attuale mondo scientifico e tecnologico sognare lo stato di natura? Certo non è venuto meno – e non verrà meno neanche in futuro – il fascino utopico di una società libera dagli affanni e dall’indigenza. Ma, più che un tempo remoto in cui era dato agli uomini di poter vivere come gli dèi, la civiltà contemporanea autorizza al massimo regressioni private e il rimpianto dell’età dell’oro di ciascuno di noi: quell’infanzia delle nostre esistenze nella quale era possibile vedere «tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta», come scrive Giovanni Pascoli (immagine a fianco) nel Fanciullino. Non è forse vero, come scrive Vincenzo Cardarelli, che «il saggio non è che un fanciullo che si duole di essere cresciuto»?

Al cuore della letteratura - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento