3 - I grandi temi

L’età della Controriforma e del Manierismo – L'autore: Torquato Tasso

3 I grandi temi

Il difficile rapporto con la corte

A distanza di poco più di due decenni, Ariosto e Tasso vivono nella stessa corte, quella ferrarese degli Estensi. Il primo, addirittura, vi si trasferisce bambino e, divenuto poeta, vi si adatta, con discrezione e realismo, tollerando contraddizioni e ipocrisie e mitigando (come si è visto nelle Satire, ► T1, p. 193) la protesta e la disapprovazione. Senza mai rinunciare alla sua dignità – al pari dei contemporanei Machiavelli e Guicciardini, costretti anch’essi a dolorose sconfitte personali – Ariosto fronteggia la realtà, per quanto spregevole possa essere, senza mai lasciarsene sopraffare, osservando con equilibrio e con coscienza critica le miserie dell’esistenza.
Tasso, invece, a corte arriva da lontano, desideroso di gloria e blandito come un ospite eccezionale. E vi arriva con la convinzione di trovare un pubblico aristocratico, fatto di spiriti eletti, che possa apprezzare e capire fino in fondo la sua arte. In altre parole, idealizza un ambiente che invece si rivela un luogo di invidie e maldicenze, insidiato dal conformismo e dalla presenza occhiuta del tribunale dell’Inquisizione.

La corte quale regno di bellezza, di genuina naturalezza e di splendore dell’arte esiste ormai solo nella fantasia di Tasso, che vi proietta tutta la propria sognante immaginazione: i cortigiani sono per lui gloriosi cavalieri armati in difesa della fede, le principesse eleganti fanciulle a cui promettere amore e dedizione, il principe un magnanimo eroe pronto a guidare una nuova crociata e, al tempo stesso, disposto a sostenere con munifica generosità l’attività letteraria. La realtà si manifesta invece agli occhi del poeta molto diversa, e diversi i suoi protagonisti: tutt’altro che anime gentili impegnate in nobili imprese; piuttosto, piccoli uomini alle prese con litigi e miserie quotidiane.
Certo, sopravvivono ancora l’abbagliante vitalità esteriore e le apparenze lussuose: feste, spettacoli, concerti. Ma tali cerimonie – in cui Tasso vede rispecchiata la più profonda anima rinascimentale – «costituivano l’ultimo lusso d’un mondo al tramonto, mentre dietro l’aurea facciata la diffidenza e il sospetto, l’invidia e la gelosia, ma soprattutto l’abile dissimulazione e il gioco diplomatico, avevano corrotto l’ambiente cortigiano creando una atmosfera ambigua in cui serpeggiavano, contrastando tra di loro, residui fuochi dell’originaria sensualità, ricca e animosa, e tortuose preoccupazioni e meschine ipocrisie» (Caretti).

A questa degenerazione Tasso non sa rispondere con disincanto o spregiudicatezza: reagisce invece con crescente instabilità, con un tormento inappagato, con un senso di disagio che lo porta a sentirsi uno sradicato, un disadattato. Serenità, ironia e dominio delle passioni sono per lui impossibili: la coscienza dello scarto tra sé e il modello del cortigiano (incarnato, tra l’altro, dalla figura del padre Bernardo) accentua la frustrante percezione di essere un ospite indesiderato, vittima di un mondo che non lo comprende.
Del resto, se Ariosto rivendica il proprio diritto a essere uomo tra gli uomini e a cercare il giusto mezzo nella vita e nell’arte, Tasso non può concepire la propria esistenza se non nell’inestricabile intreccio con la letteratura: in un’epoca che soffoca la libertà espressiva e impone di banalizzare l’ispirazione dentro schemi forzati (retorici o religiosi), egli tenta – tra le infinite incongruenze della sua personalità e rimbalzando tra insoddisfazione, autocensura e ricerca dell’ortodossia – di restituire alla letteratura ancora un ruolo conoscitivo, ridando dignità alla poesia. È una ricerca disperata, che lo porta a un conflitto con l’autorità da cui esce sconfitto, ma che, al contempo, fa di lui, con tutte le contraddizioni della sua psiche, il primo grande letterato della modernità.

Al cuore della letteratura - volume 2
Al cuore della letteratura - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento