Al cuore della letteratura - volume 2

L’età della Controriforma e del Manierismo – L'autore: Torquato Tasso

CONSONANZE
DISSONANZE

La poesia imprigionata:
Tasso e due lettori d’eccezione

Il carcere come luogo della poesia
Il mito di Tasso si è propagato nei secoli anche attraverso i luoghi della sua esistenza, divenuti mete simboliche, tappe evocative di un pellegrinaggio letterario che ha coinvolto decine di intellettuali. Tra questi luoghi, spicca in particolare la prigione nell’ospedale ferrarese di Sant’Anna: il poeta, qui recluso sette anni, dal 1579 al 1586, diventa per le generazioni future l’incarnazione della poesia, della creatività e dell’arte che la società e il potere vogliono disciplinare e relegare in una condizione di estraneità, alienazione, follia.

Il dipinto di Delacroix
Questa valenza simbolica può essere letta in un quadro celebre, che condensa la mitologia romantica della poesia e di Tasso che la personifica: Tasso in prigione (1839) del pittore francese Eugène Delacroix (1798-1863). Tasso è chiuso in cella, seduto sul letto, con il gomito appoggiato al cuscino, i piedi nudi a terra a calpestare le carte, lo sguardo rivolto davanti a sé, verso il nulla. Sullo sfondo una tenda divide a metà, in verticale, il quadro, mentre a sinistra, dietro le inferriate, due uomini e una donna, di condizione modesta, guardano all’interno della cella. Uno di loro protende un braccio al di là delle sbarre e indica un foglio sul letto. Il poeta dunque è isolato dal mondo, escluso dalla società, ma la sua arte non lo è. Un popolano infatti tocca un suo foglio manoscritto ed entra in relazione con il suo mondo. Il poeta è oppresso ed emarginato, ma la sua anima è nota al pubblico, amata dal popolo, capace di comunicare alla coscienza collettiva.

La lettura di Baudelaire
Quasi trent’anni dopo (1864) a rappresentare la prigione di Tasso – attraverso la mediazione di Delacroix – è il poeta francese Charles Baudelaire (1821- 1867), anch’egli costretto a sopportare l’isolamento e l’emarginazione. Nella poesia Sul “Tasso in prigione” di Eugène Delacroix il protagonista è descritto come malato, derelitto, nella sua cella troviamo terrore, abisso di vertigine, assurdo, orrore, oscuri sogni. Lo spazio della reclusione si riempie di stridule risate, urli, smorfie, fantasmi. Qui il poeta, solo, può attingere alla sua infinita immaginazione, senza condizionamenti né obblighi, immerso esclusivamente negli abissi della propria anima. Sottratto ai vincoli della realtà, egli diventa per Baudelaire la metafora dell’artista che vive fino in fondo la dimensione drammatica di un’arte irriducibile al potere.

« Il poeta nella cella, malato, derelitto,
con il piede convulso gualcendo un manoscritto,
mira con occhio acceso dal fuoco del terrore
l’abisso di vertigine dove affonda il suo cuore.

Le stridule risate ch’empiono la prigione
allo strano e all’assurdo spingon la sua ragione;
l’avvolge stretto il Dubbio, e la Paura immonda,
multiforme, ridicola, soffiando lo circonda.

Quel genio rinserrato in un tugurio infame,
quegli urli, quelle smorfie, quei fantasmi che a sciame
turbinando in rivolta tormentano il suo udito,

quel dormiente svegliato dall’orrore del sito,
è ben questo il tuo emblema, Anima dagli oscuri
sogni, tu che il Reale soffoca fra i suoi muri! »

Al cuore della letteratura - volume 2
Al cuore della letteratura - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento