Beato Angelico

   1.  IL QUATTROCENTO >> Il primo Rinascimento

Beato Angelico

Guido di Pietro, noto come Beato Angelico (Vicchio del Mugello, Firenze 1395 ca.-Roma 1455) è menzionato nei documenti fiorentini per la prima volta nel 1417, già in qualità di pittore. Nel 1423 è membro della comunità dei frati domenicani del Convento di San Domenico di Fiesole con il nome di Fra’ Giovanni. Anche se nelle prime opere è un pittore ancora pienamente tardogotico, in breve tempo si aggiorna in senso rinascimentale, dimostrando non soltanto di conoscere bene la pittura di Masaccio e l’attività di Lorenzo Ghiberti, che rappresentarono per lui un punto di riferimento costante, ma anche di essere uno dei padri fondatori della visione rinascimentale in pittura.

A Fiesole e Firenze

Annunciazione 

Intorno al 1425 dipinge per la chiesa del suo convento di Fiesole l’Annunciazione (73). La sicurezza dell’impianto prospettico-spaziale della composizione è pari, sotto ogni punto di vista, a quella dei dipinti coevi di Masaccio. Anche la resa naturalistica dei personaggi e degli oggetti, ottenuta grazie a una luce chiara diffusa, raggiunge un vertice qualitativo che non teme confronti. La superficie dipinta è tripartita (il giardino, l’arcata dell’angelo e l’arcata della Vergine), e lo spazio è costruito con il punto di fuga interno alla casa, in modo da concentrare l’attenzione dello spettatore sull’episodio sacro. All’esterno, in un giardino fiorito allusivo alla verginità di Maria, popolato da una moltitudine di piante e fiori, sono Adamo ed Eva, cacciati dall’angelo. La cura minuziosa con cui il pittore realizza gli elementi vegetali denuncia la sua rigorosa formazione come miniatore tardogotico, mentre la presenza dei progenitori crea un ideale collegamento tra la dannazione dell’umanità e la salvezza in Cristo, resa possibile dall’accettazione di Maria.

Le opere per il Convento di San Marco 

Nel 1436 alcuni frati del Convento di San Domenico di Fiesole si trasferirono nel convento fiorentino di San Marco, restaurato e profondamente ricostruito a partire dal 1438 su incarico di Cosimo de’ Medici.
La Sacra Conversazione (74) per l’altare maggiore della chiesa (1438-1440) segna la definitiva consacrazione dell’artista ai massimi livelli dell’ambiente artistico cittadino. Si tratta di uno degli esemplari più antichi di questo tipo iconografico che conoscerà un grande successo nell’ambito del Quattrocento fiorentino: al centro solitamente si trovano la Vergine con il Bambino e ai lati varie figure di santi che, pur appartenendo a epoche diverse, si trovano riuniti in una "sacra conversazione". La composizione, legata all’arte classica ed elegante di Ghiberti, è dominata dall’alto trono su cui siede la Vergine, concepito in puro stile rinascimentale. Alcune innovazioni iconografiche, quali la raffigurazione della piccola Crocifissione alla base del dipinto - autentico "quadro nel quadro" -, oppure il tappeto orientale ai piedi del trono, conosceranno notevole diffusione nella pittura fiorentina del secondo Quattrocento.
Tra il 1440 e il 1445, il pittore passò a decorare, su invito di Cosimo il Vecchio e dei confratelli, gli ambienti pubblici e privati del convento: il chiostro, il refettorio, la sala capitolare, i corridoi e le singole celle. In particolare, in ogni stanza dei frati l’Angelico e la sua bottega realizzano un affresco con un episodio tratto dal Nuovo Testamento o una Crocifissione dove la presenza di san Domenico indicava ai religiosi l’esempio da seguire e le virtù da coltivare. Si tratta di composizioni armoniche e semplici, caratterizzate da rigore formale, figure semplificate e alleggerite, cromia tenue e una luce chiara e quasi metafisica (75).

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A Roma

Affreschi della Cappella Niccolina 

Già dalla fine del 1445 il pittore lascia Firenze, chiamato a Roma da papa Eugenio IV. La sua impresa romana più celebre è il ciclo affrescato con le Storie dei santi Stefano e Lorenzo, i quattro evangelisti nella volta e otto Padri della Chiesa nella Cappella Niccolina, la cappella privata degli appartamenti di papa Niccolò V, compiuta entro il 1448 (76).
Questi affreschi segnano una svolta stilistica nell’attività di Beato Angelico: i personaggi si distinguono ora per le forme solide, gli atteggiamenti pacati e solenni e il timbro espressivo più aulico rispetto alla narrazione essenziale che caratterizza gli affreschi del Convento di San Marco a Firenze. L’osservatore resta colpito dalle architetture fantastiche, ma al tempo stesso assai credibili, che più che ospitare i sacri personaggi fanno loro da sfondo, secondo uno schema visivo ben presente nella pittura monumentale romana dei secoli XIII e XIV. Bisogna tenere in conto la destinazione diversa delle due imprese: le pitture fiorentine erano intese per sollecitare la meditazione dei monaci, mentre gli affreschi vaticani dovevano sottolineare anche la potenza e il primato culturale del Papato.

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò