La pittura in Italia in età napoleonica

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La pittura in Italia in età napoleonica

Il potere di Napoleone sull’Italia si tradusse nella creazione di cantieri importanti che contribuirono alla diffusione del linguaggio neoclassico in tutta la Penisola. Le regge napoleoniche di Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli rappresentano un’occasione di affermazione per un folto numero di artisti italiani capaci di soddisfare il gusto squisitamente neoclassico dell’imperatore. Gli italiani si trovano a misurarsi con la lezione dei colleghi d’oltralpe, come nel caso del Quirinale a Roma, trasformato in reggia napoleonica dai pittori italiani più in vista del momento – tra cui Camuccini, Minardi e Hayez – accanto a stranieri come Ingres, che realizzò il celebre Sogno di Ossian per la stanza da letto di Napoleone. Un dipinto che, pur nel rigore neoclassico del disegno, sia per la scelta di un soggetto onirico sia per gli effetti luministici, getta le basi per l’evoluzione di un’intera generazione di artisti italiani verso esiti romantici.

La lezione di David: Camuccini e Landi

Alla fine del Settecento Jacques-Louis David rappresenta il modello per eccellenza della pittura di storia: la presentazione a Roma del Giuramento degli Orazi nel 1784, la successiva circolazione delle riproduzioni e l’esperienza diretta col maestro di alcuni artisti italiani – come Giuseppe Bossi che nel 1802 trascorre del tempo nell’atelier davidiano parigino – fanno sì che il linguaggio neoclassico si radichi nella pittura italiana.

La morte di Cesare

Tra il 1804 e il 1806 Vincenzo Camuccini (Roma 1771-1844) porta a termine una tela di 7 metri che ha per soggetto l’assassinio di Cesare (39), come narrato da Plutarco e poi ripreso da Voltaire nella Morte di Cesare, tragedia del 1733. Camuccini immortala il momento in cui Giulio Cesare, levatosi dal seggio della Curia per cercare di difendersi, riconosce Bruto tra i congiurati. Il figlio adottivo colpisce Cesare volgendo il capo dalla parte opposta. La composizione severa della tela rivela la salda formazione accademica dell’artista, basata sia sull’osservazione del vero sia sul rispetto del modello antico. Come nella pittura di David, i protagonisti tengono il centro della scena e la luce è sapientemente diretta sugli elementi di maggior rilievo narrativo. La gestualità è caricata ma senza perdere il controllo delle emozioni .

Ebe regge una coppa per Giove sotto forma di aquila

Nello studio romano Canova riceve anche l’amico Gaspare Landi (Piacenza 1756-1830), artista di origine emiliana che dal 1781 si è trasferito in città, divenendo ben presto il protagonista di un linguaggio neoclassico che appare come la traduzione pittorica della statuaria canoviana. Landi si specializza in soggetti storici, ritratti e temi mitologici come l’Ebe regge una coppa per Giove sotto forma di aquila, che mette in scena un episodio ampiamente trattato dai poemi omerici (40). La coppiera degli dèi è ritratta nel pieno della sua giovane bellezza, mentre sta offrendo nettare e ambrosia a Zeus che ha assunto le sembianze di un’aquila. Seguendo la lezione di David, Landi lascia che le figure emergano da uno sfondo neutro, e questo permette di caricarle d’intensità psicologica. Il dipinto gioca sul contrasto tra la dolcezza dei gesti e dello sguardo di Ebe e l’animalità di Giove che affonda i suoi artigli nel braccio della fanciulla. All’equilibrio compositivo e al rigore del disegno neoclassico Landi affianca una stesura cromatica che ricorda, per morbidezza e calore dei toni, quella della pittura veneta del Cinquecento, con momenti di sfumato sul nudo di matrice leonardesca. La lucentezza tipica della pittura di Landi è dovuta a una stesura per velature, ovvero per sottili passaggi di materia cromatica che permettono al colore di mantenere la sua naturale trasparenza.

Una libera interpretazione del Neoclassicismo: Pietro Benvenuti

Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella dell’imperatore e granduchessa di Toscana, consiglia a Napoleone di affidare a Pietro Benvenuti (Arezzo 1769-Firenze 1844) uno dei cinque grandi dipinti celebrativi che avrebbero dovuto decorare la galleria del Louvre.

Il giuramento dei Sassoni a Napoleone dopo la battaglia di Jena

Tra la fine del 1809 e l’inizio del 1810 Benvenuti, già pittore di corte del regno di Toscana, si reca a Parigi e accetta l’incarico di rappresentare Il giuramento dei Sassoni a Napoleone dopo la battaglia di Jena (41), episodio di storia quasi contemporanea, poiché la battaglia era stata combattuta nell’ottobre del 1806. Benvenuti ritrae Napoleone, in piedi sulla gradinata d’accesso all’università di Jena, che con gesto magnanimo accetta l’atto di sottomissione degli ufficiali sassoni e prussiani.

L’uso esperto della luce mette in rilievo la figura di Napoleone, il cui riverbero illumina poi gli splendidi ritratti dei suoi ufficiali. Una luce più fioca invece, alla sinistra del dipinto, lascia emergere lo strazio e la sincera sottomissione dei militari sconfitti. Benché Benvenuti abbia l’occasione di ammirare dal vero il Giuramento degli Orazi di David, da cui prende spunto per la posizione delle mani dei tre ufficiali prussiani a sinistra, il dipinto dimostra un atteggiamento di apertura verso una sensibilità romantica.
L’ambientazione notturna, la restituzione di un paesaggio non ben definito alle spalle, l’insistenza sui numerosi dettagli narrativi e l’accentuazione psicologica sono elementi che il tardo Neoclassicismo condivide con il Romanticismo.

La ritrattistica ufficiale: Andrea Appiani

Andrea Appiani (Milano 1754-1817) si forma alla neonata Accademia di Brera frequentando contemporaneamente alcuni letterati milanesi, primo fra tutti il poeta Giuseppe Parini. Il suo stile, improntato a un severo classicismo, s’impone nella Milano di fine Settecento grazie alla grandiosa decorazione della cupola di Santa Maria presso San Celso a Milano (1792-1795). La carriera di Appiani è indissolubilmente legata a Napoleone: dopo un soggiorno parigino nel 1901, nel 1905 l’imperatore francese lo eleva a primo pittore della corte milanese, titolo a cui seguiranno gli importanti cicli decorativi del Palazzo Reale, oggi in buona parte perduti.

Napoleone Primo Console

Nel 1803, all’indomani della nomina di Napoleone a Primo Console, Appiani lo ritrae con lo sguardo rivolto verso sinistra, come se qualcosa l’avesse distolto per un attimo dallo studio delle mappe sulle quali ha ancora puntato il dito (42); il protagonista è in piedi, perché il pittore lo vuole descrivere come un uomo dinamico, infaticabile e pronto all’azione. Nonostante i tratti del volto siano idealizzati e non rispondano alle fattezze reali dell’imperatore, l’artista riesce a infondere nello sguardo una severità credibile .

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri