La ricezione dell’opera di Machiavelli è fortemente condizionata dall’aspra accoglienza che le riservano gli ambienti ecclesiastici. Lo spirito anticristiano del pensatore fiorentino determina un’avversione sfociata in una vera e propria corrente di pensiero, l’antimachiavellismo: un fenomeno che supera i confini della critica letteraria, investendo, nel clima di scontri roventi che coinvolge tutta Europa tra Cinquecento e Seicento, il costume, la mentalità, la morale, il potere politico.
L’antimachiavellismo cattolico e protestante
Da subito i cattolici considerano Machiavelli alla stregua di un diavolo: il cardinale inglese Reginald Pole, in un’Apologia all’Imperatore Carlo V, composta tra il 1535 e il 1545, definisce Il Principe «opera scritta per mano di Satana». Qualche anno dopo, nel 1559, l’opera del pensatore fiorentino viene condannata all’Indice, alla fine di una vera e propria crociata culturale e ideologica condotta da vescovi di tutta Europa.
Anche tra i protestanti la figura di Machiavelli incarna lo stereotipo dell’italiano cinico, calcolatore, spregiudicato. In Francia, un giurista ugonotto, Innocent Gentillet, pubblica nel 1576 il Discorso sul modo di ben regnare e mantenere in buona pace un regno o altro
principato, contro Niccolò Machiavelli: mille pagine di accuse e confutazioni in nome della religione che incontrano un grande successo e vengono tradotte in inglese, latino e tedesco (con il significativo titolo di Antimachiavelli).
Nel periodo controriformistico condannare l’eretico Machiavelli significa reagire alla secolarizzazione della teoria politica e attribuire nuovamente alla religione il primato sulla politica. Tuttavia, anche nel mondo cattolico, affiorano letture diverse: secondo lo storico Scipione Ammirato, il principe cristiano può ricorrere alla furbizia, quando le circostanze lo richiedano. Non si può governare solo con il rosario in mano: la ragion di Stato può autorizzare una pratica più disinvolta.
Il gesuita Giovanni Botero, nel celebre libro Della ragion di Stato (1589), esprime la stessa ambigua tesi: il principe deve garantire ossequio alla Chiesa per salvare la propria anima e salvaguardare il benessere dello Stato, ma poi può considerarsi libero di agire da politico puro. Il nome di Machiavelli è considerato ancora blasfemo e impronunciabile e perciò viene sostituito dal più rassicurante Tacito (lo storico latino del I-II sec. d.C., autore degli Annales), ma il realismo politico suggerito dal segretario fiorentino diventa un inconfessabile riferimento anche per i pensatori cristiani.
Al di là della riprovazione ufficiale da parte della Chiesa, l’opera di Machiavelli si afferma infatti come un paradigma intellettuale imprescindibile, che riesce a fecondare nuove analisi e prospettive all’interno di quello stesso ambiente intellettuale cristiano che ne ha sancito la condanna, ma paradossalmente anche il successo.
La cauta rivalutazione cattolica
Negli ultimi due secoli l’interesse degli intellettuali cristiani per Machiavelli è emerso più esplicitamente. Figure come Antonio Rosmini, Cesare Balbo e Niccolò Tommaseo studiano la sua teoria politica, anche in relazione al processo di unificazione nazionale italiano. Vincenzo Gioberti riconosce la novità fondamentale dell’approccio metodologico di Machiavelli, definito il «Galileo della politica». In tempi più recenti, il filosofo Augusto Del Noce collega Machiavelli a Cartesio per il ruolo fondativo che l’autore del Principe ha avuto nel segnare l’avvento del moderno e nel caratterizzarne gli sviluppi successivi.
Ma già qualche decennio prima, un intellettuale cattolico nel cuore dell’Inghilterra vittoriana, Lord Acton, ha segnato una svolta pressoché definitiva. Nel 1891, infatti, ha curato una nuova edizione inglese del Principe, firmando un’introduzione in cui si legge: «L’antico problema è estinto; nessun lettore di questo volume continuerà a chiedersi quanto un uomo così ragionevole e intelligente venisse a proporre consigli scellerati. Quando Machiavelli dichiarò che fini straordinari non possono essere raggiunti sotto regole ordinarie, egli ricordò l’esperienza della sua propria epoca, ma anche predisse il segreto degli uomini di sempre».