Jean-Auguste-Dominique Ingres

   1.  L’ETÀ NEOCLASSICA >> Il Neoclassicismo

Jean-Auguste-Dominique Ingres

Dopo una prima formazione all’Accademia di Tolosa, nel 1797 Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban 1780-Parigi 1867) si trasferisce a Parigi per proseguire gli studi nell’atelier di Jacques- Louis David. Due anni più tardi entra alla classe di pittura dell’Accademia di Belle Arti e nel 1801 si aggiudica il prestigioso Prix de Rome, ma a causa di problemi finanziari può partire per l’Italia solo nel 1806. Rimane a Roma fino al 1820 e, una volta rientrato a Parigi, nel 1825, viene eletto membro dell’Accademia di Belle Arti per poi, nel 1834, decidere di far ritorno a Roma come Direttore dell’Accademia di Francia (Villa Medici), incarico che mantiene sino al 1841.
Il linguaggio artistico di Ingres si sviluppa pressoché interamente in Italia, dove affina un tipo di pittura che, partendo da solide basi accademiche, si concede qualche accento romantico: un corpo affusolato, un vezzo decorativo, una piccola anomalia rispetto alla norma neoclassica. La pittura di Ingres riesce a lanciare un ponte tra Neoclassicismo e Romanticismo. Rientrato a Parigi, nonostante avesse manifestato la propria delusione per la scelta di una monarchia costituzionale, trasformatasi presto nel secondo Impero, ottenne importanti commissioni pubbliche da parte di Napoleone III, come il soffitto dell’Hotel de Ville (distrutto nel 1871). Inoltre ebbe una propria sala personale all’Esposizione Universale di Parigi del 1855, dove espose ben quarantatré opere, confermandosi come uno dei maggiori artisti dell’Ottocento.

Accademia di nudo maschile

Appena ventenne Ingres termina un olio che è il frutto di un attento studio anatomico abbinato alla conoscenza della statuaria antica. Nell’Accademia di nudo maschile (32) il torso del giovane modello poggia la mano sinistra a un bastone che, passando dietro le natiche, lo costringe a un movimento a “S”, lo stesso delle statue di Prassitele. Nonostante sia un soggetto piuttosto elementare e accademico, il dipinto presenta già alcune caratteristiche dell’Ingres maturo: per esempio la luce calda e dorata che accende la luminosità dei capelli e dell’incarnato del modello. Ingres farà sempre ampio uso dell’ocra gialla, un colore che riteneva “disceso dal cielo”, tanto era utile nel riscaldare i toni del dipinto. L’Accademia di nudo maschile testimonia l’abilità nel disegnare di Ingres, una dote che oltre ad avergli permesso di entrare nell’atelier di David, gli sarà di grande utilità a Roma nello studio dei maestri rinascimentali e sarà la base per lo sviluppo di opere impegnative. Come egli stesso scrisse, «il disegno comprende i tre quarti e mezzo di ciò che costituisce la pittura».

Il sogno di Ossian

Appartiene al periodo romano anche Il sogno di Ossian (33), un dipinto certamente neoclassico per la matrice disegnativa ben definita, il controllo delle passioni, la trattazione pudica dei nudi; al contempo, tuttavia, il forte contrasto luministico e il tema stesso – il sogno di un personaggio dell’epopea gaelica – lo avvicinano a una sensibilità romantica. È evidente inoltre come a Roma Ingres abbia avuto occasione di ammirare dal vero le Stanze di Raffaello in Vaticano, in particolare l’episodio della Liberazione di san Pietro da cui recupera la soluzione del controluce e delle figure di spalle.

La fascinazione orientalista

Tra il 1813 e il 1814 Ingres realizza almeno cinque dipinti per Gioacchino e Carolina Murat, i reali di Napoli, tra i quali la conturbante Grande odalisca (34) del 1814, certamente eseguita come “corrispondenza” di un primo dipinto realizzato per il re nel 1808 nel quale il soggetto è sempre un’odalisca ma dormiente. L’esperienza romana permette all’artista di prendere le distanze dall’accademismo per risolvere il nudo secondo la rielaborazione di modelli rinascimentali, con un particolare riguardo per le Veneri tizianesche e la pittura manierista in generale.

La grande odalisca

La scelta di un soggetto orientale, come un’odalisca, incide sul carattere sensuale del dipinto. La donna è ritratta completamente nuda, di spalle, mentre volge lo sguardo all’osservatore, senza la malizia delle Veneri cinquecentesche e con un volto che presenta ancora un’idealità neoclassica. L’orientalismo di Ingres non ha basi scientifiche – l’artista non si è mai recato in Africa, come per esempio farà Delacroix – ma è una costruzione dell’immaginazione nutrita di letture e riproduzioni abbinate a suggestioni rinascimentali. Il turbante indossato dalla donna è, non a caso, una rielaborazione del copricapo della Fornarina di Raffaello. Il nudo è volutamente sproporzionato, tanto che i detrattori arrivarono a parlare di un evidente eccesso di vertebre. Lo squilibrio della figura è invece voluto ed è lo strumento con cui Ingres disattende la norma accademica. Il suo modello ora non è più l’armonia classica ma l’anomalia del manierismo italiano, un riferimento che appare evidente anche nella resa del seno, completamente innaturale, e dalla ricchezza decorativa della stanza. La grande odalisca divenne celeberrima a partire dal 1826, quando Jean-Pierre Sudre ne realizzò una grande litografia assicurando la diffusione del modello di nudo ingressiano in tutta Europa .

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri