Théodore Géricault

   2.  L’ETÀ ROMANTICA >> Il Romanticismo

Théodore Géricault

Nonostante l’educazione neoclassica – prima al Lycée Impérial e poi direttamente nell’atelier di Pierre Narcisse Guérin (Parigi 1774- Roma 1833) – Théodore Géricault (Rouen 1791-Parigi 1824) diviene uno dei maggiori rappresentanti della pittura romantica. Nel 1816 gli viene rifiutato il Prix de Rome, ma l’artista, potendo attingere a risorse economiche personali, decide di trascorrere ugualmente un anno a Roma a proprie spese. Nonostante abbia in seguito definito il soggiorno romano come «un anno di tristezza e di noia», la produzione successiva al 1816 sarà influenzata in modo determinante dal Rinascimento italiano. Géricault guarda con particolare interesse a Michelangelo e a Raffaello; di quest’ultimo, realizza anche una replica in piccole dimensioni (38x41,5 cm) della Pala Baglioni (1507, Roma, Galleria Borghese). La biografia stessa di Géricault, che fin da giovane dimostra un carattere irrequieto, incarna lo stereotipo dell’artista romantico, bohémien, cioè anticonvenzionale, tormentato e poi stroncato da un male non curato a soli trentatré anni.

Corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia

Nel 1814 Géricault espone al Salon una tela di grandi dimensioni e dal carattere drammatico. Il Corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia si pone ancora a metà tra un’impostazione neoclassica e uno sviluppo romantico (6).
Da un lato l’artista mostra un soldato che sembra non patire alcuna sofferenza, dall’altro però sceglie un episodio di storia recente – le disfatte napoleoniche – e staglia il cavallo imbizzarrito contro un cielo plumbeo, che preannuncia cattivi presagi. La trattazione della luce, diffusa sul dipinto a colpire frontalmente la figura, illuminandone il volto e riflettendosi sul metallo del copricapo e della corazza, risponde ancora a canoni accademici. Il dipinto, dal fortissimo impatto visivo, sottende una certa disillusione rispetto agli ideali napoleonici: il soldato che, lungi da eroismi, abbandona il campo di battaglia, è la dimostrazione della caduta delle aspirazioni espansionistiche d’inizio secolo. Il dipinto allude alla fine dell’epoca napoleonica, e al contempo all’abbandono dello stile neoclassico che l’imperatore aveva pressoché imposto quale gusto ufficiale.

Il superamento del Neoclassicismo

La presa di distanza dal Neoclassicismo avviene cinque anni più tardi con la sensazionale esposizione de La zattera della Medusa al Salon del 1819 (7).

La zattera della Medusa

La tela, di oltre sette metri di base, pone lo spettatore di fronte all’orrore della disperazione umana: il 5 luglio del 1816, per un errore del comandante, la fregata francese Medusa si inabissa al largo delle coste africane, all’altezza dell’attuale Mauritania.
La vicenda solleva uno scandalo internazionale e la monarchia francese ne esce screditata, in particolare re Luigi XVIII, reo di aver nominato il capitano. L’artista mostra il momento in cui i pochi sopravvissuti, dopo giorni di mare aperto su una zattera di fortuna, avvistano in lontananza la nave che li porterà in salvo . Géricault elabora l’opera tra il 1818 e il 1819, attraverso un lungo studio preparatorio fatto di disegni e bozzetti a olio. Imposta la tela rifacendosi ai nobili esempi del passato, primo fra tutti il Michelangelo della Battaglia di Càscina, eleva dunque a evento epico un fatto di cronaca. Nella concitazione della scena – le onde alte, la gestualità disperata – Géricault costruisce il dipinto secondo salde direttive geometriche: il palo della zattera e lo straccio rosso sventolato dal naufrago segnano infatti i vertici di due triangoli che s’intersecano l’uno nell’altro. All’apice delle piramidi alcuni naufraghi, vivi, hanno ancora la forza per sbracciarsi e chiedere aiuto, mentre nella parte bassa del dipinto, alla base dei triangoli, sono ammassati solo cadaveri. Anche l’uomo seduto in primo piano, che spicca tra i morti con un drappo speranza. I lati del dipinto sono volutamente occupati solo dall’incresparsi di alte onde che, viste le dimensioni della tela, coinvolgono emotivamente l’osservatore nella tragedia. Ad accentuare il senso di coinvolgimento, Géricault adotta un taglio fotografico, apparentemente rubato all’attimo: non inquadrando il corpo di destra per intero richiama l’attenzione sulla sua magrezza e sulle sofferenze patite. La mancanza di un intero della scena imprime alla zattera il senso del movimento incontrollato tra le onde. Géricault impiega la luce in maniera sapiente, puntandola sui naufraghi esanimi, le cui carni sono d’un verdastro innaturale, il colore della morte. La sequenza di cadaveri, appena coperti da drappi laceri, testimonia l’inumana ed estenuante sofferenza delle giornate passate in balia del mare: le cronache del tempo parlano persino di atti di cannibalismo. La zattera della Medusa non solo segna il definitivo superamento del rigore e della canonizzazione neoclassica, ma la sua crudezza anticipa il Realismo. Il dipinto non ebbe il successo sperato dall’artista, anzi fu pesantemente attaccato per le stesse ragioni per le quali è considerato un capolavoro della modernità: si rimproverò a Géricault di aver presentato un fatto di cronaca alla stregua di un dramma universale e, soprattutto, di aver concesso troppo spazio ai due marinai di spalle – di cui uno di colore – che erano sopravvissuti alla tragedia.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri