Tra il Seicento e il Settecento cadono i presupposti su cui si muoveva la critica preconcetta all’opera machiavelliana. Venuta meno la spinta dell’intolleranza religiosa,
Il Principe viene fatto oggetto di un’interpretazione “obliqua”, che tenta cioè di rintracciare i significati impliciti e indiretti dell’opera, letta ora non più come un
vademecum, cioè come una guida a uso dei tiranni, ma come un trattato grazie al quale capire i torbidi meccanismi del potere. Specie durante l’Illuminismo, una tale lettura incontra molti favori. Basta citare ciò che scrive Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) nel Contratto sociale: «Fingendo di dare lezione ai re, ne ha date di grandi ai popoli. Il Principe di Machiavelli è il libro dei repubblicani». Lo scrittore che meglio esprimerà questa visione politica nella propria opera è Ugo Foscolo (1778-1827), a cui spetta il merito di aver ricreato in Italia un mito positivo di Machiavelli che, già in parte abbozzato da Vittorio Alfieri (1749-1803) nel trattato
Del principe e delle lettere (1786), avrà grande eco nel pensiero risorgimentale. Nel carme Dei sepolcri (1807), mentre passa in rassegna i grandi italiani sepolti nella basilica fiorentina di Santa Croce, il poeta si sofferma dinanzi alla tomba di Machiavelli (vv. 154-158):
« […] Io quando il monumento
vidi ove posa il corpo di quel grande
che temprando lo scettro a’ regnatori
gli allor ne sfronda, ed alle genti svela
di che lagrime grondi e di che sangue »
L’autore del
Principe è dunque designato come il grande uomo che, mentre istruisce i governanti nell’arte del potere (
temprando lo scettro a’ regnatori), ne mostra il lato più occulto, il tragico retroscena di lacrime e sangue che lo accompagna.
Questa lettura foscoliana non rappresenta un’eccezione o una estemporanea invenzione poetica. Una simile interpretazione ritorna infatti anche in sede critica. La vediamo in una poco nota edizione (1807) degli aforismi del militare, politico e scrittore Raimondo Montecuccoli (1609-1680) curata da Foscolo, in cui quest’ultimo loda Machiavelli per aver squarciato le illusioni e svelato le piaghe dell’umanità, ricavando insegnamento da «ciò che hanno fatto gli uomini in tutti i secoli».
Il merito storico di Machiavelli è aver compiuto un’operazione pedagogica, dando al popolo la consapevolezza degli ingranaggi, sottili e indecifrabili, che garantiscono il potere politico. In alcuni frammenti critici sul
Principe, Foscolo sintetizza il principio guida dell’operato machiavelliano in questa sentenza dello scrittore fiorentino: «Dalle cose che gli uomini in altri secoli hanno fatto, imparate ciò che nel vostro secolo dovete fare». E aggiunge a mo’ di commento: «Diremo inoltre che pendiamo a credere che una delle mire del Machiavelli nel
Principe si fu di svelare a’ popoli italiani, e specialmente a’ Fiorentini, tutte le sciagure a cui soggiacciono le città rette da principi deboli, poveri e malfermi nel loro trono; i quali, in difetto d’armi e di leggi, son obbligati, per mantenersi, a pagare il più forte col denaro de’ propri sudditi, ed a reggersi colla frode».
Secondo Foscolo, mentre la riflessione politica tradizionale è guidata da assiomi astratti o aprioristici, Machiavelli, invece che «mostrare il bene che dovrebb’essere, ha mostrato il bene e il male che necessariamente si trovano nel mondo, e l’utilità che si può ricavare tanto dal bene quanto dal male».