Francisco Goya

   2.  L’ETÀ ROMANTICA >> Il Romanticismo

Francisco Goya

La carriera di Francisco Goya y Lucientes (Fuendetodos 1746-Bordeaux 1828) ha un avvio piuttosto lento: tenta per due volte di entrare all’Accademia di Belle Arti di San Fernando a Madrid (nel 1763 e nel 1766) e nel frattempo collabora come apprendista con Francisco Bayeu (Saragozza 1734-Madrid 1795), pittore di corte a metà tra il Neoclassicismo di Anton Raphael Mengs e la vivacità, sia cromatica che prospettica, di Giovanni Battista Tiepolo. Dopo aver intrapreso, a sue spese, un viaggio di formazione in Italia, nell’ottobre del 1771 si aggiudica la decorazione di una cappella della Basilica di Nuestra Señora del Pilar a Saragozza. Nel 1773 sposa Josefa Bayeu, sorella del suo primo maestro al quale deve l’impiego presso la Real Fábrica de Tapices de Santa Bárbara, per la quale realizza alcuni cartoni con scene di caccia, destinati alla tenuta El pardo di re Carlo III, noto appassionato d’arte venatoria. Fin da questo primo incarico ufficiale Goya dimostra la propria autonomia nella scelta dei riferimenti linguistici: alla saldezza formale di Mengs e alle prospettive ardite di Tiepolo, Goya affianca il raffinato uso del colore appreso dalla lezione del Seicento spagnolo, in particolare da Diego Velázquez. Egli rifiuta l’idea di adeguarsi a un canone assoluto di bellezza ed è indifferente ai modelli desunti dall’antichità: benché si formi in un ambiente illuminista, la sensibilità pittorica di Goya ha dunque caratteristiche prettamente romantiche.

La forza visionaria degli incubi

Pienamente romantica è la scelta dei soggetti che sovente appartengono al mondo fantastico: talvolta si tratta di materializzazioni di incubi e paure interiori, resi attraverso forme distorte e forti contrasti luministici. Non regge più la netta distinzione tra Bene e Male, tra logico e assurdo portata avanti dall’Illuminismo. Goya stesso scrive: «Non ho paura delle streghe, degli gnomi, delle apparizioni, dei giganti prepotenti e arroganti, degli spiriti maligni, dei folletti, di tutti gli altri esseri simili, tantomeno di nessun altro tipo di creatura, fatta eccezione per l’essere umano».

Il volo delle streghe

Uno dei sei dipinti che il duca e la duchessa di Osuna acquistarono nel 1798 per decorare La Alameda, la loro villa alle porte di Madrid, è Il volo delle streghe (1). La piccola tela è la prova della straordinaria forza visionaria di Goya: il centro del dipinto è occupato dalle tre streghe che indossano la coroza, il copricapo dei condannati dell’Inquisizione spagnola, e portano in volo la loro vittima. Le due figure in basso, per paura o per disperazione, non hanno il coraggio di assistere alla scena: un uomo è riverso a terra con la testa tra le mani e l’altro fugge, coprendosi il capo con un drappo bianco. Nell’angolo di destra Goya inserisce un asino .
La scena si svolge in un notturno che circonda le figure levitanti, mentre una luce proveniente dall’alto ne accende l’incarnato: il contrasto tra l’oscurità del fondo e il groviglio di corpi accentua l’aspetto sinistro del dipinto. La posizione delle braccia dell’uomo in basso, che ricorda quella del Cristo in croce, sarà ripresa da Goya nella Fucilazione del 1814 sempre in allusione a un sacrificio (► p. 53).

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri