1 - La vita

Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Francesco Guicciardini

1 La vita

I primi anni e gli studi

Francesco Guicciardini nasce a Firenze nel 1483. È il terzogenito di una famiglia aristocratica, che riveste un ruolo di primo piano nel governo della città, forte di un solido patrimonio derivante da attività mercantili e proprietà terriere. Il padre era discepolo e amico del filosofo neoplatonico Marsilio Ficino (1433-1499), che terrà a battesimo Francesco: quasi un’investitura o un presagio del ruolo che il bambino avrà da adulto. L’educazione di Guicciardini è di chiaro stampo umanistico: a sei anni inizia a studiare il latino e, in misura minore, il greco. A quindici incomincia gli studi di diritto a Firenze, poi li prosegue a Ferrara, Padova e infine di nuovo a Firenze dove, nel 1505, presso lo Studio, è incaricato di insegnare Istituzioni civili.

«Ebbi più condizione assai che non si aspettava all’età mia ed al numero de’ dottori che erano in Firenze»: questo rampollo dell’aristocrazia fiorentina è dunque un predestinato e al tempo stesso un ambizioso. Riuscire è il suo obiettivo, quasi un’ossessione: vuole realizzarsi e acquistare gloria, non importa come. Annota nelle Memorie di famiglia: «Desidero due cose al mondo più che alcuna altra: l’una l’esaltazione perpetua di questa città e della libertà sua; l’altra la gloria di casa nostra, non solo vivendo io, ma in perpetuo. A Dio piaccia conservare l’una e accrescere l’altra». Ecco, dunque, i motivi ispiratori della sua vita: l’amore per Firenze, l’orgoglio di far parte di una delle sue famiglie più illustri, il desiderio di una fama eterna.

La carriera giuridica e politica

Nel 1504 si presenta per Francesco la possibilità di entrare nel clero. La morte di uno zio, vescovo di Cortona, potrebbe infatti spalancargli le porte di una fortunata carriera ecclesiastica, visto che le cariche religiose a quei tempi potevano essere ereditate. Guicciardini, che non si interessa alle questioni spirituali ma ha ambizione e intelligenza per capire i privilegi di quella condizione, è tentato dalla soluzione prospettatagli. Poi rinuncia, intraprende la carriera di avvocato e nel giro di pochi mesi assiste i clienti più in vista della città. La sua ascesa viene sigillata anche su un piano privato: nel 1507 sposa Maria Salviati, appartenente a una famiglia aristocratica.

Nonostante non abbia ancora compiuto trent’anni (l’età necessaria per svolgere mansioni pubbliche), nel 1511 Guicciardini viene eletto ambasciatore in Spagna presso Ferdinando il Cattolico. In questo periodo allestisce una prima serie di Ricordi e termina il Discorso di Logrogno. La fine del governo repubblicano e il ritorno al potere dei Medici (1512) lo spingono a rientrare a Firenze, nel gennaio del 1514. La situazione politica è a lui favorevole. Al soglio pontificio, infatti, è nel frattempo salito Giovanni de’ Medici, con il nome di Leone X: Guicciardini, uomo di fiducia dei Medici, si candida a un ruolo di prestigio, che prontamente arriva. Nel 1516, infatti, il papa lo nomina governatore di Modena e, nel 1517, di Reggio Emilia, città dilaniata da conflitti intestini, che sa placare con piglio deciso. Il laico Guicciardini, nella posizione di servitore dei papi, acquista insomma una posizione politica che travalica i confini della municipalità fiorentina.
Nel maggio 1521 è suo ospite, a Reggio Emilia, Niccolò Machiavelli, rientrato nel giro della politica attiva e impegnato in una missione nella città di Carpi. I due stringono un’amicizia schietta e vivace, documentata dalle lettere che si scambiano, spesso dal tono scherzoso.

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Dopo il breve pontificato di Adriano VI, l’elezione al soglio pontificio di Giulio de’ Medici (1523), con il nome di Clemente VII, porta Guicciardini a ricoprire altri importanti ruoli politici, come la carica di governatore della Romagna, nel 1524. Due anni dopo viene chiamato a Roma come consigliere del papa ed è tra i promotori della cosiddetta Lega di Cognac (22 maggio 1526), che unisce il pontefice, Venezia e il re di Francia contro l’imperatore Carlo V, le cui ingerenze in Italia si fanno sempre più minacciose. Agli inizi di giugno Clemente VII lo nomina luogotenente generale delle truppe pontificie.

Il ritiro dalla vita pubblica

Quanto accade dopo non riguarda solo la biografia di Guicciardini ma la storia d’Europa. L’esercito imperiale, infatti, rafforzato dai lanzichenecchi (soldati mercenari di fanteria provenienti dalla Germania), devasta la Lombardia, la Toscana e il 6 maggio 1527 entra nell’Urbe: è il sacco di Roma. Guicciardini ritorna a Firenze, dove intanto è stata restaurata la Repubblica. Escluso dagli incarichi pubblici e costretto all’«ozio» (l’occupazione letteraria è infatti per lui soltanto un ripiego), si ritira nella villa di Finocchieto, nel Mugello, dove rielabora i Ricordi e mette a punto alcuni scritti nei quali difende il proprio operato politico. Durante il volontario esilio, viene raggiunto dai sospetti dei concittadini, che lo chiamano in giudizio con l’accusa di aver rubato le paghe dei soldati. Assolto al processo, Guicciardini affida alla scrittura il compito di mitigare la sua «somma mestizia ». È in questo periodo che compone le Considerazioni intorno ai “Discorsi” del Machiavelli sopra la Prima Deca di Tito Livio.

La forzata inattività, però, dura poco. Carlo V, ormai padrone d’Italia, si impegna con papa Clemente VII a restituire Firenze ai Medici: l’assedio imperiale della città è fulmineo, Firenze capitola e nel 1531 si assiste all’ennesima restaurazione del potere mediceo. Guicciardini, tornato nella sua città e incaricato dal papa di eliminare i personaggi più in vista della caduta Repubblica, non impiega mezze misure: il bilancio della rappresaglia conta decine di giustiziati. Ma la morte di Clemente VII, avvenuta nel 1534, lo spinge a ritirarsi progressivamente a vita privata e a lavorare con assiduità alla stesura della Storia d’Italia. Muore ad Arcetri, sulle colline a sud di Firenze, nel 1540.

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il carattere

Un uomo altero e paziente

«Desideroso di governare gli altri compagni suoi, e essere sempre el primo fra tutti», «seminatore di discordie e di scandoli», «spirito cupido, inquieto»: nel descrivere sé stesso, Guicciardini non brilla per modestia. Quest’uomo, destinato dal talento e dal casato illustre a essere «non solo onorato ma quasi adorato» (sono ancora parole sue), lega sempre all’azione politica l’orgogliosa consapevolezza di essere diverso dagli altri: migliore, più onesto, anche più intelligente. «Tracagnotto e mugugnone, come chi è ingrassato coi buoni bocconi di una carriera brillante» (Barelli), sopporta i rovesci dell’esistenza come un’ingiusta persecuzione della fortuna.
Altero, riservato e chiuso di carattere, Guicciardini non si concede nemmeno il conforto della fama letteraria, che in fondo disprezza come la narcisistica conseguenza di un’attività secondaria rispetto al più utile impegno politico. Per questo, preferisce tenere per sé sentimenti e dolori, praticando la scrittura come qualcosa di clandestino, lontano da occhi indiscreti.
Ferito nell’orgoglio dalle accuse (fondate e meno fondate), sembra aver a cuore soprattutto la difesa di dignità e onore, le virtù private che nei suoi scritti segreti, non destinati alla pubblicazione, indica come gli unici antidoti all’inganno e all’ipocrisia. Ripiegato su sé stesso, non può concepire lo slancio di una rivolta o gli scatti di rancore e di passione dell’amico Machiavelli, condannato anch’egli dalla malignità della sorte. Il carattere di Guicciardini gli suggerisce solo il rimedio della pazienza e del giusto mezzo, proprio come prescrive il motto di famiglia: Ne quid nimis (“Niente di troppo”).

2 Le opere

Nonostante l’attività letteraria rivesta per Guicciardini un’importanza marginale rispetto a quella politica, la mole dei suoi scritti è imponente. Eppure, egli immagina di pubblicare soltanto la Storia d’Italia, ma anche questa, come tutte le altre opere, viene stampata postuma, scampando a stento alla volontà dell’autore morente, che ha ordinato ai familiari di bruciarla. A esclusione della Storia e dei Ricordi (che vengono editi, peraltro parzialmente e con molte manipolazioni, nel corso del XVI secolo), la sua produzione diviene nota solo nella seconda metà dell’Ottocento, quando riemerge dalle carte di famiglia: relazioni, diari di viaggio, orazioni fittizie scritte dopo il sacco di Roma (testi di scarso interesse letterario, ricostruiti dai filologi), un vasto epistolario (circa 5000 lettere), opere politico-teoriche, altre redatte a uso privato e testi storiografici.

Opere politico-teoriche

È una produzione che ben si inserisce nell’intenso dibattito sull’assetto politico-costituzionale di Firenze fiorito a cavallo della caduta della Repubblica e del ritorno al potere dei Medici (1512). In sintesi, riportiamo il contenuto delle opere di maggior rilievo.

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Discorso di Logrogno

In quest’opera, che prende il nome dalla città spagnola in cui viene scritta nel 1512, Guicciardini esprime le proprie simpatie per il regime aristocratico: auspicando per Firenze un governo di «savi» e «prudenti», lo scrittore rivela già la lontananza da ogni prospettiva di governo democratico (il popolo, scriverà nei Ricordi, è un «animale pazzo», istintivo e inaffidabile).

Dialogo del reggimento di Firenze

Scritto tra il 1521 e il 1526 e diviso in 2 libri, è un dialogo che Guicciardini immagina avvenuto a Firenze nel 1494 fra alcuni repubblicani fiorentini e Bernardo del Nero, storico esponente del partito mediceo, condannato a morte nel 1497 per aver tramato contro la Repubblica. Quest’ultimo, alter ego dell’autore, rifiuta di operare un’astratta gerarchia delle diverse forme di governo e mette in luce gli aspetti negativi sia del sistema monarchico mediceo sia di quello repubblicano. A suo giudizio si rivela adatto alla particolare situazione di Firenze un governo oligarchico, nel quale il potere di un gonfaloniere a vita sia temperato da un senato composto dai rappresentanti delle famiglie più agiate.

Considerazioni intorno ai “Discorsi” del Machiavelli sopra la Prima Deca di Tito Livio

In queste pagine, scritte probabilmente nel 1530, Guicciardini trae spunto dalle affermazioni contenute in 38 capitoli dei Discorsi di Machiavelli, per contrapporvisi analiticamente. La confutazione nasce soprattutto dal rifiuto di Guicciardini di considerare gli ordinamenti romani – come quelli di ogni altro popolo e di ogni altra epoca – alla stregua di modelli per il presente.
Anche il progetto nazionale unitario, sostenuto da Machiavelli nell’esortazione finale del Principe, viene visto come un’ipotesi utopistica e non condivisibile. Guicciardini infatti non è d’accordo con l’amico che l’unità politica sia da preferire alla frammentazione in tanti principati, visto che nella nostra penisola è sempre stato vivo il sentimento dell’autonomia cittadina e della libertà dei singoli comuni. Il particolarismo è un’attitudine connaturata agli italiani: combatterla è inutile, anzi controproducente.

Opere a uso privato

Come si è detto, tutte le opere di Guicciardini, a eccezione della Storia d’Italia, non nascono per essere pubblicate. Alcune di esse, in particolare, hanno per loro stessa natura un carattere privato, com’era tipico della tradizione fiorentina dei cosiddetti “libri di famiglia”.

Memorie di famiglia e Ricordanze

Era abitudine a Firenze che i capi delle famiglie più illustri lasciassero ai propri discendenti le informazioni relative alla storia della famiglia: alberi genealogici, resoconti patrimoniali, biografie di antenati illustri, precetti educativi. Anche Guicciardini, da buon esponente di una casata di primo piano, non si sottrae a questo esercizio, utile a tramandare le glorie domestiche, scrivendo nel 1508 le Memorie di famiglia e le Ricordanze.

Ricordi

Si tratta di una nutrita raccolta di pensieri e appunti sparsi, raccolti da Guicciardini. Pur mancando della disciplinata metodicità del Principe, essi esprimono pienamente la sostanza originale del pensiero dell’autore. A quest’opera dedichiamo la seconda parte dell’Unità ( ► p. 383).

 >> pag. 381 

Opere storiche

La riflessione guicciardiniana, condotta in modo asistematico nei Ricordi, trova nel racconto storico una più organica conferma pratica. La passione per la produzione storiografica si manifesta sin dalla gioventù e accompagna lo scrittore lungo l’arco di tutta la sua avventura politica.

Storie fiorentine

Prendendo in esame gli eventi che vanno dal tumulto dei Ciompi (1378) sino al 1509, quest’opera giovanile, risalente proprio al 1509 e rimasta incompiuta, mostra le caratteristiche tipiche del Guicciardini storico. L’analisi delle vicende esclude l’idea di qualsiasi intervento trascendente nella vita degli uomini, che viene indagata nelle sue più intime pieghe e sfaccettature. Lo studio delle fonti non è ancora minuzioso (essendo limitato per lo più ai documenti presenti nell’archivio familiare), ma appare già chiara la volontà dello storico di approfondire le cause delle azioni e la rappresentazione dei personaggi e degli ambienti.

Cose fiorentine

Quest’altra opera storica (1528), anch’essa incompiuta, è stata ritrovata tra le carte dell’autore solo negli anni Quaranta del Novecento. L’arco temporale che doveva coprire andava dal 1375 al 1441, ma gli ultimi anni ci sono pervenuti solo allo stadio di abbozzo. Interessante è però la narrazione, contenuta nel Proemio, delle origini di Firenze, che Guicciardini allestisce impiegando fonti eterogenee, da quelle d’archivio ai testi classici come lo scrittore latino Plinio il Vecchio (I secolo d.C.).

Storia d’Italia

Unica tra le opere di Guicciardini a essere destinata alla pubblicazione, la Storia d’Italia viene scritta nei suoi ultimi anni di vita, a partire dal 1537.

L’opera abbraccia gli avvenimenti che vanno dalla discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII, nel 1494, fino alla morte di papa Clemente VII, nel 1534. L’evento che apre la narrazione è considerato dall’autore come la fine di lunghi decenni di pace e di equilibrio e l’inizio di un periodo di crisi profonda, segnato in Italia dal dominio straniero e da una grave instabilità. Quel periodo è lungi dall’essere stato superato quando Guicciardini scrive la sua opera: ciò spiega la visione pessimistica che traspare dalla tensione tragica con cui viene narrata la progressiva rovina d’Italia, vittima inerte nelle mani dello straniero.

Divisa dagli editori ottocenteschi in 20 libri, l’opera riflette il rifiuto dell’autore di ragionare sulla scorta di teorie astratte. Nessuno schema aprioristico infatti condiziona il racconto e il giudizio dei fatti, che vengono analizzati con tono distaccato e con una modalità il più possibile oggettiva, con apparente indifferenza. Come ha scritto il critico Mario Fubini, «il Machiavelli mentre ragiona vede, e vede con animo appassionato; il Guicciardini – e questo è il suo verbo prediletto – considera, e nella pacata considerazione tenta di risolvere i vari e contrastanti aspetti delle cose».

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Nell’approccio storiografico di Guicciardini è possibile cogliere l’influenza delle sue esperienze politiche e diplomatiche, benché egli parli di sé in terza persona. La conoscenza diretta dei protagonisti gli permette di approntare una galleria di ritratti delle grandi personalità dell’epoca. In qualche caso, per metterne meglio a fuoco caratteri e psicologie, Guicciardini, ricorrendo a un artificio tipico della storiografia classica, li fa parlare ed esprimere direttamente in discorsi fittizi, pensieri e progetti.
Ma, a differenza di tutta la tradizione precedente, Guicciardini impiega, in modo sistematico e approfondito, le fonti documentarie, confrontandole tra loro. Ogni documento viene infatti accuratamente vagliato e mai accettato acriticamente senza le opportune verifiche: uno scrupolo di verità, questo, che fa della Storia d’Italia la prima opera storiografica moderna.

Assai diverso è lo stile rispetto a quello che troviamo nei Ricordi. Ciò non deve sorprendere. Guicciardini infatti affida alla Storia d’Italia quasi il ruolo di un testamento da tramandare ai posteri: è l’opera con cui aspira alla fama tanto ambita. Perciò la sintassi è complessa, fatta di periodi molto ampi e articolati, tesa a riprodurre le solenni caratteristiche formali della grande storiografia classica. Il lessico si ispira alle direttive di Pietro Bembo, di cui Guicciardini aveva letto e apprezzato le Prose della volgar lingua (1525): per questo, la Storia d’Italia si libera dalla patina popolaresca del fiorentino contemporaneo (visibile nel resto della produzione guicciardiniana) così come raccomandava Bembo, fautore, per la prosa, del modello boccacciano e trecentesco.

La vita
Le opere
• Nasce a Firenze 1483  
• Inizia lo studio del diritto 1498  
• Insegna Istituzioni civili a Firenze 1505  
• Sposa Maria Salviati 1507

1508 Memorie di famiglia
Ricordanze
1509 Storie fiorentine
• Ambasciatore in Spagna 1511

1512 Discorso di Logrogno
1512-1530 Ricordi
• Governatore di Modena e Reggio 1516-1517

1521-1526 Dialogo del reggimento di Firenze
• Governatore della Romagna 1524  
• È tra i promotori della Lega di Cognac 1526  
• Il ritorno della Repubblica a Firenze lo esclude da incarichi pubblici 1527

1528 Cose fiorentine
1530 Considerazioni intorno ai “Discorsi” del Machiavelli sopra la Prima Deca di Tito Livio
• Restaurazione dei Medici e nuova carica pubblica 1531  
• Si ritira a vita privata 1534

1537-1540 Storia d’Italia
• Muore ad Arcetri (presso Firenze) 1540  

Al cuore della letteratura - volume 2
Al cuore della letteratura - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento