Giorgio Morandi
Anche Giorgio Morandi (Bologna 1890-1964), dopo una breve fase futurista, attraversa – fra il 1918 e il 1919 – una propria stagione metafisica, la cui parabola può dirsi conclusa già nel 1920.
Anche Giorgio Morandi (Bologna 1890-1964), dopo una breve fase futurista, attraversa – fra il 1918 e il 1919 – una propria stagione metafisica, la cui parabola può dirsi conclusa già nel 1920.
In questo periodo realizza alcune nature morte concepite come scatole prospettiche in cui lo spirito metafisico non si definisce tanto in un’atmosfera enigmatica, quanto in un’illogica rappresentazione degli oggetti sospesi nel vuoto e proiettanti ombre innaturali. Natura morta con manichino (12), per esempio, lungi dall’approdare all’enigma, si risolve nella non plausibilità della composizione. Come spiega il critico Francesco Arcangeli «il manichino di Morandi […] non è mai personaggio, […] non allude e non simboleggia, non vive […]. È la sua forma perfetta, il suo volume, il suo teso contorno su cui lo spazio aderisce immobile, la sua luce». I soggetti dei dipinti “metafisici” di Morandi, levigati e caratterizzati da grigi, marroni e rosa chiari, rivelano il suo tentativo di conferire all’immagine l’immaterialità del pensiero.
In un dipinto come Fiori (13) si evidenzia invece la svolta di Morandi oltre la Metafisica. L’artista ricerca in questa composizione un’armonia compositiva e una perfezione formale: guarda al mestiere e alla tradizione in una direzione che fa affiorare il suo amore per la pittura di Chardin e Corot. Basandosi su una seducente variazione cromatica tonale, Morandi colloca su uno sfondo neutro un vaso bianco contenente boccioli di roselline che danno vita a una sorta di canone geometrico, dalle forme nitide e perfette.
Da allora in avanti, Morandi indaga, attraverso l’oggetto, le ragioni più profonde della pittura. La
natura
morta è al centro della sua ricerca: ne realizza numerose versioni utilizzando oggetti
quotidiani – bottiglie, tazze, ampolle, caraffe, fruttiere, vasi di fiori – disposti sul piano di
posa e collocati in uno spazio astratto, privo di elementi descrittivi. La spazialità è costruita
unicamente da un colore tonale che si articola attorno a una gamma
ristretta di toni. Non a caso il critico Cesare Brandi lo denomina “di posizione”.
Come si può vedere in Natura morta (14) del 1929, conservata
a Brera, Morandi definisce la collocazione dell’oggetto nello spazio
senza ricorrere alla prospettiva e al chiaroscuro, bensì attraverso il colore. Le
esili pennellate bianche sulle bottiglie costituiscono, infatti, gli unici elementi che scandiscono
i diversi piani su cui sono collocati degli oggetti. Essi diventano presenze silenziose, immerse
in un’atmosfera rarefatta, in bilico fra pieno e vuoto, fra l’esserci e il nulla.
Dossier Arte - volume 3
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri