Un uomo altero
e paziente
«Desideroso di governare gli altri compagni suoi, e essere sempre el primo fra tutti», «seminatore di discordie e di scandoli», «spirito cupido, inquieto»: nel descrivere sé stesso, Guicciardini non brilla per modestia. Quest’uomo, destinato dal talento e dal casato illustre a essere «non solo onorato ma quasi adorato» (sono ancora parole sue), lega sempre all’azione politica l’orgogliosa consapevolezza di essere diverso dagli altri: migliore, più onesto, anche più intelligente. «Tracagnotto e mugugnone, come chi è ingrassato coi buoni bocconi di una carriera brillante» (Barelli), sopporta i rovesci dell’esistenza come un’ingiusta persecuzione della fortuna.
Altero, riservato e chiuso di carattere, Guicciardini non si concede nemmeno il conforto della fama letteraria, che in fondo disprezza come la narcisistica conseguenza di un’attività secondaria rispetto al più utile impegno politico. Per questo, preferisce tenere per sé sentimenti e dolori, praticando la scrittura come qualcosa di clandestino, lontano da occhi indiscreti.
Ferito nell’orgoglio dalle accuse (fondate e meno fondate), sembra aver a cuore soprattutto la difesa di dignità e onore, le virtù private che nei suoi scritti segreti, non destinati alla pubblicazione, indica come gli unici antidoti all’inganno e all’ipocrisia. Ripiegato su sé stesso, non può concepire lo slancio di una rivolta o gli scatti di rancore e di passione dell’amico Machiavelli, condannato anch’egli dalla malignità della sorte. Il carattere di Guicciardini gli suggerisce solo il rimedio della pazienza e del giusto mezzo, proprio come prescrive il motto di famiglia: Ne quid nimis (“Niente di troppo”).