Umanesimo e Rinascimento – L'autore: Ludovico Ariosto

L’AUTORE NEL TEMPO

Un successo immediato
L’Orlando furioso ha da subito uno straordinario successo di pubblico: nel giro di un secolo sono 154 le edizioni in Italia e più di 40 all’estero (20 in Francia, 21 in Spagna, 1 in Inghilterra). Forse queste cifre oggi dicono poco, ma possiamo affermare che si tratta di un primato da fare invidia a qualunque autore moderno, rappresentando un indice di gradimento tra i più alti della storia letteraria. Non a caso il Furioso è stato definito il “poema del secolo”.
Notevole, oltre a quello del pubblico, è anche l’apprezzamento dei letterati: un apprezzamento talora entusiastico, soprattutto nella prima metà del Cinquecento, quando la fama di Ariosto non è stata ancora oscurata dall’astro nascente di Torquato Tasso. Tra gli estimatori di Ariosto troviamo, per esempio, Niccolò Machiavelli, che definisce il suo poema «bello tutto, ed in molti luoghi mirabile».

La Poetica di Aristotele e il dibattito sul Furioso
Da un certo punto in poi le cose cambiano e le valutazioni si fanno meno positive. Il momento di svolta è la pubblicazione, nel 1536, della Poetica di Aristotele. Nei decenni successivi si tenderà sempre più a misurare la validità delle opere letterarie sulla base dei criteri fissati a suo tempo dal filosofo greco nel IV secolo a.C., in particolare le cosiddette tre unità aristoteliche: l’unità di tempo (i fatti devono svolgersi in un tempo limitato), di luogo (lo scenario delle vicende deve essere lo stesso) e di azione (bisogna affrontare una storia principale, senza distrazioni e digressioni). Se pensiamo all’Orlando furioso, ci rendiamo subito conto di come esso violasse tutte e tre le unità aristoteliche. Così il poema comincia a essere accusato di mancare di coerenza interna, di presentare troppi personaggi, di alternare i toni (per esempio il serio e il faceto) con eccessiva libertà. Fra i detrattori si colloca per esempio il letterato Sperone Speroni (1500-1588), il quale definisce Ariosto «anzi oca che cigno».
Qualcuno tenta però di difenderlo, sostenendo che la sua opera debba essere sottratta al metro dei canoni aristotelici, poiché di un genere nuovo, il romanzo, sconosciuto ad Aristotele (che invece si riferisce alla tragedia e al poema epico). Bernardo Tasso, padre di Torquato, azzarda l’ipotesi che Aristotele, se avesse conosciuto il bellissimo poema di Ariosto, avrebbe cambiato opinione.

La querelle Ariosto-Tasso
Nel 1581 viene stampata la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Questi si è uniformato in gran parte alle indicazioni aristoteliche (sebbene non in maniera pedissequa e concedendosi ampi margini di libertà). Così il suo poema va a costituire un concreto e valido termine di confronto con quello di Ariosto.
I letterati del secondo Cinquecento si dividono in due gruppi: da una parte i fautori di Ariosto, dall’altra quelli di Tasso, dando origine a una discussione lunga e articolata. Ma paradossalmente, tra i difensori di Ariosto si pone lo stesso Torquato Tasso, che così si mostra immune da invidia e gelosia nei confronti del suo diretto antecedente nella linea del poema eroico-cavalleresco.

Ignorato nel Seicento, riscoperto nel Settecento e nell’Ottocento
Dopo un secolo, il Seicento, che tende sostanzialmente a ignorare Ariosto (prova ne è il rapido decremento del numero di nuove edizioni del suo poema), nel Settecento Giuseppe Baretti insorge contro i detrattori del Furioso, sostenendone, al contrario, la grandezza e accostando la figura di Ariosto a quella di William Shakespeare per la profondità della poesia.
In seguito altre voci autorevoli confermano la rinnovata fortuna di Ariosto in ambito europeo, come quelle del poeta tedesco Johann Wolfgang Goethe e di Ugo Foscolo. All’inizio del XIX secolo, nella temperie prima neoclassica e poi romantica, il dibattito critico ariostesco è vivissimo e – possiamo dire – maturo. Foscolo giunge addirittura ad affermare, per certi versi, la superiorità di Ariosto rispetto a Omero: «La parte drammatica dell’Orlando furioso (se ne togliamo i soliloqui amorosi) ci pare sovente superiore a quella di ogni altro poema antico e moderno, compresa l’Iliade stessa».

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Per De Sanctis, artista e non poeta
Alcune riserve esprime invece, a proposito di Ariosto, Francesco De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana (1870). Il volume ripercorre la storia letteraria come parte della storia morale e civile del popolo italiano, a partire da un preciso punto di osservazione, collocato nell’epoca che ha visto gli esiti della civiltà romantica e risorgimentale. Da questa prospettiva il panorama si presenta a De Sanctis con due vertici agli estremi – Dante nella civiltà comunale e Manzoni in quella romantica – e una vasta e progressiva depressione al centro, in corrispondenza dei secoli di schiavitù politica (soprattutto il Seicento).
Il Cinquecento, epoca colta e civile ma moralmente esausta, viene polarizzato da De Sanctis nelle figure di Machiavelli e Ariosto: il primo, lucida coscienza della crisi politica; il secondo, interprete dell’unica idealità rimasta, la perfezione formale. L’Orlando furioso sarebbe così l’opera non di un poeta innamorato della vita, ma di un artista innamorato soltanto dell’arte. Scrive De Sanctis a proposito del poema ariostesco: «Niuna opera fu concepita né lavorata con maggior serietà. E ciò che la rendeva seria non era alcun sentimento religioso o morale o patriottico, di cui non era più alcun vestigio [traccia] nell’arte, ma il puro sentimento dell’arte, il bisogno di realizzare i suoi fantasmi».

Croce e l’armonia
La generazione successiva a quella di De Sanctis si volge ad Ariosto soprattutto con ricerche filologiche ed erudite che hanno permesso la ricostruzione dell’ambiente letterario ferrarese, della vicenda compositiva delle opere ariostesche e di una loro più corretta veste testuale.
A offrire una nuova interpretazione di Ariosto è invece Benedetto Croce, il quale sostituisce al concetto desanctisiano di “arte per l’arte” quello di “armonia”, individuando in tale qualità il tratto distintivo, sul piano tematico e compositivo, della produzione ariostesca. Armonia è per Croce la proporzione e l’equilibrio delle cose come supremo ideale del mondo interiore; ma è anche il tono e lo stile che riportano nel campo espressivo quella proporzione e quell’equilibrio.

Le riscritture del secondo Novecento
La fortuna di Ariosto nei tempi a noi più vicini è testimoniata, oltre che dal fiorire di importanti studi critici, dall’attenzione che al suo capolavoro hanno riservato diversi scrittori contemporanei, i quali si sono cimentati con un originale lavoro di riscrittura dei più celebri episodi del Furioso.
Tra costoro ricordiamo innanzitutto Italo Calvino, il quale ha sempre dichiarato per Ariosto un’ammirazione che nasce da una profonda analogia nel concepire ed esprimere la creatività fantastica. Nel 1970 Calvino – nel volume Orlando furioso di Ludovico Ariosto raccontato da Italo Calvino (una narrazione in prosa intervallata da alcune ottave del testo originale del poema) – riconduce la vastità del materiale ariostesco a una ventina di nuclei narrativi, consentendo in tal modo al lettore di orientarsi con maggiore facilità nel labirinto di paladini, cavalieri, saraceni, donzelle, spade, elmi e cavalli, pur senza perdere il senso della complessità dell’intreccio originale. Va ricordato anche lo sceneggiato mandato in onda dalla Rai nel 1975, ricavato dal celebre spettacolo messo in scena da Luca Ronconi nel 1969 al Festival dei Due Mondi di Spoleto, con la collaborazione del poeta Edoardo Sanguineti. Possiamo citare infine l’operazione compiuta nel 1993 da Giuseppe Pederiali, che propone un Orlando furioso tradotto nella lingua di oggi.

Al cuore della letteratura - volume 2
Al cuore della letteratura - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento