I preraffaelliti

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I preraffaelliti

La confraternita dei preraffaelliti viene fondata a Londra nel 1848 da un gruppo di artisti uniti dalla condivisione di alcuni princípi: il rifiuto delle regole imposte dall’Accademia e la ripresa di modelli stilistici provenienti dall’arte italiana anteriore a Raffaello, avvertiti sia come esempi di pulizia formale sia come parametri etici e morali. I soggetti si ispirano ai testi sacri e alla letteratura, con una predilezione per Dante e Shakespeare. I preraffaelliti trovano il loro mentore nel critico John Ruskin che nel 1843 pubblica il primo volume di Modern Painters, in cui raccomanda agli artisti che vogliano davvero essere moderni un attento studio del vero e l’impiego di colori puri. La pittura preraffaellita presenta una polarità complessa: da un lato il realismo della tecnica e dall’altra il simbolismo del soggetto. Le loro opere sono portatrici di un messaggio che rimanda a principi religiosi e a virtù morali che la società stava, a loro avviso, perdendo.
I protagonisti di questa “congrega” artistica sono William Holman Hunt, John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti a cui si aggiunse Ford Madox Brown, maestro di pittura di Rossetti. Il loro sodalizio è talmente stretto che alle mostre della Royal Academy presentano le loro tele a firma collettiva, col marchio “PRB” (Preraffaelite Brotherhood). Nel 1853 la confraternita si scioglie e i preraffaelliti evolvono verso uno stile più marcatamente simbolista.
A partire dal 1850, con la pubblicazione del periodico “The Germ”, i preraffaelliti diffusero anche il proprio pensiero sulla poesia, esaltando tutta quella letteratura che si poneva in antitesi col progredire incontrollato della civiltà industriale. La fonte letteraria diviene un’ispirazione primaria per il gruppo: non solo i testi sacri, ma anche le leggende celtiche e la letteratura medievale offrono loro soggetti di fascino che s’impongono anche come modelli morali. Ebbe particolarmente fortuna il ciclo legato alle leggende di re Artù e dei suoi cavalieri, ma anche le figure del Medioevo e del primo Rinascimento italiano, come la Beatrice dantesca, e naturalmente Shakespeare.

John Everett Millais

John Everett Millais (Southampton 1829-Londra 1896) incarna l’enfant prodige che a soli undici anni viene ammesso alla Royal Academy e la confraternita dei preraffaelliti viene fondata nella casa dei suoi genitori. Il suo Ofelia (30), presentato alla mostra della Royal Academy del 1852, riprende il quarto atto dell’Amleto shakespeariano, quando l’eroina si lascia annegare per amore. Millais, fedele al passaggio letterario, restituisce minuziosamente la vegetazione attorno alla fanciulla. Ogni specie ha una corrispondenza simbolica: il salice, l’ortica e la margherita sono spesso associati all’abbandono dell’amato. La mano inerme, punto focale dell’opera, trattiene appena alcune fritillarie (fiori bulbosi dai colori appariscenti), simbolo di dolore, un papavero e un nontiscordardimé, emblemi rispettivamente della morte e del ricordo. Millais realizza il dipinto in due momenti: prima trascorre lunghe ore sulle sponde dell’Hogsmill River, nell’Ewell, dove può osservare dal vero tutte le specie vegetali che poi riprodurrà sulla tela; solo in un secondo momento inserirà il corpo della donna. L’Ofelia ha i tratti di Elizabeth Siddal, modella e futura moglie di Rossetti, che fu costretta a posare immersa in una vasca d’acqua non riscaldata, tanto da ammalarsi gravemente di bronchite. Il volto della giovane suicida affiora delicatamente; la pittura crea un incarnato etereo che si stacca nettamente dai flutti dell’acqua. Al contrario, la veste si confonde con la natura stessa, e fa di Ofelia una creatura dei boschi.

William Holman Hunt

Rifiutato all’esame di ammissione alla Royal Academy, William Holman Hunt (Londra 1827-1910) è tra i fondatori della confraternita dei preraffaelliti anche come aperta presa di distanza dalla pittura di Sir Joshua Reynolds, che dell’Accademia inglese incarnava i principi e il gusto. Hunt sviluppa una pittura autonoma che, al pari di quella di Millais, si dimostra estremamente attenta al dato naturale. Trascorre intere notti all’aperto, lavorando al lume di una lanterna, nell’intento di ricreare fedelmente la luminosità notturna in La luce del mondo (31). Il dipinto, che precede di poco lo scioglimento della confraternita, mostra un Cristo che sta per bussare a una porta coperta d’erbacce e senza maniglia. Esposto nel 1854 alla Royal Academy, La luce del mondo viene accolto con scarso interesse, forse proprio per il carattere eccessivamente oleografico; in un secondo momento, tuttavia, diviene una delle immagini tipiche della religiosità vittoriana, anche in virtù della lettura simbolica che ne diede lo stesso Hunt. L’artista rivelò che la porta chiusa andava letta come metafora del buio della mente di chi non crede. Sulla stessa linea interpretativa, la ruggine è l’emblema della corrosione delle facoltà vitali; le erbacce rimandano ad attitudini malvage e il pipistrello è l’animale che non vive mai nella luce . Attraverso i dettagli dell’abbigliamento del Cristo – la preziosa fibula che ne chiude il mantello, fatto di un broccato riccamente decorato e la corona – l’artista cala il dipinto nel gusto inglese di metà Ottocento.

Ford Madox Brown: l’outsider della confraternita

Abilissimo disegnatore, Ford Madox Brown (Calais 1821-Londra 1893) fa il suo esordio alla Royal Academy nel 1840 e tre anni più tardi presenta un cartone al concorso per la decorazione del Palazzo di Westminster. Queste prime prove suscitano l’ammirazione di Rossetti che si propone come suo mentore, aprendogli così il contatto con gli artisti preraffaelliti. Benché Madox Brown non abbia mai ufficialmente aderito alla confraternita, le sue scelte stilistiche ne fanno a pieno titolo un seguace della nuova scuola pittorica vittoriana. Lo testimonia Chaucer alla corte di Edoardo III (32) nel quale il celebre scrittore inglese Geoffrey Chaucer è immaginato mentre decanta i propri versi davanti all’ormai anziano monarca e alla sua corte estasiata. Disponendo le figure in primo piano in cerchio, per altro alcune di spalle, l’artista fa sì che l’osservatore si senta coinvolto dalla scena. La scelta di un soggetto medievale, la ricostruzione di un’epoca passata, l’impiego di colori brillanti in contorni ben definiti e il rimando alla pittura del Quattrocento italiano – evidente dal paesaggio di fondo che ha ben poco d’inglese e dalla somiglianza di Chaucer ai ritratti di Dante – fanno del dipinto una splendida prova di pittura preraffaellita.

Dante Gabriel Rossetti

Viste le premesse, la pittura preraffaellita non poteva evolvere che in direzione simbolista. Dagli anni Sessanta le fonti pittoriche a cui attingere si spingono fino al secondo Rinascimento, più sensuale.
Anche Dante Gabriel Rossetti (Londra 1828-Birchington 1882), che aveva iniziato la carriera con rigorose scene della vita della Vergine (► pp. 76-77), si concede grandi ritratti allegorici, che si rifanno alle forme voluttuose e ai colori accesi delle veneri tizianesche. In La pergola blu (33) la protagonista del dipinto è Fanny Cornforth, nuova compagna dell’artista dopo la scomparsa della moglie, che lancia uno sguardo languido verso l’osservatore mentre posa le dita sul koto, uno strumento musicale coreano che dona al dipinto una nota esotica e ne esalta l’elemento sensoriale. Attraverso un evidente virtuosismo pittorico di stampo cinquecentesco, la pittura ricrea la dolcezza delle note musicali, la tattilità delle sete e della pelliccia. I colori, la sovrabbondanza dei panneggi, la preziosità dei tessuti e il monile, che ferma l’acconciatura vaporosa, concorrono a creare un’immagine d’opulenza. La decorazione floreale dello sfondo anticipa soluzioni ornamentali affini al gusto dell’Arts and Crafts (► p. 225).

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri