Corot e la Scuola di Barbizon

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Corot e la Scuola di Barbizon

A partire dagli anni Trenta dell’Ottocento anche la pittura di paesaggio si orienta verso la rappresentazione del vero, in virtù della quale l’artista trascorre lungo tempo all’aperto studiando con attenzione non solo i mutamenti atmosferici, ma dedicando una particolare cura anche alla luce e ai suoi effetti luminosi.
Un gruppo di artisti francesi, uniti da un rapporto d’amicizia e di stima reciproca, scelgono Barbizon, un piccolo villaggio al limitare della foresta di Fontainebleau, come luogo di ritrovo e, naturalmente, come soggetto delle loro tele. Benché il gruppo fosse distante dallo stabilire delle norme estetiche, passò alla storia come Scuola di Barbizon o anche come Scuola di Fontainebleau: l’impegno comune dei suoi membri stava nella ricerca di un linguaggio pittorico vivido, grazie al quale il paesaggio conservasse l’atmosfera luminosa del vero.

Jean-Baptiste-Camille Corot

Ben prima dell’esperienza di Barbizon, Jean-Baptiste-Camille Corot (Parigi 1796-Ville d’Avray 1875) affina una pittura di paesaggio, filtrata dallo studio dei grandi artisti classicisti francesi, in particolare di Nicolas Poussin e Claude Lorrain. A questi si aggiunge la scoperta dei cieli di John Constable al Salon del 1824, seguita da un lungo viaggio in Italia compiuto tra il 1825 e il 1828, durante il quale l’artista afferma: «Ho un solo scopo nella vita che voglio perseguire con costanza: fare paesaggi».

Veduta del Colosseo dai giardini Farnese

È del marzo del 1826 la Veduta del Colosseo dai giardini Farnese (5), frutto di almeno quindici giorni di approfondita e costante osservazione. Scrive Corot: «Se la luce cambia, a questo studio ne sostituisco un altro e senza mai lasciare la terrazza dei giardini Farnese», luogo che offre un punto di vista privilegiato sui Fori romani. 

La precisione della linea, come pure la rigorosa costruzione prospettica degli elementi architettonici, disegnati con precisione, inducono a ritenere che Corot si sia avvalso di un procedimento misto, ovvero della combinazione tra la spontaneità degli appunti presi dal vero e il rigore della rielaborazione in atelier. Il dipinto, presentato al Salon del 1849, passò del tutto inosservato, forse perché realizzato su carta e dunque ritenuto ancora uno studio e non un’opera finita.

La Cattedrale di Chartres

A due anni dal rientro a Parigi, attorno al 1830, Corot realizza uno dei suoi capolavori, La Cattedrale di Chartres (6), risultato di un’attenta osservazione dal vero. La composizione misurata non affievolisce la vivacità dell’insieme: alle torri svettanti della cattedrale sono contrapposti i due arbusti stagliati contro il cielo, la montagnola erbosa è controbilanciata dall’abbagliante chiarore dei marmi. La luce tocca sapientemente alcuni punti nevralgici in un’alternanza di toni che rende la scena vibrante. Il succedersi delle nubi contro un cielo terso ribadisce l’attenzione di Corot per la pittura di Constable. Corot rimette mano alla tela nel 1872, aggiungendo la piccola figura sulla sinistra seduta sul masso e il carrettiere: due dettagli che accentuano l’elemento realistico della scena, nella quale però il paesaggio rimane il protagonista incontrastato.
Dalla metà degli anni Trenta, una volta rientrato in patria, Corot influenzerà gli artisti della Scuola di Barbizon.

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Théodore Rousseau

Il principale animatore della scuola fu il paesaggista francese Théodore Rousseau (Parigi 1812-Barbizon 1867) che nel 1835, vedendo rifiutati i propri dipinti dalla giuria del Salon, decise di stabilirsi a Barbizon e di concentrarsi unicamente sulla rappresentazione della foresta, fissandola nei suoi repentini cambiamenti atmosferici. In una piccola tavola realizzata interamente all’aperto, Stagno nella foresta (7), Rousseau gioca ad alternare i riflessi delle pozze d’acqua ai toni densi del terreno paludoso.
In breve tempo è raggiunto da altri colleghi, tra i quali Camille Corot e Jean-François Millet, per i quali l’esperienza agreste sarà fondamentale nell’evoluzione di una personale maniera d’intendere la pittura di paesaggio. Nel 1855, in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, i paesaggi di Rousseau ottengono finalmente il successo meritato, sancendo la fortuna della pittura di paesaggio all’aria aperta. Fu un cambiamento nella sensibilità collettiva che gettò il seme per lo sviluppo dell’Impressionismo.

Jean-François Millet

Dopo alcuni anni di formazione a Parigi, Jean-François Millet (Gréville-Hague 1814-Barbizon 1875) nel 1849 si trasferisce definitivamente a Barbizon, attirato dalle scene di vita contadina ancor più che dal paesaggio. L’attenzione che l’artista riserva agli umili lo avvicina a una sensibilità realista, alla maniera di Courbet, piuttosto che al puro interesse per il paesaggio tipico dei pittori di Barbizon, con i quali condivide comunque la volontà di una presa obiettiva e vivace del paesaggio. Se però lo sguardo di Courbet è distaccato, Millet dimostra una sincera sensibilità per il mondo contadino che rappresenta elevandolo a soggetto da Salon.

Le spigolatrici

Nel 1857 l’artista espone a Parigi Le spigolatrici (8), uno spaccato di vita contadina inserito in una campagna dalla luminosità intensa. Le tre donne intente alla spigolatura – la raccolta delle spighe di recupero cadute durante la mietitura – hanno i volti scuriti dal sole e segnati dal duro lavoro dei campi. Due di esse sono chine, a sottolineare la ripetitività delle loro azioni, mentre la figura di destra rialza la schiena dopo lungo tempo: grazie ai numerosi disegni di studio, Millet ci restituisce sia lo sforzo sia la lentezza di quel gesto . La linea dell’orizzonte, volutamente alta e distante, si perde in una pennellata rarefatta che lascia intravedere gli uomini impegnati nella raccolta del fieno.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri