Pittori di luce

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Pittori di luce

Domenico Veneziano

I dati documentari che possediamo su Domenico di Bartolomeo da Venezia, noto come Domenico Veneziano (Venezia, inizi XV secolo-Firenze 1461), sono piuttosto scarsi. Stando alle notizie riportate un secolo dopo da Vasari, morì forse a 56 anni. Anche le opere arrivate ai giorni nostri non sono molte, ma l’importanza che gli storici dell’arte assegnano alla sua attività è di primo piano negli sviluppi della pittura fiorentina fra il 1435 e il 1460: Domenico coniuga infatti lo studio della pittura veneziana e fiamminga a una conoscenza intima e approfondita della pittura nella Firenze del tempo.

Adorazione dei Magi

Alcuni dei suoi dipinti sono dei veri capolavori, soprattutto per la qualità dell’esecuzione, a cominciare da una delle opere più antiche giunta fino a noi, databile alla fine degli anni Trenta, il tondo con l’Adorazione dei Magi (95), un soggetto che, come si è visto, era assai popolare a Firenze per l’esistenza di una Compagnia dei Magi, una confraternita che raccoglieva i cittadini più influenti della città, guidata e protetta dalla famiglia Medici. Proprio Piero de’ Medici commissiona al pittore nel 1438 il tondo, chiedendogli di poter lavorare a Firenze e mettersi al suo servizio. L'opera è completata nel 1440.
A una prima osservazione, la ricchezza delle vesti dei numerosi personaggi del corteo dei Magi potrebbe far pensare a un dipinto appartenente alla cultura del Gotico internazionale, magari di un seguace di Gentile da Fabriano. Subito dopo, tuttavia, ci si rende conto di essere in presenza di un autentico manifesto della pittura fiorentina del primo Rinascimento. Il gruppo della Madonna col Bambino, così come molte fisionomie, richiamano quelle analoghe che si trovano nella predella d'identico soggetto di Masaccio per il polittico della Chiesa del Carmine di Pisa: i cavalli sulla sinistra potrebbero essere scambiati tranquillamente con quelli che compaiono in uno dei tre episodi della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Molto forti appaiono anche i punti di contatto con la pittura di Andrea del Castagno, soprattutto per l'affinità del disegno forte e incisivo. Tuttavia, l'aspetto che suscita più ammirazione è la rappresentazione del paesaggio luminoso, con una perfetta resa dei fenomeni atmosferici e un’interpretazione pittorica della luce tipica della pittura fiamminga , molto diversa da quella cara a Brunelleschi e a Masaccio, che invece aveva un orientamento preciso e definiva lo spazio in maniera rigorosa, ma quasi mai poetica.
Dal 1439 al 1445 Domenico Veneziano è impegnato a dipingere ad affresco tre Storie della Vergine sulla parete sinistra del coro della Chiesa di Sant’Egidio a Firenze, mentre sulla parete opposta Andrea del Castagno eseguiva altre tre storie del medesimo soggetto. Purtroppo questa decorazione assai importante, che deve aver giocato un ruolo eccezionale negli sviluppi dell’arte fiorentina del tempo, è andata completamente perduta, con l’eccezione di pochissimi brani marginali.

Fra' Carnevale

L’influenza di Domenico Veneziano, unita a quella fondamentale di Filippo Lippi, si avverte anche nell’opera del pittore e architetto Bartolomeo Corradini, meglio conosciuto con il nome da religioso domenicano di Fra’ Carnevale (Urbino ?-1484 ca.), che collaborò a Firenze con Filippo Lippi nel 1445-1446. Si tratta di una personalità portata alla ribalta nella storia dell’arte da studi recenti.

Tavole Barberini

A Fra’ Carnevale si possono riferire con certezza due tavole fra le più criticamente dibattute del Quattrocento italiano: le cosiddette Tavole Barberini - perché appartenute per lungo tempo alla celebre raccolta romana - in cui sono raffigurate rispettivamente la Nascita della Vergine (96) e la Presentazione della Vergine al Tempio (97), forse parte di uno smembrato polittico per la Chiesa di Santa Maria della Bella di Urbino.
I due dipinti sono dominati dalle grandiose architetture, «ornatissime» (cioè ricche di decorazioni classicheggianti) e «prospettiche» (cioè composte in accordo alle rigorose regole della prospettiva), per usare le espressioni di Leon Battista Alberti. Non a caso si pensa che le tavole siano state "suggerite", forse direttamente, proprio dal grande teorico e architetto, che alla data presumibile dell’esecuzione dei dipinti (la metà degli anni Sessanta del XV secolo) aveva soggiornato più volte presso la corte urbinate. A dispetto dell’intitolazione a soggetti religiosi, le due tavole ci mostrano una luminosa raffigurazione di edifici simili a quinte teatrali, con decorazioni che replicano quelle antiche, popolate da una molteplicità di personaggi un po’ incongrui con il luogo, legate sia al gusto fiammingo dei particolari sia alle reminiscenze della prima formazione tardogotica dell’artista.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò