Alla ricerca delle regole della politica: la lezione della Storia

Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Niccolò Machiavelli

Alla ricerca delle regole della politica: la lezione della Storia

Lo scopo di tutta l’opera machiavelliana è fornire indicazioni utili a superare la crisi che sta vivendo l’Italia, frammentata in una serie di deboli Stati regionali o cittadini, e incapace – politicamente, militarmente e moralmente – di emanciparsi dalla crescente ingerenza delle potenze europee. Da questa finalità pratica discende la scelta di evitare le speculazioni astratte e dottrinarie per concentrarsi invece sugli avvenimenti contemporanei, nel tentativo di illuminare il presente e fornire gli strumenti per mettere fine alle contese particolaristiche e per rendere così possibile la formazione di uno Stato unitario forte e sicuro, sia all’interno sia all’esterno.

Tuttavia, se l’opera di Machiavelli – Il Principe, in particolare – è legata a una temperie specifica, va detto che non si esaurisce in essa. È vero che la sua riflessione nasce dal rapporto diretto che l’autore – politico impegnato in prima persona – vive con la realtà storica, ma le soluzioni proposte indicano norme e strategie che hanno una validità universale, al di là delle circostanze che le hanno generate.
Il pragmatismo adottato nell’indagare la realtà rappresenta infatti il cardine di un nuovo principio teorico e la base di una metodologia empirica, affidata cioè allo studio realistico delle circostanze e all’esperienza, sia quella diretta e personale del testimone della vita politica del tempo, sia quella assimilata dalle fonti storiche antiche e moderne.

Machiavelli è convinto che una valida dottrina politica possa venire alla luce «facendo profitto» dei comportamenti umani, sin dall’antichità. La Storia acquisisce quindi una valenza pedagogica: essa è, secondo la concezione ciceroniana e umanistica, magistra vitae (cioè “maestra di vita”), poiché dall’inesauribile miniera degli eventi del passato è possibile ricavare una lezione utilissima per leggere e orientare la realtà sfaccettata e mutevole offerta dalla contemporaneità.
Questa visione della Storia si fonda sul presupposto che, pur in epoche lontane e apparentemente diverse, l’uomo conservi sempre il medesimo comportamento e sia animato dalle stesse pulsioni (Machiavelli parla di «appetiti», con evidente riferimento alla natura animale delle insaziabili ambizioni umane).
Come prescriveva la concezione naturalistica tipica del Rinascimento, anche secondo Machiavelli gli uomini non si trasformano con il succedersi dei secoli, ma rimangono immobili in ogni tempo e latitudine: «il cielo, il sole, li elementi, li uomini», scrive nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, non sono «variati di moto, di ordine e di potenza da quello che gli erono antiquamente» (I, Proemio, ► T2, p. 306).

Per questo, il principe «prudente» deve trovare negli «esempli» del passato i rimedi per risolvere crisi e difficoltà. Con questo invito Machiavelli riafferma un criterio, tipico della cultura umanistica: il principio dell’imitazione. In particolare, gli intellettuali dell’Umanesimo civile fiorentino avevano cercato nell’antichità riferimenti validi per l’impegno pubblico, rivissuto grazie alla fede in una politica animata da virtù individuali e collettive. Machiavelli si colloca a conclusione di questa tradizione: la drammatica coscienza della rovinosa decadenza italiana lo porta a «biasimare i presenti tempi, laudare i passati, e desiderare i futuri» (Discorsi, II, Proemio). Ciò spiega la sua forte carica polemica nei confronti del proprio tempo, carica polemica che non risparmia anche la tendenza a imitare passivamente e in modo indiscriminato i classici: «Quanto meglio arebbono fatto quelli, sia detto con pace di tutti» scrive nel primo libro del trattato Dell’arte della guerra «a cercare di somigliare gli antichi nelle cose forti e aspre, non nelle delicate e molli, e in quelle che facevano sotto il sole, non sotto l’ombra, e pigliare i modi della antichità vera e perfetta, non quelli della falsa e corrotta».

 >> pag. 305 

Anche l’imitazione perciò deve essere selettiva: non deve ridursi a essere fine a sé stessa, né comportare uno sterile rifugiarsi nel passato. In particolare nella politica, l’imitazione deve configurarsi come il motore del rinnovamento, la spinta decisiva a recuperare «nuova vita e nuova virtù» (Discorsi, III, 1). Perché ciò sia possibile, è necessario che essa non sia astratta, generica o libresca, bensì che diventi concreta e operativa, in grado cioè di incidere sulla realtà adattandosi alle specifiche ed effettive condizioni civili, politiche, economiche del presente.

Per questo Machiavelli evita di indicare una forma di governo perfetta, poiché la soluzione politica e istituzionale giusta è solo quella che meglio sa conformarsi alle particolari e contingenti circostanze del momento.
Ciò non toglie che l’autore, nei Discorsi, esprima la sua personale preferenza per la repubblica, capace più del principato di coinvolgere i diversi gruppi sociali nella gestione del potere, sottratto al monopolio e all’arbitrio dei pochi sui molti. Ma la repubblica non sempre si rivela la forma migliore: essa infatti può prosperare solo dove le basi del vivere civile siano salde e regolate da buone leggi. Quando invece la corruzione dilaga, l’organismo dello Stato è destinato alla rovina e la repubblica può degenerare in anarchia: allora i vecchi ordinamenti non bastano più e ne occorrono di nuovi. In questo caso (che è poi il caso dell’Italia che ha sotto gli occhi) il repubblicano Machiavelli afferma la necessità dell’assolutismo: soltanto un principe, che gestisca da solo il potere e sia indipendente dai vecchi gruppi egemoni, può salvare dalla rovina un’Italia disunita e priva di guida.

Lo scrittore al lavoro

Machiavelli è curvo sui libri di storia e sulle mappe antiche, lo sguardo meditabondo; la posa (la mano a coprire la bocca) è di chi medita più che di chi legge o scrive. I libri della ricca biblioteca sono disordinati, nello scaffale alle sue spalle, sul tavolo da lavoro, sulla sedia, perfino adagiati per terra.

Al cuore della letteratura - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento