Al cuore della letteratura - volume 2

Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Niccolò Machiavelli

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I contenuti tematici

La lettera si apre con i convenevoli di rito. Eppure, già possiamo cogliere una punta di bonaria canzonatura, che anticipa il carattere colloquiale della missiva nel suo complesso. Il destinatario (chiamato ampollosamente Magnifico, come imporrebbe un cerimoniale ufficiale) si è fatto attendere a lungo, visto che ha scritto e inviato una lettera con un certo ritardo. Ma – ironizza Machiavelli con una citazione petrarchesca – Tarde non furon mai grazie divine (r. 1), come a dire “meglio tardi che mai”. Quindi il mittente lo esorta, scherzosamente, a essere soddisfatto del suo incarico politico (che ha solo una rilevanza di facciata) e a vivere ordinatamente e quietamente (rr. 8-9), cioè alla giornata, senza avere altre – troppe – pretese.

Dopo l’ironia, il tono però cambia e si fa serio. Lo impone l’argomento, che tocca personalmente l’animo dello scrivente: la fortuna, contro la cui malignità sembrerebbe che non ci siano antidoti. Ella si vuole lasciarla fare (rr. 11-12), cioè è necessario lasciare che faccia come vuole. Si tratta di una dichiarazione di impotenza contraddetta nel Principe, dove Machiavelli invece sottolinea la possibilità che la virtù individuale possa almeno dimezzare il raggio d’azione della fortuna.
Tuttavia, Machiavelli evita di rimpiangere con nostalgia gli anni operosi in cui esercitava un importante ruolo pubblico. Egli infatti non esclude che la sorte possa girare e riammetterlo nel gioco politico: starà a lui in tal caso farsi trovare pronto a mettersi a disposizione dello Stato, come sottolinea la forza dell’espressione conclusiva (eccomi, r. 14).

Dal secondo capoverso Machiavelli inizia a descrivere la propria vita quotidiana nell’esilio forzato di San Casciano: dopo il periodo settembrino dell’uccellagione, adesso è solito recarsi al bosco per controllare il lavoro dei tagliatori di legna, dove c’è un primo momento di ritiro intellettuale. Rifugiatosi in un locus amoenus*, l’autore si riposa vicino a una fonte, in compagnia di testi amorosi di Tibullo e Ovidio (rr. 40-42): una specie di ozio rilassante, una divagazione leggera, presto interrotta da un’attività più utile, la conoscenza degli uomini.
Egli infatti, dopo una prima sosta e il pranzo, si reca in osteria. È qui che la sua curiosità lo spinge a mischiarsi con gli abitanti del contado. Si “ingaglioffa” giocando a carte, condividendo umori plebei, umiliandosi al più infimo livello, quasi a farsi beffe del destino che lo ha costretto a tale degradazione (sfogo questa malignità di questa mia sorta, r. 53). E, tuttavia, Machiavelli non rinuncia a fare tesoro anche di questa situazione: immergersi nella realtà dell’osteria significa entrare in contatto con un’umanità semplice, che gli fornirà l’occasione per investigare le relazioni e i comportamenti umani, anche quelli più vili e animaleschi. Beninteso, l’autore guarda a questo universo non senza un filo di paternalistico snobismo: le espressioni usate (m’ingaglioffo, appunto, r. 49, ma anche pidocchi, r. 52) suggeriscono una sorta di presa di distanza dell’intellettuale da quell’umile regno di modesti lavoratori manuali (il macellaio, il mugnaio, i fornai).

Al racconto autoironico delle attività diurne subentra poi quello serale, più serio e intellettuale. Ma sono due facce della stessa medaglia: la conversazione con i frequentatori dell’osteria è infatti sostituita da quella con gli antiqui huomini (rr. 57-58), dai quali egli si attende di ricavare preziosi insegnamenti. Di questa lezione Machiavelli ha colto i frutti nell’opuscolo che ha finito di redigere: grazie al Principe, pur tra mille titubanze (espresse in forma di dilemma: se gli era ben darlo o non lo dare; […] che io lo portassi, o che io ve lo mandassi, rr. 83-85), spera di essere riammesso nei luoghi ufficiali della politica, che più gli spettano in virtù delle competenze tecniche acquisite e delle qualità di disinteressato servitore dello Stato da lui già mostrate, pur in un regime politico diverso da quello presente. Eppure, la speranza è venata dal dubbio: il destino dell’ex segretario dipende da altri, non da lui (una condizione di drammatica incertezza sottolineata dagli ultimi verbi della lettera, quasi tutti al modo condizionale: harei, mi dorrei, si vedrebbe, doverrebbe per due volte, Desidererei).

Le scelte stilistiche

Le due facce della personalità di Machiavelli si riverberano anche nello stile. Con grande capacità mimetica di adattare la lingua al contesto, l’autore alterna con disinvoltura una forma più bassa, quando narra dell’episodio all’osteria, e una più alta, quando descrive il proprio colloquio con i classici.
Nel primo caso, abbiamo modi popolari e gergali quali fare el diavolo (r. 31) e hanno fatto capo grosso (r. 38). Anche la rappresentazione di sé stesso che l’autore sviluppa adotta immagini caricaturali dal forte sapore espressivo, come quando si paragona al servo di Anfitrione o descrive la propria condizione (m’ingaglioffo, r. 49; rinvolto in tra questi pidocchi, r. 52).
Ben diverso è il procedimento stilistico utilizzato per ritrarre il raccoglimento interiore a contatto con gli amati classici. In questo caso la forma si fa solenne, si addensano le figure retoriche e il lessico si fa più elaborato, a supporto dell’autoritratto, ora non più ironico ma elevato (mi metto panni reali e curiali, rr. 56-57; entro nelle antique corti delli antiqui huomini, rr. 57-58).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Chi sono gli interlocutori ideali con cui l’autore si intrattiene nei suoi incontri notturni?


2 Che significato assume per Machiavelli il cambiamento serale degli abiti?


3 Per quale motivo Machiavelli è restio a recarsi a Roma?


4 Nella parte finale dell’epistola, Machiavelli accenna chiaramente alla stesura di un’opera. Di quale opera si tratta? Di che natura sono i dubbi dell’autore sulla sua diffusione?

ANALIZZARE

5 Individua le sei sequenze della lettera, assegna a ciascuna di esse un titolo e riassumine il contenuto, specificando per ogni situazione descritta dall’autore il tempo in cui essa si svolge, il luogo, lo stile e la lingua impiegati nel racconto della circostanza.


6 Individua e registra le espressioni popolaresche presenti nella lettera.

INTERPRETARE

7 Quali inclinazioni emergono nell’indole di Machiavelli quando si dedica a comportamenti futili e viene a contatto con uomini di modesta cultura?

PRODURRE

8 Dopo la lettura dell’epistola, possiamo dire di sapere tutto (o quasi) della vita quotidiana di Machiavelli nel suo esilio all’Albergaccio. Nelle vesti fittizie di giornalista, immagina di intervistarlo, facendolo esprimere nel linguaggio di oggi, senza rinunciare al colore e alla vivacità del suo stile.


Al cuore della letteratura - volume 2
Al cuore della letteratura - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento