il Punto su... La pittura di luce e Piero della Francesca

   1.  IL QUATTROCENTO >> Il primo Rinascimento

Gli affreschi nella Chiesa di San Francesco ad Arezzo

A partire dal 1452, Piero è ad Arezzo, chiamato dalla famiglia Bacci, ricchi mercanti cittadini, per sostituire il defunto pittore fiorentino Bicci di Lorenzo (Firenze 1373-Arezzo 1452) che aveva appena avviato la decorazione delle volte del coro della Chiesa di San Francesco. Piero realizza i dipinti in due successive campagne, con una lunga pausa tra il 1458 e il 1459, quando si trasferisce a Roma chiamato dal papa per realizzare un ciclo di affreschi oggi perduto. Nel 1466 i documenti ricordano l’ultimo pagamento, forse eseguito a lavoro ultimato.

Storie della Vera Croce

Il ciclo di affreschi con le Storie della Vera Croce (105) si sviluppa in dieci scene disposte su tre registri, sulle tre pareti della cappella maggiore della chiesa francescana (106). La scelta del soggetto è legata alla lunga tradizione di adorazione della Croce negli Ordini francescani: Francesco, nella sua vita, aveva avuto la visione di Cristo sulla croce, culminata con l’episodio delle stimmate, e lo stesso soggetto era già stato eseguito, un secolo prima, dal pittore fiorentino Agnolo Gaddi nella cappella maggiore di Santa Croce a Firenze.
Gli affreschi seguono la narrazione della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1228/1230-1298), una delle fonti iconografiche più importanti fra Trecento e Quattrocento. A partire da questo testo, Piero si prende una certa libertà nella scelta delle storie, senza preoccuparsi troppo della reale sequenza cronologica e prestando invece attenzione ad alcune simmetrie e corrispondenze formali. Nelle due lunette alla sommità delle pareti laterali, per esempio, sono raffigurate due scene sullo sfondo di paesaggi - La morte di Adamo [1] e L’esaltazione della Croce [10] - mentre nel registro inferiore si
fronteggiano due battaglie, La vittoria di Costantino [6] e La disfatta di Cosroe [9], con un’identità di soggetti che viene preferita all’ordine reale della leggenda. La prima scena a essere dipinta, e anche l'inizio cronologico della storia, è la  Morte di Adamo [1] (► p.  98), nella lunetta della parete destra. Adamo, raffigurato come un vegliardo, appare morente, seduto a terra sulla destra, con Eva alle spalle. Il figlio Seth, quasi del tutto cancellato dal cattivo stato di conservazione, riceve dall'arcangelo Michele i germogli dell'Albero della Conoscenza, che poi inserisce nella bocca del padre morto: da questo albero sarà ricavato il legno per la croce di Cristo. Le figure nude sono plastiche e vigorose,  sottolineate da un incisivo chiaroscuro e ricche di richiami alle composizioni di Masaccio. 
Con lunga cesura, dopo la scena dell'Adorazione del legno della Vera Croce [3] da parte della regina di Saba, la narrazione prosegue con il racconto delle vicende di Costantino, il primo imperatore cristiano, e con il ritrovamento della croce a opera di sua madre Elena. Costantino sta per affrontare in battaglia il suo nemico Massenzio, quando, di notte, nel suo accampamento, un angelo gli rivela in sogno che con la croce otterrà la vittoria [5] (► p. 98). La scena è ambientata alle prime luci dell'alba, in uno dei notturni più belli e convincenti dell'arte occidentale: dalla tenda aperta, protetta da due guardie, si vede l'imperatore addormentato. Un valletto seduto e appoggiato al letto, sembra indirizzare lo sguardo dello spettatore verso il nucleo drammatico della scena. Vera protagonista della scena è la luce, che sembra emanare dalla croce stessa, portata dall'angelo in picchiata a sinistra: si tratta di una luce insieme reale, come dei bagliori di una candela, di ascendenza fiamminga, e mistica, nel passaggio tra l'"ombra" del paganesimo e la "luce" della ragione cristiana. 
Le due grandi scene di battaglia, nei riquadri del registro inferiore, La vittoria di Costantino [6] (► p. 99) a destra, e La disfatta di Cosroe [9](► p. 99) a sinistra, non riescono a turbare l'equilibrio complessivo delle raffigurazioni. Di ritorno dal soggiorno romano, Piero ha   acquisito una misura classica ed elegante: nella Vittoria di Costantino  [6], pur se molto rovinata, il suggestivo paesaggio fluviale del Tevere, in cui si specchiano elementi naturali, divide le due metà della composizione. In modo analogo alle composizioni di Paolo Uccello, i soldati a cavallo sembrano congelati in un groviglio inestricabile: come nella  Disfatta di Cosroe  [9], è assente ogni dinamismo e le scene assomigliano a un fregio classico, solenne e rallentato.
La narrazione termina con la Verifica della Vera Croce [8] a opera di Elena, la madre di Costantino. Elena e il suo seguito in pellegrinaggio in Terrasanta, scavando trovano tre croci (a sinistra); solo una di esse, la vera croce, è in grado di compiere il miracolo di resuscitare un uomo, così Elena e il suo seguito si inginocchiano in adorazione. Secondo un'usanza ancora medievale, Piero raffigura due volte gli stessi personaggi, in due momenti successivi, sottolineati da due diversi sfondi: il ritrovamento delle croci è ambientato in campagna, tra due colline in mezzo a cui si apre una bellissima veduta urbana di Arezzo; la scena della Verifica si svolge invece davanti al tempio di Venere, rappresentato con forme classicheggianti e marmi colorati e simile a una chiesa rinascimentale. L'edificio richiama la Chiesa di San Sebastiano a Mantova dell'Alberti: non a caso, l'incontro fra Alberti e Piero della Francesca rappresenta uno degli snodi fondamentali per gli sviluppi del Rinascimento italiano. 
La decorazione della cappella riepiloga mirabilmente i temi fondamentali dell'arte di Piero della Francesca, nessuno escluso, a cominciare da quello della luce, inteso nelle sue diverse possibilità di restituzione pittorica. 
La narrazione è pervasa da una misura classica, priva di accentuazioni espressive repentine, persino nelle scene di più alto contenuto drammatico, in cui esse sarebbero perfettamente giustificabili. 

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A Urbino dai Montefeltro

Tra il 1469 e il 1472 Piero si trasferisce a Urbino, probabilmente su invito del duca Federico da Montefeltro: la piccola città marchigiana, con la sua vivace corte, è uno dei centri più fecondi del Rinascimento italiano, e qui lo stile di Piero si rinnova ulteriormente, raggiungendo un perfetto equilibrio tra la rigorosa geometria prospettica e la classica misura monumentale.
Le due opere fondamentali di questo soggiorno sono, insieme ai due Ritratti dei duchi di Urbino (► p. 103) e alla Flagellazione, la Pala di Brera e la Madonna di Senigallia.

Pala di Brera

La Pala di Brera (107) si data tra il 1472 e il 1474 ed è così chiamata perché dal 1811, rimossa dalla Chiesa di San Bernardino di Urbino, è conservata nella milanese Pinacoteca di Brera. Secondo lo schema figurativo della sacra conversazione, al centro è la Madonna in trono, con il Bambino addormentato in grembo, immerso in un sonno pesantissimo, che prelude al sacrificio sulla croce. La Vergine, con il volto che è un ovale perfetto, è il centro di tutta la composizione, punto di fuga delle linee prospettiche. Attorno vi è una schiera di angeli e santi. In basso a destra si trova, inginocchiato e in armi, il duca Federico. I santi sono tutti legati a un preciso significato: san Giovanni Battista, speculare al duca, è patrono di Battista Sforza, la moglie di Federico morta di parto nel 1472; san Bernardino da Siena è il titolare della chiesa a cui la pala era destinata; san Girolamo, colui che tradusse in latino la Bibbia, era molto venerato da un collezionista di libri come Federico; san Francesco è un santo caro al duca, e poi san Pietro martire e san Giovanni evangelista.
La scena è ambientata davanti a un’abside monumentale, coperta da una volta a botte con cassettoni illusionisticamente scolpiti a rosette, forse ispirata, ancora una volta, alle contemporanee creazioni di Leon Battista Alberti, come la Chiesa di Sant'Andrea a Mantova. Probabilmente l'aspetto forse un po' compresso della composizione è legato al fatto che, in un'epoca imprecisata e per ragioni sconosciute, il dipinto fu resecato ai bordi. In fondo alla nicchia si trova un'esedra semicircolare dove è scolpita una conchiglia, elemento tipico dell'architettura fiorentina dell'epoca, che Piero poteva aver osservato in gioventù. Al culmine pende un uovo di struzzo, sospeso sopra la testa di Maria di cui duplica l'ovale. L'uovo, che nei secoli ha stimolato molteplici interpretazioni, è probabilmente un riferimento al mistero della verginità di Maria e anche alla nascita del figlio del duca Guidobaldo. 
La perfetta fusione tra architettura e personaggi, la luce luminosa che illumina con verità i santi e la Vergine fanno di questa sacra conversazione un modello perfetto che influenzerà a lungo gli artisti successivi. 

Madonna di Senigallia

Alla fase tarda dell’attività dell’artista, presumibilmente nel decennio 1475-1485, appartiene anche la cosiddetta Madonna di Senigallia (108), il dipinto più "fiammingo" di Piero, non a caso eseguito su legno di noce e realizzato con largo impiego di leganti oleosi, secondo una tecnica introdotta in Italia proprio dai pittori delle Fiandre. Il primo piano è occupato dalle figure massicce della Madonna col Bambino con alle spalle due angeli, la cui solidità d’insieme contrasta con la finezza stupenda d’infiniti particolari visti con occhio quasi fiammingo: si osservino i tocchi di luce bianca sul corallo al collo di Gesù , il velo di seta trasparente della Madonna, i capelli in controluce dell’angelo a sinistra, posto sullo sfondo dell’interno più nordico della pittura italiana quattrocentesca, dove il sole giunge dapprima a illuminare il pulviscolo dorato, per poi rischiarare prepotentemente la parete di fondo.

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LA PITTURA DI LUCE E PIERO DELLA FRANCESCA

  • Domenico Veneziano (morto nel 1461) è attivo a Firenze; in opere come il tondo con l'Adorazione dei Magi coniuga un impianto prospettico rinascimentale con l'interpretazione pittorica della luce dei fiamminghi. 
  • Le cosiddette Tavole Barberini di Fra' Carnevale (morto nel 1484 ca.) sono dominate da architetture che ricordano Leon Battista Alberti per la monumentalità e per la costruzione prospettica. 
  • Tra la fine del XIV secolo e la metà del XV si assiste a un'evoluzione della pala d'altare, in rapporto con la sempre maggiore consapevolezza nella raffigurazione della terza dimensione. 
  • Dai polittici gotici si passa a tavole in cui è abolita la divisione fra scomparti; attorno al 1440 compaiono le "pale quadre", di forma quadrangolare, con predella e cornici che ricordano un'architettura classica. 
  • Piero della Francesca (1413/1420 ca.-1492) si formò a Firenze collaborando con Domenico Veneziano, ma lavorò in altre città dell'Italia centrosettentrionale. 
  • Oltre che pittore, fu autore di trattati sulla prospettiva e sulla matematica. 
  • Le sue opere si distinguono per la grande sapienza prospettica e i toni chiari e luminosi
  • Lavorò a Sansepolcro, sua città natale, e presso le corti di Rimini (Malatesta) e Urbino (Montefeltro). 
  • Il suo capolavoro è il ciclo di affreschi con Storie della Vera Croce ad Arezzo, in cui la narrazione procede con misura classica. 

Che cos'è

  • pittura di luce: tendenza alla quale appartengono pittori come Domenico Veneziano, che applicano le indicazioni di Leon Battista Alberti sulla luce e l’armonia dei colori; da questa tendenza prende le mosse Piero della Francesca. La definizione deriva dal titolo di una mostra curata da Luciano Bellosi (1990).

A confronto

L'importanza del soggiorno fiorentino di Piero della Francesca risulta evidente nella Crocifissione del  Polittico della Misericordia, derivata da quella del Polittico di Pisa di Masaccio.  

Masaccio, Crocifissione

Piero della Francesca, Crocifissione

  DOMANDE GUIDA
1. Quali componenti stilistiche si possono individuare nelle opere di Domenico Veneziano? 
2. Che cosa sono le Tavole Barberini e chi le dipinse? 
3. Qual è il processo che conduce dai polittici gotici alle pale rinascimentali? 
4. Dove nacque, dove si formò e dove lavorò Piero della Francesca? 
5. Quali sono le caratteristiche fondamentali della sua pittura? 
6. Quale importante ciclo di affreschi dipinse Piero della Francesca?

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò