La visione pessimistica della natura umana

Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Niccolò Machiavelli

 T3 

Chi non vuole entrare nel male, viva da privato

Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, libro I, 26


La politica non è adatta ai cuori teneri e ai temperamenti miti. In questo capitolo Machiavelli ribadisce un principio a lui caro: il politico che voglia durare deve saper adottare anche modi malvagi, ispirandosi a modelli coraggiosi e vincenti.


Qualunque diventa principe o d’una città o d’uno stato, e tanto più quando i fondamenti
suoi fussono deboli1 e non si volga o per via di regno o di republica alla
vita civile,2 il megliore rimedio3 che egli abbia, a tenere quel principato, è, sendo4
egli nuovo principe, fare ogni cosa, in quello stato, di nuovo: come è, nelle città,
5 fare nuovi governi con nuovi nomi, con nuove autorità, con nuovi uomini; fare i
ricchi poveri, i poveri ricchi come fece Davit5 quando ei diventò re: «qui esurientes
implevit bonis, et divites dimisit inanes»;6 edificare, oltra di questo, nuove città,
disfare delle edificate,7 cambiare gli abitatori da un luogo a un altro; ed in somma,
non lasciare cosa niuna intatta in quella provincia e che non vi sia né grado, né
10 ordine né stato,8 né ricchezza, che chi la tiene non la riconosca da te; e pigliare per
sua mira9 Filippo di Macedonia,10 padre di Alessandro, il quale, con questi modi,
di11 piccol re, diventò principe di Grecia. E chi scrive di lui,12 dice che tramutava13 gli
uomini di provincia in provincia, come e’ mandriani tramutano le mandrie loro.
Sono questi modi crudelissimi, e nimici d’ogni vivere, non solamente cristiano, ma
15 umano; e debbegli qualunque uomo fuggire, e volere piuttosto vivere privato, che
re con tanta rovina degli uomini; nondimeno,14 colui che non vuole pigliare quella
prima via del bene, quando si voglia mantenere conviene che entri in questo male.
Ma gli uomini pigliono certe vie del mezzo,15 che sono dannosissime; perché non
sanno essere né tutti cattivi né tutti buoni.

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      Dentro il testo

I contenuti tematici

In questo breve brano dei Discorsi, Machiavelli affronta uno degli aspetti della sua teoria politica per noi più difficile da condividere. La questione riguarda la necessità per un principe di adottare, quando le situazioni contingenti obbligano a farlo, modi crudelissimi, e nimici d’ogni vivere, non solamente cristiano, ma umano (rr. 14-15). Come vedremo nelle pagine del Principe, lo scopo che un politico deve prefiggersi è l’utilità, cioè la salvaguardia del potere e la salvezza dello Stato, da ottenere con qualsiasi strumento, anche in contrasto con la morale. Il raggiungimento di tale obiettivo ricade positivamente sull’ordine della vita civile e sul benessere dei cittadini: un’azione che appare crudele nell’immediato in un orizzonte temporale più ampio può infatti dimostrarsi benefica per le esigenze della collettività.

In linea con il principio di imitazione professato nel Proemio dei Discorsi, vengono allegati i modelli positivi per un «principe nuovo», che sa di dover rinnovare dalle fondamenta lo Stato appena acquisito. Gli esempi a cui Machiavelli ricorre sono Davide e Filippo il Macedone, entrambi «profeti armati» (un’espressione che troveremo nel Principe), entrambi non riluttanti dinanzi al dovere di operare con modi sbrigativi e violenti. Il primo, in particolare, con la sua forza morale e razionale incarna alla perfezione l’uomo-eroe rinascimentale, simbolo del coraggio e dell’intelligenza, protagonista della Storia e consapevole dei propri doveri e delle proprie possibilità.
Non è un caso, d’altra parte, che Machiavelli proponga il mito esemplare di Davide, onorato nel 1504 dalla Repubblica fiorentina di Soderini con la statua di Michelangelo posta davanti al Palazzo della Signoria. E non è nemmeno un caso che il capovolgimento della morale, propugnato dall’autore, finisca per identificarsi con questa figura biblica, richiamata non in grazia dell’umiltà ma in virtù della sua attitudine a usare la forza.

Le scelte stilistiche

A coloro che non hanno il coraggio di entrare nel male Machiavelli suggerisce, non senza un velo di sarcasmo, di rimanere privati cittadini per non trovarsi a dovere affrontare le logiche perverse della politica. Infatti, le scelte compromissorie si rivelano sempre inadeguate, dannose e perciò destinate a fallire. Il «principe nuovo» invece deve saper tener conto delle necessità del momento e scegliere senza esitazioni. Un dovere, questo, che Machiavelli sottolinea con la frequenza delle espressioni che indicano necessità (abbia, a tenere, r. 3; debbegli, r. 15; conviene, r. 17) e con l’efficace metafora* dell’entrare. L’immagine, riprendendo quella, appena precedente, della via, suggerisce l’idea del bivio, assai frequente nell’andamento tipico del pensiero machiavelliano, che procede per opposizioni binarie.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

Fai la parafrasi del testo.

ANALIZZARE

2 Il registro lessicale del testo è alto e solenne: individua almeno cinque parole che ritieni particolarmente esemplari di tale registro.


3 In fare i ricchi poveri, i poveri ricchi (rr. 5-6), quale figura retorica riconosci?

  •   A   Climax.
  •     Chiasmo.
  •     Anafora.
  •     Litote.

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INTERPRETARE

4 Quale concezione dell’uomo emerge, a tuo giudizio, in questo capitolo?


5 Spiega in che modo l’esperienza autobiografica di Machiavelli può aver influenzato il pensiero espresso nel brano.

PRODURRE

6 Oggi esistono paesi in cui si perseguono modi crudelissimi, e nimici d’ogni vivere, non solamente cristiano, ma umano? Di quali paesi si tratta? Fai una ricerca su uno di essi, preparando un testo di circa 30 righe, che si soffermi sulla sua storia presente e passata.


La visione pessimistica della natura umana

La visione della politica e delle sue leggi, dei rapporti tra gli individui e della società in generale è caratterizzata in Machiavelli da un amaro e radicale pessimismo antropologico: gli uomini gli appaiono avidi e ambiziosi, vili e timorosi, pieni di «tristizia» (cattiveria), ma al tempo stesso di «semplicità» (ingenuità e inclinazione a lasciarsi ingannare). Benché le circostanze contingenti possano essere diverse, la natura umana si rivela sempre fondamentalmente malvagia, nella sostanza immutabile poiché obbedisce a regole fisse e a motivazioni che non cambiano nel tempo.

Una tale visione negativa allontana Machiavelli dall’ottimistica immagine dell’uomo elaborata dall’Umanesimo: un’immagine basata sulla rappresentazione del saggio che cerca sapientemente di fondere etica e politica, teoria e azione. Ora l’amaro disincanto con cui egli osserva l’uomo mette in crisi quel modello.
Come quella politica, anche la sua produzione comica appare segnata da un crudo pessimismo. In particolare, nella Mandragola assistiamo a una vicenda di inganni, ipocrisie e mistificazioni posti in essere da una schiera di personaggi accomunati dal cinismo e dall’opportunismo. La grottesca avventura erotica messa in scena costituisce in realtà la dimostrazione di come corruzione e degrado tocchino tutti, senza distinzioni, vincitori e vinti, carnefici e vittime, truffatori e truffati. Lo sguardo penetrante dell’autore si appunta sempre sull’intreccio di cavilli e falsi moralismi che sono alla base delle relazioni umane. La logica del tornaconto personale non viene mai messa in discussione e il male che domina il mondo riesce sempre vittorioso. Le leggi che vigono nell’ambito della politica non sono dunque un’eccezione, poiché esse trovano applicazione anche nella sfera privata.

Tuttavia, Machiavelli crede ancora nel valore e nelle possibilità della singola persona di realizzare i propri scopi e le proprie ambizioni; egli confida che l’individuo sia capace di fronteggiare e risolvere i problemi facendo ricorso alle proprie forze e alle proprie virtù: un’eredità, questa, ricevuta dalla civiltà comunale (si pensi a Boccaccio) e da quella umanistica.
Costretto a battersi contro ostacoli e limitazioni, l’uomo, per non soccombere, deve essere secondo Machiavelli dotato di temperamento, audacia e pazienza. Il politico, in particolare, dovrà essere capace di utilizzare talento e personalità per sfruttare le occasioni propizie concessegli dalla sorte.

La fiducia che Machiavelli ripone nelle qualità dell’individuo si può percepire facilmente quando tocca il tema, già affrontato dallo stesso Boccaccio e assai caro alla cultura rinascimentale, del rapporto tra virtù e fortuna. Quest’ultima non ha più niente a che vedere con la Provvidenza cristiana: è piuttosto il caso cieco che incide sulle vicende umane in modo imprevedibile e capriccioso, determinando, con le sue improvvise variazioni, successo e insuccesso, trionfi e «ruine».

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Anche la virtù ha perduto ogni riferimento trascendente: con questa parola, Machiavelli intende designare una sintesi di forza d’animo, temperamento, discernimento e capacità di contrastare le diverse situazioni, limitando gli effetti negativi delle circostanze sfavorevoli. «La fortuna è donna ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla », sostiene Machiavelli nel capitolo XXV del Principe, ammettendo con tale immagine la possibilità che grazie al vitalismo e a una forza impetuosa sia possibile porre un argine alla casualità degli eventi, volgendoli a proprio vantaggio.

Nel sottolineare la capacità dell’uomo di far fronte ai fattori esterni alla sua volontà, Machiavelli si apre a una umanistica esaltazione della responsabilità umana, in cui non interferisce alcun disegno provvidenziale. Non è Dio a reggere il corso della Storia, ma l’individuo con le sue forze e la sua capacità di operare. D’altronde, fermo restando il disinteresse dello scrittore per la dimensione propriamente spirituale del fatto religioso, egli non evita di sottolineare e stigmatizzare l’inerzia, l’inattività e la rassegnazione istillate a suo giudizio nell’animo umano dalla predicazione cristiana.
A ciò si aggiunga la corruzione della Chiesa che, secondo Machiavelli, ha raggiunto livelli tali da far smarrire agli italiani ogni traccia di spirito religioso. Se la Curia – scrive con sferzante paradosso nei Discorsi – si trasferisse in Svizzera, perfino la radicata tradizione di rigore morale di chi lì vive sarebbe destinata in poco tempo a guastarsi.
Va detto che la decadenza morale del cattolicesimo romano «non suscita né invettive né quaresimali savonaroliani» (Bruscagli); tuttavia Machiavelli non rinuncia ad attribuire a frati e prelati una devozione mercantile per il profitto e il denaro. Eloquente in tal senso è ciò che accade nella Mandragola: qui la logica economica che si è impossessata della religione ha una concreta traduzione nel comportamento e nella diabolica malizia di uno dei protagonisti, fra’ Timoteo, il quale per denaro tradisce la propria “figlia spirituale” inducendola all’adulterio. La bramosia del frate, considerato come tipico rappresentante del clero, è dunque allegoria della rovina della società intera. Dietro il ghigno cinico di Machiavelli si celano l’amaro pessimismo e il profondo sconforto di chi vede le virtù calpestate proprio da chi le dovrebbe seguire e far seguire.

Al cuore della letteratura - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento